Nasty: un gioco di parole fin troppo facile per chi, abituato a trattare il tennis come uno sport per eleganti gentiluomini del blocco occidentale, si trovò a dover inquadrare questo rumeno che, saltata a piedi pari la Cortina di Ferro, iniziò a gettare caos e disordine nei principali campionati professionistici mondiali con il suo così blasfemo e innovativo mix di talento puro, imprevedibilità, frequenti ed inarrestabili rigurgiti di emotività. Il tutto in uno sport che fino a quel momento aveva come indiscusso modello l’impeccabile e raffinato Stan Smith, che anche nel sudare possedeva una certa qual eleganza.
Un naso greco sorprendentemente ben abbinato alle linee del volto da est-europeo e i capelli rigorosamente lunghi, un componente fantasma dei Rolling Stones più che uno dei più talentuosi tennisti della storia. Al fianco di Ilie Nastase, vate tennistico prima e spalla di mille doppi – vinti – poi, quel Ion Tiriac che, armato di baffi a manubrio, basette esagerate e chioma selvaggia, pareva più uscito da una banda della Comasina che da uno dei più prestigiosi circoli tennistici rumeni e valido uomo di mediazione culturale, in un epoca dove pochi chilometri potevano significare universi diversi.
Nasty: i barbari a Wimbledon
Quasi una coppia di barbari assiepati alle porte della Roma tennistica mondiale per metterla a ferro e fuoco e decretare nuove regole di comportamento e di ingaggio. “La maggior parte del pubblico americano nemmeno sapeva dove si trovasse esattamente la Romania” dice Curry Kirkpatrick, decano del giornalismo sportivo yankee, riassumendo in poche parole l’impatto del duo sul panorama d’oltreoceano.
Nasty è un documentario convenzionale e costruito secondo le regole più tradizionali, ma necessario per raccontare un’intrigante storia sportiva e umana che, giocoforza, ha contribuito a spingere il mondo professionista del tennis verso un next step necessario, anche, tra le altre cose, per poter gestire personaggi spesso semplicemente ingestibili come Ilie Nastase. Un vero e proprio crash test involontario che procurò grandi benefici ad entrambi.
Il lavoro del trio di registi Tudor Giurgiu, Cristian Pascariu e Tudor Popescu nella sua disamina non sempre lineare della carriera di Nastase non fa mancare nulla nella documentazione delle mille e una follie di Nasty dentro e fuori dai campi. Eccessiva, spesso fuori luogo e oltre i limiti – alcune delle suo uscite di allora ai giorni nostri scatenerebbero incendiarie mozioni parlamentari, per informazioni chiedere a Serena Williams – l’iniezione del virus Nastase all’interno del corpo del tennis professionistico ha in qualche modo gettato palate di pancia, realtà e tensioni pop in uno sistema ingessato e per pochi intimi, aiutandolo a crescere in termini di popolarità e attenzione mainstream.
A conti fatti, Nastase fu il primo tennista professionista a cambiare radicalmente la narrazione tennistica convenzionale, e a superare quell’invisibile linea sulla sabbia cui nessuno si era ancora nemmeno avvicinato. Ciò che Nasty ci racconta è quanto, più che un personaggio-Nastase, sia sempre e solo esistito un individuo-Nastase, improvvisa mosca bianca che, un gradino dopo l’altro, ha continuato ad essere se stessa e a fare quello che sapeva far meglio. Giocare a tennis mettendoci più cuore – e infinito talento – che testa.
Nasty: ritratto di un anticonformista
Non uno strategico provocatore coscientemente disposto a tutto pur di portarsi a casa una partita. Piuttosto una condizione di pre-adolescente nel corpo di un campione di tennis, con tutte le pirotecniche e spesso esilaranti conseguenze del caso. La sua sostanziale incapacità di saper gestire, a fronte di stress e pressioni enormi, le difficoltà e le frustrazioni che un match di tennis sa offrire in grande quantità, sono giustamente entrate a far parte del vasto immaginario ormai comune del tennis applicato alla vita.
Il documentario ripercorre una per una le tappe più importanti della carriera di Nastase: dagli esordi in madrepatria al raggiungimento della testa della classifica nell’anno di inaugurazione della moderna classifica ATP, dalla sanguinosa sconfitta di coppa Davis giocata in casa al suo sfondare i confini di un atletismo che comunque non gli è mai propriamente appartenuto per diventare figura pop tout court, cantante, uomo di spettacolo e poi politico nella Romania post-Ceausescu.
Abbondanza di immagini di repertorio si alternano alle intervisti ai compagni ed avversari di Nasty nei suoi quasi vent’anni di carriera. E, naturalmente, i commenti e i ricordi del nostro affiancato dal sempre fedele Ion Tiriac, in una serie di scambi che, sotto la cenere di un’eta ormai ragguardevole e di una certa qual pace conquistata, continuano a fare intravedere quei fulmini e quelle saette che li resero l’orgoglio di un popolo e gli agenti rivoluzionari di un intero movimento sportivo.