Rifkin’s Festival
Regia: Woody Allen
Soggetto: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Vittorio Storaro
Effetti speciali: Mariano Garcìa, Jon Serrano
Colonna sonora: Stephane Wrembel
Interpreti: Wallace Shawn (Mort Rifkin); Elena Anaya (Jo Rojas); Louis Garrel (Philippe); Gina Gershon (Sue); Sergi López (Paco);
Produzione: Letty Aronson, Erika Aronson, Jaume Roures
Origine: USA, Spagna, Italia
Durata: 92 min.
Rifkin’s Festival – Sinossi
Mort Rifkin, ex professore di cinema, lascia la sua amata New York per accompagnare sua moglie Sue, giornalista di discreto successo, al festival del cinema di San Sebastian. Per Mort, i giorni lì trascorreranno tra la rabbia e la noia nel vedere sua moglie flirtare senza vergogna con un emergente ed eccentrico regista francese, Philippe, al punto che il suo cuore ne risentirà e quando consulterà il medico Jo, una donna bella e intellettualmente stimolante, Mort resterà colpito e farà diverse riflessioni su se stesso e sul suo matrimonio, ormai al collasso.
Woody Allen e i temi a lui cari
Già ad una prima visione non è difficile stabilire che il protagonista del film sposa senza dubbio tutte le tematiche care al regista: il cinema, l’ironia, la morte, l’amore, l’inganno. Mort Rifkin è un amante incallito delle vecchie epoche cinematografiche, i suoi sogni, ricorrenti nel film, si presentano come scene di Quarto potere, Il posto delle fragole, Persona, Il settimo sigillo, 8 1/2 e altri ancora.
I grandi maestri europei (Bergman, Truffaut, Godard, Fellini) coronano un amore verso la Settima Arte che lui crede sia arrivata sul viale del tramonto, ciò si comprende soprattutto nei suoi giudizi verso i film del regista francese, verso il quale la moglie prova una profonda attrazione, privi di contenuti intelligenti e troppo azzardati. Philippe Germain, infatti, sente di aver colto il mondo nella sua interezza e crede di poter dirigere una sceneggiatura che risolverebbe il conflitto tra Israele e Palestina.
La nostalgia per il passato, dunque, verte su due fronti: da un lato il suo amore verso un cinema che ormai non esiste più ed il passato della sua stessa vita, dei momenti in cui si sentiva felice con sua moglie e insegnava cinema, elementi che non riescono a riflettersi nel suo presente.
In questa pericolosa trappola della malinconia, Mort riesce a trovare un sollievo nella figura di Jo, la quale comprende non solo il suo stato emotivo, ma gli dà man forte sul suo mondo culturale che ha forgiato negli anni il suo universo interiore. E’ così che il nostro protagonista si sente compreso e meno solo, tanto da innamorarsi dell’affascinante dottoressa, anch’ella intrappolata in una relazione tossica senza avere il coraggio di uscirne.
L’intero film è una seduta psicologica, altro tema a cuore di Woody Allen. Qual è la somma finale da trarre dopo novantadue minuti di viaggio nella mente di Mort? Beh, la risposta da parte dello psicologo non viene data, ma Rifkin’s festival si chiama così perché se è vero che ci troviamo a San Sebastian dove si svolge un evento cinematografico, il vero festival è nella vita di Mort che proprio in quel luogo che non voleva incontrare, trova la liberazione da ciò che lo attanagliava, in primis il suo matrimonio.
Dopo aver colto a fondo il carattere del protagonista di Rifkin’s festival, si può sposare l’idea di cui sopra: Mort Rifkin è un alter ego di Woody Allen che, senza remore, continua a viaggiare controcorrente presentandoci un film apparentemente leggero, rinunciando agli effetti speciali, le riprese inverosimili e indigeribili dell’industria cinematografica contemporanea.
Il cinema europeo e quello americano
Momenti di Rifkin’s festival che non si possono di certo ignorare, sono quelli legati ai sogni di Mort. Il sogno si presenta come un escamotage da parte di Woody Allen di rendere omaggio al suo Olimpo cinematografico in cui troviamo innanzitutto Ingmar Bergman, il regista svedese è la principale fonte di ispirazione del cinema di Allen, tanti sono stati i riferimenti e gli omaggi negli anni, ricordiamo film come Interiors, primo film drammatico del regista statunitense che richiama senza dubbio le tematiche di Sinfonia d’autunno e Sussurri e grida di Bergman.
In Rifkin’s festival, invece, tra i film cui si fa riferimento troviamo Persona, Il posto delle fragole e Il settimo sigillo, quest’ultimo chiude i sogni di Mort con una deliziosa parodia della scena tra la Morte (interpretata da Christoph Waltz) e Mort.
Oltre Bergman troviamo Federico Fellini, altro punto cardine nel cinema di Allen (basti pensare a Stardust Memories), il quale viene omaggiato con un sogno che ha le complete sembianze di una scena di 8 1/2. Anche i riferimenti alla Nouvelle Vague non mancano, incontriamo il cinema di Godard e Truffaut, il primo con un richiamo a Fino all’ultimo respiro e il secondo in una simpatica sequenza onirica che rispecchia il triangolo amoroso di Mort, Sue e Philippe, riprendendo la medesima situazione di Jules et Jim.
Conosciamo, in questo modo, il tempio sacro di Woody Allen che, sembra disdegnare il cinema americano ad elogio di quello europeo: ma è davvero così?
Sebbene il regista si trovi di fronte ad una Hollywood sempre più assetata di verità riguardo i vari processi in cui è implicato, Allen in Rifkin’s festival non manca di omaggiare il grande cinema americano. Nelle primissime scene e in quelle finali, infatti, vediamo un chiaro riferimento a Quarto potere di Orson Welles e la curiosità sta nel fatto che la sequenza in questione è quella di Rosebud, la slitta di Charles Foster Kane, oggetto del ricordo dell’infanzia e chiave di lettura di un personaggio allo stesso tempo forte e debole.
Dunque, bisogna livellare ancora una volta, e su più fronti, i riferimenti del regista: da una parte la narrazione filmica, quindi la nostalgia di Mort, da un’altra quella dello stesso Allen, e da un’altra ancora, più specificamente, una ribellione contro il confuso e vuoto cinema americano odierno che punta sulla spettacolarizzazione, privando di contenuto l’intero messaggio cinematografico (discorso che non vale sempre, naturalmente). E’ quella a Quarto Potere, probabilmente, la citazione più potente, nostalgica e amorevole.
In conclusione, Woody Allen con Rifkin’s festival viaggia con metafore filmiche nei meandri del passato, cercando di dare uno sguardo ottimista verso il presente. Un film molto scorrevole che non si colloca di certo accanto ai capolavori del regista, ma è il film ideale per il ritorno in sala!
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