Si tenuto ieri pomeriggio l’appuntamento con Registi Fuori dagli Sche(r)mi, a cui hanno preso parte il regista Daniele Gaglianone, il direttore artistico della manifestazione Luigi Abiusi e Anton Giulio Mancino (Università di Macerata).
L’intervista
Trasmesso in diretta sulla pagina ufficiale facebook e sul canale Youtube di Apulia Film Commission, la trasmissione è stata libera e aperta a chiunque.
L’obbiettivo della rassegna on line di quest’ano è stato quello di recuperare alcuni titoli, che negli anni erano un po’ passati in secondo piano ed è per questo che in quest’incontro, si è voluto ospitare Daniele Gaglianone, regista nel 2010 del film Pietro.
Daniele Gaglianone è un regista italiano di documentari e lungometraggi a soggetto; fra i suoi lavori più noti vanno segnalati senza alcun dubbio: I nostri anni (2001), Nemmeno il destino (2004) e Ruggine (2011).
Come in altri dei suoi lavori, anche in Pietro possiamo riscontrare dei topoi costanti, dei concetti che ritornano a farci riflettere, ha osservato Luigi Abiusi, come l’elemento della metropolitana ad esempio, presente tanto in Ruggine, quanto in Pietro.
Questa osservazione viene confermata dallo stesso Caglianone, che parla di un ambientazione urbana per i suoi film come teatro di eventi e accadimenti di solitudine.
“In Pietro sia il bus che la metropolitana, sono luoghi in cui la singolarità dell’individuo viene sottolineata e annullata allo stesso tempo, sei solo un pezzo di carne che viene trasportato di qua e di là. Sono i posti giusti dove mettere in atto la solitudine”
Abiusi ha notato ancora come, la citazione di Ungaretti alla fine della pellicola, sia perfettamente calzante con la poetica del film.
Come nel mondo ungarettiano infatti, si parte dal particolare (la storia di Pietro) per arrivare al generale (la solitudine in cui ognuno di noi, potrebbe trovarsi o si è già trovato).
Noi di I Crew Play abbiamo invece chiesto al regista da dove nasce l’idea di dare un titolo ad ogni breve accadimento della trama e in proposito in regista anconetano ha affermato:
“In realtà i titoli creano una distanza, uno stacco rispetto alla fruizione. Sono frasi che poi vengono pronunciate durante la narrazione e mi hanno consentito di saltare delle situazioni di passaggio. Il titolo abitua lo spettatore a ragionare in modo rapsodico, per episodi.”
Caglianone, con i suoi cortometraggi, ha attraversato un decennio di manifesti e denunce sui mali della società, con una tecnica ricercata, come ha osservato Anton Giulio Mancino:
“l’uso del fuori fuoco è molto utilizzato in Pietro e come anche il piano sequenza che è molto ricercato e rivoluzionario.
Elementi utilizzati alla perfezione, come nei più bei capolavori di Antonioni.”
Su questo aspetto il regista ha puntualizzato che Pietro è un film che racconta la storia di un personaggio che, per poter parlare di se per 9 minuti e 53 secondi, deve ammazzare tre persone.
Se le domande sono sbagliate, le risposte non possono essere giuste e la reazione di Pietro è atroce.
Cosa si può dire a Pietro; ha compiuto un atto di giustizia nella sua testa, che per noi è una giustificazione etica ma rappresenta nello stesso tempo un problema.
Caglianone, durante questa “piacevole chiacchierata” si è anche abbandonato al racconto di aneddoti, come la scelta della casa in cui far abitare i due fratelli, letteralmente “sequestrata” per due settimane ad un’amica.
Tempi strettissimi quindi, ma un’atmosfera molto serena quella che si respirava sul set, nonostante la trama.
Alcune tecniche molto elementari ma di grande effetto ci danno l’idea di quanto la pellicola sia stata girata con pochi mezzi, un budget di poco superiore ai centomila euro; un primo piano attraverso l’acqua di una cascata, senza alcun effetto speciale, una scena girata a rallenty, con effetto dovuto al digitale di una macchina da presa di 11 anni fa dove l’acqua smette quasi di essere liquida, ci riporta infatti a inquadrature di altri tempi.
Anche il titolo del corto nasconde una storia singolare; Caglianone ha infatti raccontato che è nato per caso e quello che all’inizio era solo un nome provvisorio, mutuato dall’attore che interpreta protagonista del film (Pietro Casella), sia poi talmente piaciuto, da rimanere come definitivo.
Un film selvaggio quindi, sotto vari aspetti.
Anche le scene in cui Pietro è costretto a fare il mimo, nascono in realtà da veri e propri sketch portati in scena da Casella durante i suoi spettacoli di cabaret.
La trama
Pietro vive in un quartiere periferico di Torino. Abita con il fratello tossicodipendente Francesco nell’appartamento fatiscente lasciato loro in eredità dai genitori. Pietro si guadagna da vivere distribuendo volantini e il suo leggero ritardo mentale lo mette al centro dell’irrisione degli amici del fratello per i quali si esibisce in imitazioni surreali. Un giorno Pietro conosce una ragazza che è stata assunta per fare il suo stesso lavoro e qualcosa nella sua vita sembrerebbe cambiare.
Il nostro punto di vista
Pietro è un personaggio con uno spessore notevole, la sua sensibilità è tale che avrebbe potuto fare ben altro, e lo capisce anche una persona meschina come Nikiniki (Fabrizio Nicastro).
Come detto la storia è scandita da titoli che fanno riferimento a fatti e battute dei personaggi; fra questi, alcuni più di altri fanno riflettere.
Emporio Armani
Va in scena la vigliaccheria di Pietro, ma anche la sua consapevolezza, la stessa consapevolezza che impedisce anche a lui di reagire quando si trova al posto del barbone che non riesce a difendere.
Poi ci vede
Inizia a delinearsi la figura di Pietro, prigioniero della sua ingenuità, schernito e deriso come un fenomeno da baraccone, giullare a comando in una società di sciocchi, superficiali e insensibili approfittatori.
Mille e uno
Pietro accudisce e si prende cura di chi di lui non si cura affatto, suo fratello Francesco (Francesco Lattarulo) ormai schiavo della droga; Pietro riordina, pulisce e non reca disturbo alcuno.
Gente che fa la fila
Ha un cellulare Pietro e un lavoro che, vi assicuro, non è per nulla facile.
Si perché il volantinaggio non è per tutti, e non è mica vero che c’è che fa la fila per questo lavoro.
Per favore mi faccia scendere
Pietro, etichettato da tutti come stupido, scemo, ingenuo, è l’unico che in realtà ha davvero capito tutto.
Francesco è in un gioco più grande di lui e sembra non rendersene conto, mentre Pietro fa quello che può per parargli il culo.
Mille e cinque
Va in scena il dramma della follia e della disperazione, quella disperazione talmente grande, da trasformarsi in vendetta, un’amara vendetta, la più atroce.
Pietro è capace di amare, di reagire, di vendicarsi e di raccontare.
Ci racconta chi è, come è, la sua storia e con fredda lucidità ricorda, recita, ma non risponde Pietro.
Un film su disagio, a più livelli, psichico, psicologico, sociale, fisico.
Pietro è un ragazzo problematico perché sfortunato, dalla nascita, certo, ma porta su di sé anche il peso di un fratello che i problemi se li va a cercare, se li crea.
Pietro prova vergogna, fastidio, schifo quasi, per quel fratello che gli rinfaccia il fatto di non aver potuto studiare per occuparsi di lui, e che bella fine ha fatto Francesco.
Pietro si sente in colpa, è rabbioso, furioso.
Nelle scene in casa è lì, ma in realtà non c’è. Le voci gli rimbombano in testa, e vorrebbe essere da un’altra parte, ma quella è casa sua, lì c’è la sua vita.
Per questo porta la sua amica a casa, e dove altro altrimenti? È l’unico modo che ha per sentirsi normale, all’interno di un microcosmo che lo considera diverso.
Le offese subite durante le serate col fratello, o nella stessa casa, degradata a lurido porto franco, sono però solo l’altra faccia dei soprusi cui Pietro è sottoposto di giorno al lavoro da un capo violento e ambiguo.
Quando nella sua vita entra una ragazza (Carlotta Saletti), della quale non viene mai nemmeno pronunciato il nome, qualcosa sembra cambiare, o forse no; non lo sapremo mai.
Un film duro e violento, perché dura e violenta è la realtà che ci svela, la più atroce.
Una realtà senza nome, simbolo di un Paese intero.
Il film infatti, è stato interamente girato a Torino, ma della città non vi è menzione alcuna.
Caglianone ha il merito quindi di non aver costruito solo una storia, ma un personaggio che resta; di Piero non ci si scorda facilmente.
È evidente quanto l’attore sia dovuto scivolare nel personaggio per restituirci quella verosimiglianza indispensabile alla tenuta drammatica della sceneggiatura, la sua interpretazione è infatti il risultato di una vasta gamma di posture e movimenti, tic nervosi e scatti improvvisi, tanto da far pensare allo spettatore ad una coincidenza totale fra attore e personaggio.
Un altro aneddoto che il regista ha raccontato durante la diretta infatti, è proprio relativo all’incontro seguito all’anteprima del film e allo stupore del pubblico presente, nello scoprire che Pietro Casella non è davvero come il Pietro del film.
Nel complesso una storia forte, anche troppo, tanto che alcune scene disturbano quasi.
Lodevole l’interpretazione di tutti i pochi personaggi, Pietro in testa.
Un film non per tutti.