Regia: Roy Andersson; sceneggiatura: Roy Andersson; fotografia: Gergely Pálos; scenografia: Anders Hellström, Frida E. Elmström, Nicklas Nilsson; costumi: Julia Tegström, Isabel Sjöstrand, Sandra Parment, Amanda Ribrant; interpreti: Prete (Martin Serner), Narratore (Jessica Louthander), Coppia che vola (Tatiana Delaunay e Anders Hellström), Uomo sulle scale (Jan Eje Ferling), Psichiatra (Bengt Bergius), Dentista (Thore Flygel); produzione: Pernilla Sandström, Johan Carlsson, Philippe Bober, Håkon Øverås, Sarah Nagel, Isabell Wiegand; Compagnia di produzione: Roy Andersson Filmproduktion AB paese di produzione: Svezia/Germania/Norvegia -2019; durata: 78’.
Sulla Infinitezza: il viaggio artistico di Roy Andersson verso il senso dell’esistenza
Presentato in anteprima il 3 settembre 2019 in concorso alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Sulla Infinitezza vinse il Leone d’argento per la migliore regia in quell’occasione. Da giovedì 27 maggio il film scritto e diretto da Roy Andersson esce nelle sale italiane, distribuito da Wanted Cinema. Il regista ci accompagna in una galleria di tableau vivant per riflettere sulla vita dell’uomo in tutte le sue sfumature, dall’amore all’indifferenza, dalla crudeltà alla banalità; ogni momento assume la stessa importanza e profondità, con una drammaticità molto accentuata.
Sulla Infinitezza è un film di breve durata, ma con un ritmo abbastanza lento, caratteristica che non lo rende accessibile a tutti. La scenografia costituisce uno degli aspetti che ho apprezzato maggiormente, in quanto regala simmetria e profondità ai momenti iperrealistici rappresentati, toccando ogni dettaglio. Ciò è accompagnato da una superba regia, interamente in camera fissa, che non si concentra mai solo sul soggetto, piuttosto sul quadro d’insieme. Nel lungometraggio notiamo tutti i caratteri distintivi del cinema di Andersson con una novità: spesso le scene sono accompagnate da una voce femminile (forse identificabile proprio come l’infinitezza) ispirata al personaggio di Scheherazade ne Le mille e una notte.
Sulla Infinitezza costituisce l’ultima opera di Roy Andersson, regista svedese nato nel 1943 a Göteborg. Dopo essersi diplomato alla Swedish Film School nel 1969, l’anno dopo vinse quattro premi al Festival di Berlino con il suo primo lungometraggio, Una storia d’amore. Dopo Giliap, il suo secondo film, Andersson si prese una pausa dal cinema e divenne un regista pubblicitario di successo, vincendo otto Leoni d’Oro a Cannes. La carriera pubblicitaria gli ha permesso di fondare Studio 24 a Stoccolma nel 1981, con cui ha potuto realizzare liberamente i propri film. Dopo diversi corti di successo e altri film, nel 2014 vinse il Leone d’oro a Venezia con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza.
Tramite l’intervista di Philippe Bober a Roy Andersson approfondiamo alcune tematiche del film. In particolare, il regista ci ha raccontata qual è stata la scena più impegnativa di Sulla infinitezza e il suo significato:
“Penso la scena della coppia volante. A parte la costruzione del modello della città di Colonia, che ha richiesto molto tempo. La scala è circa 1/200. Ad esempio, la Cattedrale è alta mezzo metro. L’intera città è un set enorme e ci è voluto un mese di lavoro per la sua realizzazione. È una terribile reminiscenza della Storia: una bella città bombardata e distrutta. Ma nonostante ciò, volevo mostrare che la vita va avanti. Amore, tenerezza, sensualità continuano a esistere. Era importante far vedere questi lati dell’esistenza in una città distrutta.”
La scena in questione mi ha ricordato Sulla città di Marc Changall. Roy Andersson ha dichiarato che si è ispirato a un preciso movimento artistico per Sulla infinitezza:
“Sono interessato dagli artisti della corrente della Nuova Oggettività per la forza dei loro dipinti. Secondo me sono straordinariamente netti e dettagliati: tutto è a fuoco, in modo estremamente nitido e distinto. La stessa nitidezza non è rintracciabile nella storia del cinema: lo sfondo deve essere sfuocato.
Ecco perché trovo questi dipinti molto stimolanti per ciò che metto in scena: tutto è a fuoco, anche i momenti grotteschi della vita. Spesso sono molto invidioso della pittura perché sento che la storia del cinema non ha la stessa qualità della storia della pittura. Desidero davvero che i film siano ricchi quanto può esserlo la pittura.”
Inoltre, il regista ci ha spiegato perché in Sulla Infinitezza le scene di guerra raffigurano i perdenti: “Sì, i vincitori non sono interessanti. Perché, in un certo senso, siamo tutti perdenti. È importante riconoscere che alla fine nessuno è un vincitore. Non sono una persona pessimista ma il fatto è questo: non c’è speranza. La vita è una tragedia. Non sono la prima persona a dirlo.”
Infine, riporto integralmente la domanda di Bober che più ricerca il senso di Sulla infinitezza e la relativa risposta di Roy Anderson:
Alcuni dei temi affrontati in questo lavoro sono presenti anche in altri tuoi film: l’ottimismo rappresentato dalla giovinezza, ma anche la guerra e la disperazione, l’assenza di Dio. Qui metti in scena un prete che non crede in Dio. Pensi ci sia sempre un equilibrio tra speranza e disperazione?
R.A.: Il tema principale del mio lavoro è la vulnerabilità degli esseri umani. Penso che sia un atto di speranza creare qualcosa che mostri vulnerabilità. Perché se sei consapevole della vulnerabilità dell’esistenza, puoi diventare rispettoso e attento verso ciò che hai. Volevo sottolineare la bellezza dell’esistenza, dell’essere vivi. Ma ovviamente, per ottenere questo scopo, devi avere un contrasto; si deve mostrare il lato brutto, crudele, dell’esistenza. Per esempio, guardando alla storia dell’arte, molti dipinti sono decisamente tragici. Ma anche se raffigurano scene crudeli e tristi, dipingendole gli artisti hanno in qualche modo trasferito l’energia e creato speranza.