“Non penso che vincerà, credo che prevarrà l’altro tizio”.
Il regista statunitense Oliver Stone è in Italia per l’apertura di Alice nella città, la sezione dedicata ai giovani, autonoma e parallela, della Festa del Cinema di Roma, che si terrà al Timvision Floating Theatre, arena estiva “galleggiante” sul laghetto dell’ EUR. E tra un film e l’altro parla anche della politica del suo paese.
La fede liberal di Oliver Stone è ben nota, se non lo fosse basta dare un’occhiata ai suoi film per capire da che parte stia: a partire da Last Year in Viet Nam, del 1971, passando per Salvador (1986), Platoon (1986), Nato il 4 luglio (1989), JFK – Un caso ancora aperto (1991), Gli intrighi del potere (1995), nel quale censura il mandato Nixon alla Casa Bianca, W. (2008), incentrato, invece, sul mandato di George W. Bush, fino all’ultimo Snowden, del 2016. Stone ha sempre appoggiato i candidati democratici, più per disperazione che per scelta: “Sia con Democratici che con i Repubblicani abbiamo gli stessi problemi. Sono orientati soprattutto alla spesa militare, che è di un trilione di dollari l’anno, non si spendono soldi sulle infrastrutture, le strade, i servizi, sono stati tagliati i budget per trovare antidoti ai virus. Si spende sull’estero per cambiare regimi, anche attraverso il soft power. Nessuno dei due partiti mette in dubbio questa linea, e è sbagliato, non è democrazia. Non esiste un partito per la pace, è molto disturbante e questo dovrebbe inquietare anche voi in Italia, che credo siate il Paese con più basi americane dopo la Germania“.
Il regista newyorkese, in giro per l’Italia, dove presenzierà a numerosi festival per finire il 5 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia, dove riceverà il Kinéo Life Achieving Award, ha appena pubblicato negli Stati Uniti la sua biografia (non ha avuto i problemi di Woody Allen, evidentemente. Vedi la recensione del libro A proposito di niente), che uscirà a giorni anche in Italia per i tipi della Nave di Teseo. Della sua vita racconta solo i primi 40 anni; di fatto si ferma a Platoon che: “rappresenta la chiusura di un ciclo, interrompo il racconto nel momento in cui si realizza il sogno che avevo nutrito e desiderato e per cui avevo lottato da regista libero e contro il sistema con sudore e sangue tra passi indietro e delusioni“.
Vedremo se avrà voglia di raccontare anche i suoi rimanenti 36 anni. Intanto speriamo che la sua previsione si avveri e che l’America dica finalmente addio a Donald Trump in attesa di un futuro e di un presidente migliore.