Céline Sciamma torna dietro la macchina da presa per raccontare una storia d’amore potente e delicata, ambientata nella Francia di fine ‘700, e offrendo al contempo una riflessione attualissima sulla condizione della donna nella società e nell’arte. Premiato al Festival di Cannes, dove è stato insignito del riconoscimento per la migliore sceneggiatura e della Queer Palm, il film presenta uno straordinario cast tutto al femminile, composto da Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino e Luàna Bajrami.
Ritratto della giovane in fiamme (Portrait de la jeune fille en feu) arriverà nelle sale il 19 dicembre 2019 distribuito da Lucky Red ed è il racconto di una travolgente e inaspettata storia d’amore in grado di offrire spunti di riflessione sulla società attuale.
Già acclamata regista di Tomboy e sceneggiatrice di La mia vita da zucchina, Céline Sciamma ambienta la pellicola nella seconda metà del XVIII secolo, dove la bella Héloise viene ritirata dal convento per essere data in sposa dalla sua famiglia benestante, ad un nobile milanese.
Affinché costui possa averne una immagine, la madre incarica una dotata giovane pittrice di raggiungere la ragazza nella dimora di famiglia sulla costa nord della Francia, per farle un ritratto.
Tuttavia la futura sposa non è affatto convinta di quel matrimonio, e non accetta di mostrarsi, perciò l’artista dovrà ritrarla di nascosto, senza che il suo originale da riprodurre su tela se ne accorga. In quella casa di sole donne tuttavia, poco a poco, il rapporto tra le due ragazze, quasi coetanee, muterà in un altro e più complesso sentimento, che se da una parte debellerà i dapprima risoluti rifiuti categorici della ex novizia di posare per un ritratto, dall’altra creerà difficoltà oggettive ancora più ardue per concretizzare il futuro matrimonio a cui è destinata la giovane nobildonna.
Sciamma, che ha scritto anche la sceneggiatura, punteggia la storia di allusioni e riferimenti alla condizione femminile (il destino del convento per chi non può contare su una dote, i matrimoni combinati e il suicidio come via per evitarli, l’odissea dell’aborto) e intanto fa crescere la tensione tra le due protagoniste, entrambe in difficoltà nell’esprimere quello che sentono e provano, e che l’espediente delle sedute di posa, con i suoi silenzi e i suoi tempi apparentemente morti, finisce per trasformare in una specie di bomba a scoppio ritardato.
Sia la Merlant che la Haenel sono perfette nel restituire la passione trattenuta di queste due donne che scoprono sentimenti allora considerati proibiti mentre la messa in scena sa inquadrare perfettamente le due giovani in un mondo che le ingabbia ma che nasconde anche piccoli spazi di libertà.
Celine Sciamma da sempre concentra l’attenzione dei suoi films, sul mondo femminile, impegnandosi a illustrarne le problematiche, caratterizzanti ogni epoca e in questo caso particolare, sembra quasi aver voluto escludere completamente l’altro sesso, al quale viene riservato solo qualche timido accenno.
Grande cura è riservata alla location, il film è stato infatti girato in un castello disabitato e non restaurato, in cui gli elementi lignei, i colori e i pavimenti sono rimasti come congelati nel tempo.
Sfida del tutto nuova per la regista, è stata invece quella relativa la creazione dei costumi. Riuscire a realizzarli con un tale livello di precisione, è stato fantastico ma anche faticoso, e a tal proposito la stessa Celine ha dichiarato:
“volevo un’ unica uniforme per ciascun personaggio, una cosa su cui Dorothée Guiraud ed io ci siamo concentrate. Una specie di caratterizzazione fatta su misura, per la quale più che mai abbiamo dovuto riflettere sul significato degli abiti.
Per esempio, non avevo alcun dubbio sul fatto che l’abito di Marianne dovesse avere delle tasche. Non solo per il suo atteggiamento, ma anche perché alla fine del secolo le tasche per le donne sarebbero state proibite e sarebbero sparite. Mi piace l’idea di una figura così moderna, in un certo senso fatta riemergere, come se fosse risuscitata”
La pittrice protagonista del film, non è realmente esistita ma è stata inventata dalla regista con l’aiuto di una sociologa dell’arte specializzata in pittori di quell’epoca e che dopo aver letto la sceneggiatura, l’ha aiutata a creare una Marianne che fosse convincente.
“Volevo mostrare il personaggio al lavoro, ad ogni stadio. Per cui è stato necessario inventare anche i suoi quadri. Volevo lavorare con un’artista e non con dei copisti. Volevo che quell’artista avesse la stessa età della protagonista. Una pittrice trentenne contemporanea. Mi sono imbattuta nel lavoro di Hélène Delmaire durante le mie ricerche sulle donne pittrici, comprese quelle di oggi, in particolare cercando su Instagram. Hélène ha una formazione classica in pittura ad olio ed ha una buona esperienza nelle tecniche del XIX° secolo. Insieme alla direttrice della fotografia, Claire Mathon, abbiamo formato un trio impegnato in questo duplice obiettivo: la creazione dei quadri e la loro esecuzione durante il film.”
Il film non ha una colonna sonora, per non
“avere l’ossessione del ritmo”
ha dichiarato la Sciamma
“E’ stata una scommessa, ma non l’ho vissuta come una sfida. Anche in questo caso si è trattato in fondo di un processo di ricostruzione. Volevo che la musica fosse una parte della vita dei personaggi del film, come qualcosa di raro, desiderato, prezioso e inarrivabile. E così ho messo lo spettatore nelle stesse condizioni. Il rapporto con l’arte nel film è vitale proprio perché i personaggi sono isolati. Prima di tutto dal mondo, poi uno dall’altro”
Anche se la pellicola è il racconto di una storia che risale a molto tempo fa, non deve comunque farci pensare che non sia attuale o sia meno importante, soprattutto perché si tratta di un qualcosa di poco conosciuto come il mondo delle artiste donne.
In realtà, di donne pittrici nel XVIII ce ne sono state diverse, Elisabeth Vigée Le Brun, Artemisia Gentileschi ed Angelica Kauffman sono solo le più conosciute, ma sono state numerose e con un discreto successo, soprattutto grazie alla moda dei ritratti.
“Quando ho scoperto le opere di queste pittrici dimenticate ho provato al tempo stesso una grande emozione e un grande dispiacere. Il dispiacere per l’anonimato totale nel quale sono stati relegati questi lavori, condannati a restare nascosti. Ho sofferto non solo per essermi resa conto di come la storia dell’arte ufficiale li abbia resi invisibili ma anche per le conseguenze: quelle immagini mi turbano e mi commuovono soprattutto perché non hanno fatto parte della mia vita”
Dice la regista. Al di là della storia che ci fa capire come la passione, in qualunque forma, ha sempre fatto parte del nostro DNA quindi, questo film spalanca le porte su una realtà nuova e poco conosciuta, ci fa respirare l’arte come mai prima d’ora, come solo l’occhio attento e passionale di una donna sa fare.