Ha fatto in realtà il suo esordio sul finire del 2019, ma dopo un breve tour nei cinema il lancio di La guerra a Cuba ha subito una forzata battuta d’arresto per la chiusura delle sale imposta dalla pandemia. Il film però è di nuovo nei cinema in questi giorni, puoi seguire gli aggiornamenti in merito sulla pagina Facebook ufficiale.
La guerra a Cuba (2019)
Regia: Renato Giugliano; Soggetto e Sceneggiatura: Mario Mucciarelli, Renato Giugliano; fotografia: Gianmarco Rossetti; Scenografia: Laura Soprani; Costumi: Chiara Capaccioli; Colonna sonora originale: Giuseppe Tranquillino Minerva; Suono: Francesco Liotard; Casting: Marco Manfredi; montaggio: Renato Giugliano; con: Elisabetta Cavallotti [Viola], Younes El Bouzari [Kamal], Marco Mussoni [assessore], Lorenzo Carcasci [Filippo], Luigi Monfredini [Nevio], Ousman Jamanka [Oluwafemi], Viola Casadei [Mati], Laura Pizzirani [Giorgia], Antonio De Matteo [Capitano], Annalisa Salis [Nicoletta], Piergiuseppe Francione [Gianmarco], Filippo Marchi [Basso]; produzione: RLP FILM PRODUCTIONS in associazione con CEFA ONLUS e OVERSEAS; finanziato da AICS (Agenzia Italiana Cooperazione Allo Sviluppo); Distribuzione: Indipendente; origine: ITALIA – 2020; durata: 115′.
La trama di La guerra a Cuba
Il film ha un inizio in medias res: dall’alto di una torre un attentatore spara sulla folla nella piazza di un paesino della Valsamoggia (in provincia di Bologna), affollata nel giorno della festa del patrono. Per capire però cosa sia successo è necessario rivedere gli eventi della settimana precedente: in un continuo salto fra flashback e flashforward lo spettatore assisterà alle storie dei vari personaggi che s’intrecciano fra loro in un racconto corale. Di seguito il trailer del film.
C’è Kamal, che vive col fratello e la sua famiglia e che è in Italia senza permesso di soggiorno. Nicoletta, sua cognata, lavora per la più importante fabbrica del territorio ed è impegnata con i suoi colleghi in uno sciopero per ottenere condizioni lavorative più stabili.
C’è Filippo, informatico quarantenne e solitario, che un giorno incontra per caso Eddy,
attivista di un movimento di estrema destra che sembra poter essere un gruppo pronto ad accoglierlo.
C’è Nevio, un anziano professore che si trova a fare amicizia con Oluwafemi, un richiedente asilo che non riesce ad integrarsi e che fatica ad ambientarsi anche nel centro di accoglienza in cui vive ma che con Nevio riesce a stabilire un rapporto.
C’è il Basso, figlio dell’assessore del paese e aspirante musicista, che non riesce a creare una relazione col padre (troppo impegnato a badare alla propria immagine e all’opinione degli abitanti del paese).
E poi arriva Viola, giornalista di Milano che scrive per un sito dedito più alla ciaccia dello scoop che alla verità: inviata per indagare sugli scioperi nella fabbrica, nel giro di una sola settimana con un paio di fake news pubblicate sul suo giornale scombina gli equilibri del piccolo paese; ma c’era davvero un equilibrio prima del suo arrivo?
Un film che tratta tante tematiche: la vita in un paesino e quanto può stare stretta, l’integrazione tra popoli differenti (ma anche tra paesi limitrofi) e quanto sia difficile raggiungerla, il ruolo dei mezzi d’informazione e la loro etica; tanti spunti di riflessione interessanti e attuali raccontati dai diversi punti di vista in gioco.
Il commento del redattore su La guerra a Cuba
Il film si apre con questa citazione tratta da Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles
– “Donne cubane deliziose. Stop. Potrei inviare poema in prosa su bellezza isola ma non voglio spendere vostri soldi. Stop. Non esiste guerra a Cuba”.Firmato Willand. Risponde?– Sì: “Caro Willand, invii pure poema in prosa, io procurerò la guerra”.
Puoi ammirare la scena, in lingua originale, qui di seguito; a questo link invece un nostro articolo di approfondimento su questo capolavoro del cinema e su una sua bizzarra analogia.
Ecco quindi che il tema più carnoso del film si mostra già dall’inizio: il potere dei media e delle cosiddette fake news nel ribaltare l’opinione pubblica e, come accade nella storia, l’intero destino di alcune persone. Viola, la giornalista apparentemente senza scrupoli che sconvolge il piccolo paese di provincia con i suoi post, non fa altro che cavalcare un’onda già presente in alcuni degli abitanti ma fino a quel momento rimasta nascosta nelle chiacchiere da bar.
Eppure però nel momento in cui una notizia viene diffusa dai media diventa automaticamente vera e ci si sente più giustificati perché “lo dicono anche i giornali”: è il punto di vista che viene rappresentato da Filippo, che non parte da forti sentimenti razzisti ma che vi cede in cambio della sensazione di appartenere finalmente ad un gruppo (come il movimento di estrema destra di cui si trova improvvisamente a far parte).
In questo senso La guerra a Cuba mi ha stimolato una riflessione in rapporto alla pandemia: se ad un certo punto sentir nominare nel film i famosi “35 euro al giorno” mi è sembrato un riferimento incredibilmente lontano nel tempo (seppure il film sia stato girato solo due anni fa), contemporaneamente il ruolo dei mezzi d’informazione è stato ed è tuttora di centrale importanza proprio nella lotta alle fake news che hanno tempestato le prime pagine sul tema del virus.
Un altro pro è la scelta di suddividere il racconto su più punti di vista: nel cinema contemporaneo italiano ci sono svariati film che trattano l’argomento immigrazione e integrazione ma usando l’espediente dell’italiano xenofobo convinto che, per uno stravolgimento della sua vita, si trova dall’altra parte della barricata e comincia rivalutare le proprie idee. Due esempi su tutti sono: Scappo a casa, con Aldo Baglio che si ritrova senza documenti a Budapest e venendo scambiato per Tunisino è costretto a scappare insieme ad altri migranti dal centro di accoglienza in cui viene confinato; Tolo tolo, di e con Checco Zalone, che scappa dal villaggio turistico in Africa dove sta lavorando e affronta un viaggio della speranza verso l’Italia insieme ad altri migranti.
Il rischio di una scelta narrativa simile è di cadere nel retorico: come nei family movie anni ’80 in cui due personaggi in lotta si scambiavano i corpi per via di qualche rocambolesco evento e imparavano solo così ad andare d’accordo, così in questi film c’è un velo di forzatura che non permette di approfondire per davvero il tema dell’immigrazione. In La guerra a Cuba, invece, vediamo varie sfumature del continuo conflitto tra “noi e loro”; ogni personaggio porta una dicotomia: l’italiano e lo straniero, la solitudine e l’appartenenza, la verità e la bugia, visti però con gli occhi di chi li vive davvero.
Un punto a sfavore dato da questa scelta, tuttavia, è che i continui salti temporali che la storia subisce per poter riesaminare gli eventi dai vari punti di vista in gioco non rendono facilissima la comprensione al primo colpo dello svolgimento dei fatti (proprio da un punto di vista cronologico). Una seconda visione del film aiuta sicuramente a ricostruire il puzzle con maggiore chiarezza.
Il film, che è il primo lungometraggio del regista Renato Giugliano, è nato all’interno del progetto TRA LA VIA EMILIA E IL SUD che nell’arco di un anno e mezzo ha coinvolto centinaia di persone con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sui temi dell’integrazione. Molti dei corsisti e dei cittadini hanno partecipato concretamente alla realizzazione del film, sia recitando sia fornendo testimonianze e racconti che sono stati integrati nella sceneggiatura scritta da Mario Mucciarelli insieme al regista.
Lo stesso Oluwafemi è interpretato da Ousman Jamanka, un richiedente asilo che ha partecipato al progetto. Il resto del cast è composto da attori quali Luigi Monfredini, Laura Pizzirani, Antonio De Matteo, Piergiuseppe Francione, Licia Navarrini ed Elisabetta Cavallotti, che per la sua interpretazione nel ruolo di Viola ha vinto il premio come Miglior Attrice al Castelli Romani Film Festival.