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Pornhub: il Netflix del sesso

Irene Pepe 6 anni fa Commenta! 6
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Come il porno è passato da un genere nascosto nell’ombra a un fenomeno che attrae personalità famose, pubblicizza marche di alta qualità e promuove cause ecologiste

Pronhub cominciò in sordina, come piattaforma di video pirata. Oggi pubblicizza rinomate marche di moda, attira le superstar e promuove campagne per pulire gli oceani. È stato definito “Il rapporto Kinsey della nostra generazione”. Per chi non lo conoscesse, Alfred Kinsey fu un sessuologo del secolo scorso che raccolse la vita sessuale di 5.300 uomini e 5.940 donne e le pubblicò, nel 1948, in due poderosi volumi, Il comportamento sessuale dell’uomo e Il comportamento sessuale della donna noti, appunto, come “Rapporto Kinsley”. Prima di proseguire diciamo, per correttezza, che le informazioni che riporteremo sono tratte da un divertente articolo apparso su El Pais di qualche giorno fa che condividiamo con piacere.

Sulla piattaforma ci sono milioni di video, tanti da dubitare che con un numero di orifizi limitato si potesse produrre una tale quantità di variabili. Se Google è il browser più consultato al mondo, Pornhub si piazza a un dignitoso 38° posto, sufficiente per far diventare il suo proprietario talmente ricco da circondarsi di cose inutili, come un acquario tanto grande che un palombaro si deve tuffare ogni settimana per pulirne il fondo. Nel 2007 Matt Keezer comprò il dominio “Pornhub” per 2500 euro e cominciò a pubblicare materiale pornografico pirata scaricato dai dischi rigidi degli utenti con un sistema affine a e-mule o torrent. Ovviamente questi filmati erano del tutto illegali, perché avevano il copyright, ma rimaneva una cosa da amatori. Nel 2010 Fabian Thylman comprò Pornhub, YouPorn e RedTube. Thylman non era un appassionato del genere, ma un freddo impresario che trasformò la piattaforma in una macchina per far soldi; aprì alla pubblicità che, in un sito così frequentato, non si fece pregare per investire e divenne immensamente ricco. Nel 2013, quando lo indagarono per evasione fiscale, Thylman vendette la piattaforma per 66 milioni di euro, patteggiò per pagare quattro milioni e mezzo di euro (perché era in Germania, in Italia avrebbe risparmiato almeno due milioni di euro) e ora è pulito e con 57 milioni e mezzo di euro in tasca.

Ma come aveva potuto accumulare tanta ricchezza, contando solo sulla pubblicità, con un sito completamente gratuito? All’inizio offriva materiale altrui, ma lui sosteneva di mettere a disposizione solo la sua tecnologia e non era tenuto a controllare la legalità dei video che gli postavano. Dal canto loro i produttori di film porno, detentori dei diritti, abbandonarono ogni tentativo di lotta: cercare il materiale per cancellarlo era un’impresa non da poco, col risultato che il giorno dopo il video cancellato si poteva ritrovare allo stesso posto. Nel secondo stadio, come già era accaduto per la musica di spotify o le piattaforme in streaming dei film convenzionali, i produttori adottarono il motto di Giulio Cesare “Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum”, più o meno “se non puoi battere il tuo nemico, fattelo amico“. Ora Pornhub funziona con la collaborazione di centinaia di produttori che gli mandano materiale, spartiscono i guadagni della pubblicità e indirizzano i suoi utenti ai propri siti. Se poi vuoi vedere il tuo film porno in santa pace, senza essere interrotto dagli annunci pubblicitari, con la modica cifra di 9,99 euro mensili, non solo non t’interrompe nessuno, ma ti migliora la qualità delle immagini e si può arrivare alla realtà virtuale, che linguisticamente sarebbe un ossimoro, ma pare che esista.

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Cosa pubblicizza Pornhub? in prima istanza merce prevedibile: profilattici, allungatori di pene, viagra, videogiochi porno. Nel 2016 la Diesel, che vende profumi e stivali costosissimi, pensò bene che su una piattaforma da 60 milioni di visite al mese valeva la pena di tentare a investire. L’incremento delle vendite fu del 31%. Anche se non ci sono prove che l’incremento fosse dovuto alla pubblicità su Pornhub, la cosa provocò una pioggia di altri insertori: da una rete di pasti a domicilio che pubblicizzò la sua merce con lo slogan “Il porno non vede da solo“, a marche di prodotti per la bellezza maschile, abiti e via dicendo. In tal modo anche il porno ha avuto la sua ascesa sociale: oggi ci sono pornoattori che pubblicano romanzi, rilasciano interviste a riviste come Time e Vogue, attori che entrano a far parte di cast di film convenzionali, come il nostro Rocco e, viceversa, personaggi popolari dello spettacolo flirtano col mondo del porno.

Con questo successo alle spalle, Pornhub ha pensato che avrebbe potuto fare anche qualcosa (o qualcos’altro) di buono per il mondo e si è impegnato in campagne ecologiste, come piantare un albero ogni cento video visti. Ha girato una scena dal titolo Il porno più sporco mai visto, ambientato in una spiaggia devastata dai rifiuti e, per ogni visualizzazione, la piattaforma fa una donazione a Ocean Polymers. Questa cosa dà speranza. Trovo confortante che anche una piattaforma come Pornhub si batta per contrastare la polluzione atmosferica. Ma non quella sessuale.

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