Cosa resta della rivoluzione (Tout ce qu’il me reste de la révolution)
Figlia di un padre maoista e di una madre femminista, la trentenne Angèle è urbanista nell’odierna Parigi. Viene licenziata da un suo ex professore, ‘sessantottino’ della prima ora, che fati due conti non può permettersi di pagare uno stipendio con tanto di contributi, preferendo assumere uno stagista sottopagato al suo posto. La ragazza è così costretta a tornare a casa dal padre, vecchio rivoluzionario che vive di ricordi. Le resta almeno l’impegno politico, al quale non ha mai rinunciato, a differenza della madre, ritiratasi a vita privata in campagna lasciando la famiglia dopo le privatizzazioni selvagge del governo socialista Jospin del 1997 e della sorella Noutka che ha preferito sposarsi e condurre una vita agiata da borghese con un marito in carriera, Stèphane. Grazie ad una manifestazione Angèle e la sua amica Lenòr mettono insieme un gruppo di insoddisfatti coi quali discutono di tematiche sociali, sperando un giorno di formare un partito, in un mondo che sembra sempre più legato al denaro e sempre meno propenso a riconoscere ideali: il cantante punk Johnny Rotten gira uno spot per la margarina, pur di sbarcare il lunario, la rivoluzione proletaria e la ribellione giovanile sono fallite e il mondo non è cambiato. Angèle se ne rende conto ed è sempre più aggressiva e intransigente: incontra un giovane insegnante, precario naturalmente, col quale vorrebbe avere una relazione ma non riesce ad impegnarsi. Scopre che la madre non l’ha abbandonata come pensava e accetta di ricongiungersi con lei nella sua casa di campagna. In quella cornice bucolica Stèphane esplode e rivela i problemi che ha sul lavoro e nella vita matrimoniale. Nemmeno la ricchezza e il guadagno rendono felici. Tornati a Parigi, Stèphane si unisce al gruppo di discussione creato da Lenòr e Angèle. Quest’ultima riuscirà a cambiar vita, a partire dalle piccole cose e dalla quotidianità?
Il commento del redattore
Al suo secondo film la trentottenne Judith Davis passa dietro la macchina da presa, senza rinunciare al ruolo di protagonista di Cosa resta della rivoluzione. Senza un punto interrogativo: la regista non si propone di dare una risposta al fallimento di una generazione, preferisce analizzare gli effetti che questo avvenimento ha lasciato nella vita sociale e familiare dei personaggi. La rabbia di Angèle contro una generazione che ha consegnato ai trentenni di oggi un mondo sempre più gretto, senza ideali, dove anche coloro che una volta lottavano con passione ormai alzano le spalle rassegnati, forse è giustificata. Oggi si è ‘liberi’ si è ‘flessibili’,nel mondo del lavoro così come nelle relazioni, ma con queste premesse è ancora possibile costruire qualcosa? Fare un salto nel buio e credere in una vita migliore? La protagonista trova la sua risposta e lo spettatore ha la possibilità di fare lo stesso seguendo la storia, che ha il pregio di trattare un tema scottante con i toni leggeri e agrodolci della commedia, al contrario di quanto per esempio fa Ken Loach, affrontando argomenti simili. Cosa resta della rivoluzione mi è piaciuto molto e mi sento di consigliarlo a coloro che cercano una pellicola con momenti divertenti ma ricca anche di contenuto, che possa stimolare una riflessione. Uscito in Francia nel 2018, il film è distribuito nelle sale italiane a partire dal 27 agosto 2020 a cura di Wanted.