La profondità a portata di bambino
Inquietanti! Ci sono opere che scuotono le coscienze perchè in grado di scavare in profondità, attingere a zone oscure e portare in forma artistica il mondo sommerso in una superficie evidente. Quando questo processo avviene col cinema ci aspettiamo che, ad occuparsi di queste inquietudini, siano film importanti, d’autore, indubbiamente film destinati ad un pubblico di adulti. Eppure il lato oscuro non è assente nell’essere umano, sin dalla nascita. Direi che più che nascere senza peccato, si nasca senza la consapevolezza del peccato e che il dolore e la possibilità di parlarne, di esprimerlo, di elaborarlo, attraverso l’arte e la possibilità d’immedesimarsi con un personaggio, siano chiavi di ritorno alla gestione della nostra umanità. In una cultura edonistica, del piacere apparente quanto superficiale, si esorcizza il dolore, negandolo, fino a consentirgli d’ingigantirsi e vincere su di noi attraverso forme, più o meno gravi, di depressione, dipendenze, nevrosi varie, diffuse e reiterate, senza che intervenga alcuna capacità critica. E’ in quest’ottica che piccoli capolavori d’animazione vengono inibiti alla fruizione dei più piccoli, quando non dalla censura, dagli stessi genitori. Partendo da queste intuizioni, riflessioni e scelte educative, volte alla comunicazione, piuttosto che alla negazione delle zone d’ombra, ho individuato alcuni film che trattano temi difficili e, proprio per questo, poco conosciuti dal grande pubblico, ma preziosi, come lo sono le opere rare autentiche e fragili.
Nel 2012 Patrice Leconte realizza La bottega dei suicidi. La commissione di Censura italiana che lo ha vietato ai minori di 18 anni argomenta: … il tema del suicidio è trattato con estrema leggerezza e facilità d’esecuzione, come se fosse un atto ordinario o servizio da vendere al dettaglio, creando il pericolo concreto di atti emulativi da parte di un pubblico più giovane … Il ricorso in appello avanzato dalla società VIDEA c.d.e. Spa revoca il provvedimento. Resta lo sgomento!
In una Francia triste e grigia, seguendo un volo, tra cadute rovinose, intuiamo che la depressione contagia anche i piccioni. La legge vieta il suicidio pubblico, questo dettaglio sembra una profetica anticipazione dell’atteggiamento censorio riservato al film stesso. In questo contesto la famiglia della Maison Tuvache, rispondendo alla domanda del mercato, dispensa sapientemente metodi personalizzati per una sicura dipartita. Trapassato o rimborsato cantano, a mò di musical dell’orrore. Basta soffermarsi un solo istante sull’ipotesi di una comunicazione simbolica, portata alle estreme conseguenze, per intuire come la rassegnazione alle regole del mercato giochi in favore della conservazione dello status quo, in una corresponsabilità collettiva tra richiesta ed offerta, dove, a spezzare la coazione a ripetere, si rende necessaria la scheggia impazzita, l’imprevisto, in questo caso la gioia di vivere fatta persona: il piccolo Alan. Sebbene ci sia in gioco l’istinto più ancestrale di cui siamo dotati, quello della sopravvivenza, assistiamo al paradosso della negazione del valore della vita per aggrapparvisi segretamente. I sorrisi di Alan sono addirittura disturbanti, destabilizzanti, minano l’equilibrio precario della famiglia, lentamente i rimorsi si fanno strada, tra occhiaie, pessimismi e negatività. L’amore, nella forma dell’eros, s’impossessa della sorella adolescente, proprio grazie al piccolo Alan che, intanto, animato dalla sua profonda fede nella vita, organizza la sua piccola rivoluzione a suon di risate, musica e spirito d’aggregazione, le vibrazioni del suono compromettono le alchimie della morte. Eccolo qui fratello Thanatos presentato, elaborato e riproporzionato, ecco l’eros vincere e poi, dulcis in fundo,danzare nuove armonie coi fantasmi, come a dichiarare la necessità di un dialogo con la morte che ci consenta di esaltare la vita, nella consapevolezza e nell’ascolto della mortalità, ch’è manifestazione del fluire e proliferare della vita di forma in forma, di cambiamento in cambiamento. Un film che consiglierei nelle scuole, proprio in quella fase in cui i temi esistenziali hanno il peso dell’urgenza, proprio nella fase più difficile, perchè tutto ciò che si esprime, si dice e si mette fuori, è soggetto alla trasformazione nel momento in stesso in cui esce. Meglio fuori che dentro, dico io, esclamava Shrek, riferendosi a tutt’altre funzioni. Eppure questo fuori, che ci autorizza a stare e parlare dell’oscurità, ha la possibilità opposta rispetto a quella individuata dalla censura. Sentire e sapere di non essere i soli o soli, poter contare sull’ascolto di un adulto, trovare un canale d’elaborazione di un eventuale disagio esistenziale, attraverso una forma comunicativa artistica, è un’opportunità messa in luce da questi piccoli capolavori.
Per me: “La bottega dei suicidi” è uno dei peggiori film d’animazione che abbia visto in tutta la mia vita! L’attesa era di una animazione per adulti, una storia noir che avrebbe potuto guadagnare dal disegno quel tono di poesia che solo il disegno sa aggiungere, e dalla Francia mi attendo ormai un cinema d’animazione di grandissima qualità.