Parasite è un indiscusso capolavoro cinematografico e chi non la pensa così o non l’ha visto, o sta mentendo.
Questa recensione è priva di spoiler e ci tengo a precisarlo da subito, perché se anche tentassi di anticiparvi il contenuto del film scena per scena, non riuscirei affatto a rendergli giustizia e a trasmettervi l’intensità di cui è stracolmo.
Non è affatto semplice recensire una pellicola come Parasite, viene un bel po’ di fifa e si prova quel timore reverenziale che si riserva alle cose più grandi di noi, imponenti, che segretamente ammiriamo e che ci intimidiscono allo stesso tempo. Ma, in quanto redattrice, ne sono al tempo stesso attratta, affascinata ed ho un’irrefrenabile voglia di discuterne.
Il film introduce una famiglia della Corea del Sud che versa in condizioni di estrema povertà, abita nel seminterrato di un palazzo e si guadagna da vivere assemblando scatole di cartone per una pizzeria. Il destino ed un pizzico di intraprendenza fanno intrecciare le vicende di questo nucleo famigliare ad un altro, ben diverso. Facciamo dunque la conoscenza di una ricca famiglia coreana che risiede in una splendida ed esclusiva villa e per la quale i soldi non sono e non sono stati mai un problema. Tutto accade sotto gli occhi dello spettatore che assiste (col senno di poi come in un appassionante documentario) all’incubazione, alla nascita e all’evoluzione di un parassita con una discreta e celata brutalità che quasi sconcerta. Poi, nel corso di una notte, tutto cambia. Tutto cambia in una notte di pioggia battente. Tutto cambia sulle note di In ginocchio da te di Gianni Morandi. Tutto cambia con una frase sussurrata appena, ma potente al punto tale da risuonare nella testa e nel cuore dello spettatore per il resto del film.
In Parasite non c’è una netta contrapposizione tra bene e male, giusto e sbagliato. Tutta l’ambivalenza ben definita dell’inizio del film e rappresentata dalle due famiglie, sfuma poco a poco e diventa meno incisiva man mano che la narrazione prosegue, perché non ci sono cattivi tout court o eroi senza macchia, ci sono gli esseri umani con tutte le loro debolezze, con l’incontrollabile incoerenza di cui sono capaci, con una morale discutibile ed una prospettiva soggettiva. E’ una meravigliosa ed altissima analisi sociale che rispecchia la triste realtà universale dei giorni nostri. Parasite potrebbe essere astrattamente ambientato in qualsiasi nazione e di famiglie come quelle protagoniste del film, è pieno il mondo. Forse è proprio questo il più grande pregio di questa pellicola: il fatto di essere così reale da far male, da colpire in pieno petto.
Per analizzare tecnicamente la realizzazione del film probabilmente mi manca la giusta preparazione, ma posso affermare con certezza che la regia di Bong Joon-ho è raffinata ed impeccabile, Parasite esalta le forme e le simmetrie, comunica attraverso immagini ad alto impatto architettonico e tra le scene di vita povera ed agiata, è percepibile anche una vera e propria colorazione diversa, i toni scuri, cupi e la coltre d’umidità, lasciano spazio a colori pastello, volti radiosi ed aria pulita. Gli interpreti sono bravissimi, estremamente espressivi e la recitazione sia dei personaggi principali, sia di quelli di secondo piano, è impeccabile. I costumi, la mimica ed i dialoghi sono curati nei minimi dettagli ed entrambi variano nettamente tra le due famiglie, difatti assieme alle scene ed i contesti mutano sensibilmente anche movenze, postura e dialettica.
Infine, ma non meno importante: Parasite non solo ha un finale, ma ha un vero finale. Non ha un finale di convenienza, né un finale “sospeso” ed è la dimostrazione della qualità e della originalità delle produzioni cinematografiche coreane, destinate ad offuscare quelle Hollywoodiane. Promosso a pieni voti.
Consiglio di guardare Parasite due volte, sarà possibile notare tanti piccoli particolari che la sorpresa suscitata dalla “prima visione” non consente di cogliere.
Brava Luana 😝