“Chiediamo a Mario Draghi che riapra le sale il prima possibile, perché ormai è forte in tutti la preoccupazione che si crei una disabitudine ad andare al cinema”.
Si apre con un appello rivolto a Mario Draghi, attuale premier del governo, l’intervista a Pupi Avati su Adnkronos. Il regista, dall’8 febbraio su Sky Cinema Uno e in streaming su Now TV con il suo nuovo film Lei mi parla ancora, ragiona sulla chiusura dei cinema e sulle sue allarmanti conseguenze; ne abbiamo già ampiamente parlato in altri articoli (vedi: Cinema e teatri CHIUSI: noi non ci stiamo! e Come cambierà il cinema dopo il Covid-19) e abbiamo sottolineato più volte la delicata situazione del mondo del cinema in questo particolare momento storico, dove la normalità sono le mascherine e i disinfettanti, mentre l’eccezionalità è tutto quello che prima era quotidiano, proprio come andare al cinema.
Vedi anche: Il signor Diavolo di Pupi Avati: un film un po’ confuso
Quali sono i timori di Pupi Avati?
Le paure di Pupi Avati sono principalmente tre: che le persone perdano l’abitudine ad andare al cinema, che perdano la capacità di rimanere concentrate su un film e di arrivare fino alla fine, e che si dimentichino della magia della sala cinematografica.
Queste le parole del regista:
“Ormai è un anno che sono chiusi per cui il cinema, non come fruizione generale ma come sala cinematografica, luogo deputato alla visione dei film, sta uscendo dalle abitudini delle persone. Io non sento nessuno dire che ne ha nostalgia: ormai i film li guardano a casa”.
“La differenza sostanziale è che in una sala cinematografica il film comanda. Io non ho mai visto in tutta la mia vita di spettatore, non ho mai visto uno uscire da una sala dopo tre minuti dall’inizio del film. Mentre invece quando un film è programmato su una piattaforma streaming, chiunque abbia un telecomando micidiale in mano può cambiare in qualsiasi istante”
Come sottolinea Avati, il pubblico si sta abituando a guardare i film a casa e si sta anche abituando alla “libertà” e alla comodità che la propria abitazione offre rispetto alla sala cinematografica: si può parlare tranquillamente con gli altri, si può mangiare, giocare col cellulare, leggere i messaggini, cambiare canale se il film non appassiona.
“Cambiano radicalmente le condizioni nelle quali viene fruito il film: in una sala, viene visto in una condizione di totale rispetto della pellicola. Nessuno mette in pausa, mangia, telefona, parla a voce alta, si alza. Il lavoro che ha fatto un autore per cercare di creare delle atmosfere è evidente che venga eluso. E quindi perde la sua efficacia. C’è una serie di esercenti illusi che questi ristori vadano avanti per tutta la vita, e preferiscono restare chiusi. Questo è molto grave, è un grosso equivoco. I ristori non dureranno per sempre”.
Se le sale continueranno a rimanere chiuse ancora a lungo, non stentiamo a credere che quanto dice Pupi Avati non diventi effettivamente realtà. Riabituarsi a stare in mezzo agli altri, in silenzio in una sala per due ore, concentrati su uno schermo, non sarà certo facile, ma sarà essenziale riuscirci, non solo per garantire la sopravvivenza del cinema, ma anche la nostra.