La casa di produzione di Matteo Rovere e Sydney Sibilia, Groenlandia, si getta nel mare burrascoso del “true crime” con Qui non è Hollywood mettendo alla guida dell’equipaggio Pippo Mezzapesa. Basato sul libro Sarah la ragazza di Avetrana, scritto da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni ed edito da Fandango Libri, Disney affida questo progetto ad una produzione che ha nelle vene sangue fresco ed innovativo distaccandosi completamente per forma e contenuto da quei prodotti di grande richiamo e successo distribuiti da Netflix sotto la guida di Ryan Murphy (a questo link la recensione della sua ultima creazione).
Qualcosa va subito storto poiché, a pochi giorni dall’uscita inizialmente prevista il 25 ottobre, il primo cittadino di Avetrana richiese la “rettifica della denominazione” iniziale della serie. Da Avetrana – Qui non è Hollywood, infatti, la serie esce ufficialmente il 30 ottobre rimuovendo la presenza di Avetrana dal titolo. Pace sembra essere fatta dunque eppure, tralasciando i problemi politici scatenatisi in questi giorni che tratteremo nel corso della recensione, sin dai primi minuti qualcosa sembra non funzionare nella serie e la raccapricciante storia di Sarah Scazzi non arriva con l’intensità che il racconto avrebbe meritato. Scopriamo perchè.
La sinossi di Qui non è Hollywood
Qui non è Hollywood racconta il delitto di Avetrana in cui perse la vita la giovane Sarah Scazzi e l’imponente risonanza mediatica che lo caratterizzò. In 4 episodi da 60 minuti, ognuno con il punto di vista di uno dei protagonisti della storia, Sarah, Sabrina, Michele e Cosima, la serie propone un racconto a più voci di uno dei più noti casi di cronaca nera italiana.
Avetrana è un paese bruciato dal sole nella periferia pugliese, a ridosso del mare. È il 26 agosto del 2010 quando Sarah, una giovane ragazza di 15 anni, scompare. Tutto il paese è in subbuglio, soprattutto la cugina, Sabrina, che nella sua casa di via Deledda, proprio quel pomeriggio, l’aspettava per andare al mare. Sembra una fuga innocente, ma non lo è. Perché, mentre tutti la cercano, Sarah è già stata inghiottita nel nulla. La troveranno in fondo a un pozzo.
Proprio su quest’articolazione ad episodi ho riscontrato le prime incertezze di Qui non è Hollywood, di cui tratterò a breve, che segue costantemente i fatti di cronaca riportando anche frasi e situazioni realmente accadute nel corso delle indagini. Un racconto duro e crudo che punta alla trasparenza.
“Gli occhi e le parole della gente”
Prima di fare una rassegna delle note negative di Qui non è Hollywood vorrei soffermarmi su quelle positive iniziando da una tematica ricorrente più o meno esplicita in tutti gli episodi. A partire dal primo denominato “Sarah” si mette subito in risalto la potenza che avrà lo sguardo in tutta la serie. Uno sguardo che, ovviamente, non solo rimanda alla potenza dell’occhio della macchina da presa, protagonista indiscussa di una vicenda che ebbe un impatto mediatico devastante, ma che assumerà un ruolo fondamentale per tutti i protagonisti di questa storia. Nessuno escluso.
Sin dai primi minuti Sarah è infatti osservata, squadrata, mal vista dalle persone che incontra lungo il viale principale di Avetrana che, con quelle palme sui lati del marciapiedi, richiama il Rodeo Drive di Beverly Hills, casa di star e celebrità americane sugli occhi e la bocca di tutti. Quella che sembra essere solo una suggestione diventa in breve tempo linguaggio nel momento in cui la composizione interna dell’immagine verrà sempre più tappezzata di specchi. Specchi che spezzano, modellano e reinquadrano i corpi che gli finiscono dentro.
La scenografia, perfettamente congegnata, porta dunque a scomporre in più parti le sagome dei personaggi che si riflettono in questi specchi alterando punti di vista e percezioni e incastrando i protagonisti all’interno di gabbie visive. Il desiderio di apparire, la gelosia e l’invidia, non a caso, sono i motori che muoveranno Sabrina ad uccidere la cugina in accordo con la madre Cosima e a commettere uno degli omicidi più celebri della cronaca nera italiana.
Un’altra tecnica utilizzata dal regista in fase di ripresa in Qui non è Hollywood sta in una costante ricerca del fuori fuoco. Come un’occhio miope affaticato Pippo Mezzapesa sembra a volte voler occultare ciò che viene mostrato nelle sue inquadrature quasi a voler celare i dettagli macabri e scabrosi di una vicenda che, dopo ben sette anni dall’accaduto, sembra essersi risolta nel 2017 con la definitiva assegnazione dell’ergastolo a Cosima e Sabrina e il rilascio, qualche mese dopo, di Michele ritenuto “innocente”.
Ottime poi le interpretazioni di tutto il cast che ha studiato con attenzione le controparti reali interpretate tanto da finire per somigliargli spaventosamente.
Le criticità di Qui non è Hollywood
Dalle note di Tranne te (2010) di Fabri Fibra con cui si apre il primo episodio a Complicated (2002) di Avril Lavigne, Qui non è Hollywood proietta immediatamente lo spettatore nel passato immergendolo nella quotidianità di una ragazzina annoiata. “Voglio sparire ma solo per due settimane” afferma Sarah nel primo episodio mentre tutta la narrazione e gli spettri che aleggiano sulla giovane ragazza iniziano a manifestarsi. Sin da subito però qualcosa non torna.
In primis nella gestione degli episodi. I quattro atti in cui si articola Qui non è Hollywood rispettivamente intitolati “Sarah”, “Sabrina”, “Michele” e “Cosima”, sembrano riportare i fatti in maniera un po’ troppo frettolosa e di difficile comprensione per uno spettatore ignaro della vicenda, facendomi dubitare su quale sia il target di riferimento di questa serie. Forse edulcorata e addolcita per questioni produttive essendo poi distribuita su Disney+ il tutto sembra essere narrato velocemente e a bassa intensità portando lo spettatore a focalizzarsi principalmente negli episodi centrali, decisamente più ritmati di quelli che aprono e chiudono la serie.
La regia di Pippo in Qui non è Hollywood non spicca inoltre per virtuosismi tecnici ma punta alla solidità del racconto non perdendosi in fronzoli. Una scelta sicuramente voluta e che spesso sembra essere a totale servizio della sceneggiatura. Oltre questi “ragionevoli dubbi” un plauso va alla scelta delle musiche in cui, fra tutte, spicca l’end credit song di ogni episodio scritta da Marracash e prodotta da Marz. La banalità del male racchiude perfettamente i significati intrinseci della vicenda esemplificandoli e recita:
Sai che il male è banale ma è comprenderlo che è complesso. Se ci affascina tutti è perché tutti l’abbiamo dentro. Ogni caso irrisolto è poi soltanto specchio del nostro. Sotto ogni letto c’è un mostro devi soltanto andarci d’accordo.
La momentanea sospensione della serie
Una delle prime immagini della serie è il cartello stradale in cui è ritratta la scritta “Benvenuti ad Avetrana“. In Qui non è Hollywood la località pugliese è uno dei protagonisti della storia. Un protagonista silenzioso ma ingombrante che, proprio pochi giorni prima dell’uscita ufficiale della serie prevista per il 25 ottobre, è stata la principale causa di dibattiti politici.
Il Tribunale di Taranto aveva infatti accolto il ricorso del sindaco della città pugliese, emettendo un provvedimento di sospensione cautelare. Per il primo cittadino era necessario “visionarla in anteprima al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico potesse suscitare una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà“.
Il sindaco ha spiegato che si trattava di portare il giusto “rispetto per la comunità e una giusta connotazione”, aggiungendo che Avetrana dovrebbe essere celebre per i suoi tesori storici e artistici ma, quella che sembrava una tutela, somigliava più ad un timore che, in Qui non Hollywod, si trattasse e maltrattasse la cittadina oramai martoriata dalla vicenda Scazzi. Nella serie in realtà Avetrana è rappresentata, in fin dei conti, come un qualsiasi paese italiano in cui si parla poco ma si conosce molto.
Rovere in un post su Instagram, in occasione dell’annuncio dell’uscita definitiva della serie il 30 ottobre, ha scritto testuali parole: “Come autore, oltre che come produttore, sono convinto che esercitare la nostra libertà creativa è da sempre un mantra, un diritto ma anche un dovere. Un consiglio banale a chi scrive: date forza al vostro punto di vista. Non bisogna chiedere agli autori di costruire una realtà parallela in cui il male non esista. Dobbiamo essere uno specchio nel quale la società possa rivedersi, analizzarsi, viversi in tutte le sue forme, anche le più difficili. Stimolare un ragionamento significa sviluppare il senso critico, che è il vostro più grande alleato per leggere il mondo“.
A queste parole, dunque, non pare esserci molto altro da aggiungere.