Il film di Massimo Martella, appena uscito nelle sale, è il racconto di come due opere della pittura italiana sono state salvate dalla II guerra mondiale.
Il cinema si è già occupato di questo tema. I primi film che vengono alla mente sono sicuramente il lodevole Monuments men di e con George Clooney e l’incommensurabile Francofonia di Aleksandr Sokurov, un regista, una garanzia.
Durante il secondo conflitto mondiale, la guerra non veniva combattuta solo con le armi. A una resistenza armata, se ne affiancava un’altra, nascosta, sotterranea e ignorata anche dai libri di storia. Mentre i bombardamenti alleati mettevano a repentaglio l’immenso patrimonio culturale europeo, alcuni semplici funzionari delle Belle Arti agivano nell’ombra, cercando nascondigli sicuri per le opere dei loro musei. Una volta sconfitti, i nazisti abbandonarono i paesi occupati; nella loro fuga verso la Germania presero a razziare il maggior numero possibile di capolavori. A questo punto, cominciò una seconda fase di occultamento, questa volta non per evitare la distruzione, bensì il furto delle stesse opere.
In Nel nome di Antea, sono due dipinti che ci raccontano la loro storia, come sono stati salvati dal conflitto e come sono riusciti ad arrivare indenni ai giorni nostri. Con il film si vuole rendere un omaggio a queste persone comuni, che, anche a costo della loro vita, si sono fatti carico del futuro della cultura italiana.
La cosa che colpisce è come questi uomini e donne siano rimasti sconosciuti, nell’ombra. Nessuno pensa che abbiano fatto qualcosa di eroico, eppure hanno sfidato le bombe per salvare molte opere d’arte ospitate a Montecassino; anche se una grande quantità di libri e quadri è andata comunque perduta sotto gli ordigni nordamericani.
Una volta finiti i bombardamenti, hanno dovuto nascondere le possibili prede dall’esercito nazista in fuga. Anche se non si conosce la storia, sono stati fatti film a sufficienza per dedurre che i nazisti non erano particolarmente benevoli. A ciò si aggiunga che Göering era un noto collezionista d’arte e non era certo uno stinco di santo.
In altri paesi non è andata così bene.
La recente guerra in Iraq ha distrutto siti archeologici di valore inestimabile, sono stati saccheggiati i musei (e i reperti sono apparsi anche su e-bay). Chissà se è successo perché non c’è stato nessun eroico impiegato di museo o se i mezzi di distruzione, in cinquant’anni, sono stati perfezionati. Ma non è impossibile che si tratti solo di precauzione. L’Italia ha una fama internazionale di culla dell’arte; il generale Clark si lagnava di dover fare la guerra in un maledetto museo. L’Iraq è un paese arabo del terzo mondo. Poco importa che la civiltà sia nata lì.