Ana Asensio, sceneggiatrice, interprete e regista del suo primo film, Most Beautiful Island, un thriller a basso costo che ha vinto il Premio speciale della giuria al South by South West festival di Houston.
Luciana, ovvero la già citata Ana Asensio, parte dalla Spagna, lasciandosi dietro brutti ricordi e cerca una nuova vita a New York. Senza documenti e completamente sola, Luciana cerca di sopravvivere facendo mille cose, dalla baby sitter alla donna sandwich. Un giorno riceve una proposta molto allettante: 2000 dollari solo per partecipare a un party esclusivo. Noi che abbiamo dimestichezza coi bunga bunga di berlusconiana memoria, inferiremmo immediatamente che si tratti di un giro di prostituzione camuffato da festa. Invece no, una sua amica russa, interpretata dalla quasi omonima della Vedova Nera Natasha Romanova, le assicura più volte che si tratta solo di un gioco per i soliti ricconi, stravaganti e annoiati.
Luciana accetta e si trova in uno scantinato oscuro, assieme ad altre ragazze. Una per volta entrano in una stanza dalla quale si odono applausi e grida. Non è difficile immaginarsi che la tensione e la paura salgano a livello esponenziale man mano che passa il tempo.
Non vogliamo aggiungere di più. Magari solo un consiglio agli aracnofobi: forse è meglio se andate al mare.
Abbiamo detto che si tratta di un film quasi autobiografico ma,
per fortuna, ad Ana non è toccato un supplizio del genere. Anche se la vita reale, a volte, può risultare altrettanto inquietante. Queste sono le parole della regista, alle quali non ce la sentiamo di aggiungere nulla, essendo di per sé auto concludenti:
“Non si può dire che sia un film autobiografico, anche se alcune cose strane mi sono capitate. Ho accettato lavori inimmaginabili a New York e la pressione di non avere né amici né la famiglia ti genera molta ansia quando ti ritrovi sola all’estero. Ho conosciuto però persone che hanno fatto cose simili per cominciare una vita nuova e lasciarsi alle spalle un passato traumatico che non riuscivano a superare. Volevo parlare di un tipo di immigrazione di cui si sa poco: ho conosciuto molte ragazze, modelle e attrici, in attesa del visto, che se le vedi in strada non pensi mai che abbiano problemi anche solo per mangiare. C’è in queste situazioni un falso glamour, crudele e agrodolce. Persone che mangiano solo quando sono invitate alle feste. Sono condizioni degradanti e assurde, ma nel mio film volevo soprattutto mostrare come le classi ricche alla fine possono comprare tutto, anche la stessa brutalità se è una cosa che le diverte“.