«Un applauso di sei persone o sei mila, per me è uguale…». Sono queste le parole dell’attore e regista Leonardo Pieraccioni, che ci rimangono in mente all’uscita della conferenza stampa per il suo nuovo film Pare parecchio Parigi (in uscita il 18 gennaio in 450 sale cinematografiche italiane).
Un film sulla famiglia, liberamente ispirato ad una storia vera, ovvero quella dei fratelli Michele e Gianni Bugli che nel 1982 partirono con il padre malato in roulotte e gli fecero credere di essere arrivati a Parigi. Viaggiarono non uscendo quasi mai dal loro podere. Il film è dedicato a loro. E a tutti i sognatori (come recita la dedica finale del film). Leonardo Pieraccioni ne è protagonista insieme a Chiara Francini, Giulia Bevilacqua e Nino Frassica.
Racconta Pieraccioni: «Quando ho scritto il soggetto e la sceneggiatura de I laureati (1995), con Giovanni Veronesi, avevo 29 anni. Nel corso degli anni si sono raccontate porte che si chiudevano definitivamente, altre con punti interrogativi, e forse a cinquant’anni ho raccontato storie che potevano sembrare con un lieto fine. Ora, a quasi sessant’anni, ho raccontato in maniera analitica la famiglia, soprattutto nei non detti, nelle acredini, confidando che in dodici ore si possa risolvere una vita».
Ci può raccontare la genesi di questo progetto?
Pieraccioni: «Tutto è cominciato con il nome del progetto salvato nella cartella dentro al pc, dal nome: “Progetti arditi”, (perché li sento più grandi di me); ovvero quando un caro amico, Ruggero, mi raccontò di due fratelli che fanno un viaggio quasi immaginario. Quando decisi di incontrarli, mi dissero: “Mi raccomando, non ci fare individuare dai parenti”. Abbiamo cercato di renderlo credibile… Vorrei solo che, grazie a questo film, si potesse ridere dall’inizio alla fine. Ci sono stati tre/quattro momenti in cui mi sono emozionato. Ho cercato di portare sullo schermo più una favola che una commedia, più i sentimenti che le battute…».
Il film ti porta a pensare che, anche dopo anni, è possibile pronunciare la frase “Ti vorrei raccontare una cosa che non sono riuscitə mai a dirti…”
Pieraccioni: «Se il film serve a questo, ho realizzato il film più bello della mia vita. Sentir pronunciare, alla fine della proiezione, la frase: “Ma lo sai che ci devo parlare veramente con mia sorella?”. Ho sentito che era giunto il momento di fare questo film, anche perché realizzo i film che vorrei vedere… Se non l’avessi fatto, mi sarebbe andato di traverso. Soprattutto perché sentire le parole di mia figlia, dette mentre si lavava i denti, è qualcosa di veramente importante: “Hai fatto un bel film… Papà, io ci sarò sempre”».
Secondo lei, che aria tira per la commedia?
Pieraccioni: «Di film comici ne sono stati fatti tanti… Credo che il pubblico, in generale, si sia un po’ disaffezionato a questo genere, e non lo posso negare, la fatica si sente. Questo aspetto mi ha fatto riflettere, e pensare due cose: uno, non è necessario che dentro un film ci sia solo la parte comica; due, proviamo a realizzare un film come se non fosse mio. Per Pare parecchio Parigi, ho firmato il soggetto con Filippo Bologna e la sceneggiatura con Alessandro Riccio, e quest’ultimo, ad esempio, non ha mai visto un film mio e questo aspetto mi è piaciuto sin da subito, perché ha fatto sì che il film non iniziasse con i “soliti” accordi».
Pesa il fatto che i numeri da box office, nella realtà, non siano più come quelli di un tempo?
Pieraccioni: «Ricordo ancora che le sale piene per Il ciclone quasi mi impaurivano. Fin quando ne avrò la possibilità, continuerò a far film. Diciamo le cose come stanno: io smetto se mi fanno smettere, se mi dicono ‘ora basta’; continuo finché ci saranno tre pensionati in sala il mercoledì pomeriggio… Chi nasce per fare “oplà” deve fare “oplà”. Mi commuovo anche se ci sono sei spettatori in sala. Ho sempre pensato che se non avessi avuto fortuna nella grande macchina del cinema, mi sarei potuto godere un applauso anche più piccolo, magari di un teatrino di Firenze… Un applauso di sei persone o sei mila, per me è uguale».
Frassica ci racconta di aver accettato questo ruolo “per cambiare dal solito personaggio”, soprattutto siciliano (ride, perché il suo messinese è chiaro sin da subito).
La scommessa di fare un film dentro un camper, com’è stata:
Chiara Francini: «È stato più che un viaggio, una meta. Penso che dovremmo fare più viaggi perché un giorno non ci saremo più. Pare parecchio Parigi rappresenta la mia idea di felicità. Un viaggio nel ricercare la felicità. Siamo stati per due mesi dentro il maneggio e veramente facevamo gli stessi giri: ad un certo punto rivedevi gli stessi alberi, comprendevi che ore erano dalla luce… Anche quel viaggio è diventato un compagno. È stato come fare una gita con degli amici: ci ha fatto conoscere come esseri umani e diventare una vera famiglia».
All’interno del film ci sono tanti attori toscani: Chiara Francini, Massimiliano Galligani, Gianna Giachetti, Sergio Forconi, Gaia Nanni, Alessandro Riccio, Massimo Ceccherini…
Pieraccioni: «Il film riesce grazie ai coprotagonisti che riescono a dare delle pennellate meravigliose. Personalmente, essendo un clown bianco, ho bisogno di alcune “spalle”, e così mi nutro di loro, perché possiedono tutti i colori. Ho spesso messo dentro i miei film attori siciliani, napoletani, anche dove non ci stavano, ma perché sono innamorato del loro dialetto. Anche da una posa, una scena, il film si nutre di veridicità. Portano il tutto diviene un film corale».
Conclude Leonardo Pieraccioni sul politicamente corretto: «È una cosa folkloristica. Il politicamente corretto assume i connotati di una cosa che passerà e ce ne ricorderemo… Quando il mio bravissimo montatore, mi chiede: ‘Lo lascio lo scappellotto alla sorella? Sai in un momento così…’. Be’, se non si capisce che lo scappellotto unisce, ti rendi conto? Umberto Eco ci aveva prospettato che Internet avrebbe dato la parola a chiunque, anche ai bischeri, ma ora si è esagerato. Nel Ciclone: mi’ zio diceva ‘se tu sei buco dillo’, ora un titolo ci farebbero… Se Bennato voleva che sono solo canzonette, ebbene, queste sono solo bischerate».