Nel panorama seriale attuale è sempre più difficile trovare produzioni che sappiano mantenere una tensione narrativa capace di sostenere una riflessione profonda sul confine sottile tra bene e male. La serie MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez, la seconda stagione dell’antologia Monsters di Ryan Murphy, tenta questa impresa raccontando uno dei casi di cronaca nera più celebri degli anni ’90.
Dopo il successo incredibile della prima stagione Dahmer, dedicata per l’appunto al serial killer Jeffrey Dahmer, Ryan Murphy torna a parlare di un caso mediatico che sconvolse l’America: due fratelli uccidono brutalmente i genitori a colpi di fucile nella loro villa a Beverly Hills. Quello che inizialmente viene considerato un omicidio di mafia, si scoprirà ben presto essere qualcosa di molto più torbido e inquietante. Se inizialmente i due fratelli, Lyle ed Erik Menendez, godevano del favore dell’opinione pubblica, nel proseguire delle indagini si ritroveranno messi sempre più alle strette da polizia e media.
Le premesse del caso Menendez
Il caso è il seguente: due ragazzi di buona famiglia uccidono i genitori. Inizialmente la polizia pensa si tratti di omicidio di mafia, causato da alcuni conti in sospeso che il padre dei ragazzi aveva con le organizzazioni criminali, ma ben presto si scoprirà che i killer della coppia sono i loro stessi figli. All’inizio il movente che trova maggiore riscontro è quello legato all’eredità, un’eredità che il padre voleva sottrarre ai figli a causa di diverse bravate di cui i due si erano resi responsabili.
Man mano che la storia avanza, invece, scopriamo che i ragazzi subivano molestie dal padre sin da quando erano bambini, o almeno questo è ciò che racconteranno al processo. Sarà proprio questo il mistero al centro di tutta la storia: la versione di Lyle ed Erik sarà vera o è semplicemente frutto di una strategia processuale?
La struttura narrativa tra verità e menzogne
Quello che emerge dalla visione di questa serie è la sua capacità di giocare su una duplicità antitetica, quella stessa dicotomia che riveste la vita di Lyle ed Erik Menendez. Questa dualità che si riflette nei personaggi, nella narrazione e persino nell’interpretazione degli attori, oscillando costantemente tra verità e menzogna, vittime e carnefici. La narrazione, infatti, si struttura come un ghigno a due facce, in cui i fratelli, inizialmente vittime di abusi familiari, si trasformano progressivamente nei mostri che avrebbero voluto distruggere.
La storia proposta da Ryan Murphy non vuole certamente fare le veci di un documentario. Ciò che ci viene mostrato è attinente ai fatti reali, nonostante molte delle dinamiche interpersonali siano state romanzate. Del resto, si tratta di un caso molto particolare e per certi versi ancora incerto. Un caso che tutt’oggi, dopo più di trent’anni, porta con sé ancora un alone di mistero e di non detto.
Una recitazione ricca di sfumature
Un punto di forza indiscutibile della serie è la qualità delle interpretazioni. L’interpretazione di Javier Bardem nel ruolo di José Menendez è una delle più riuscite: il suo personaggio è un uomo autoritario e disturbante, ma non solo. Bardem porta sullo schermo una figura paterna complessa e crudele non riducendo mai il suo personaggio a un semplice mostro, ma facendone emergere anche la disperazione e la fragilità.
Anche l’interpretazione di Chloë Sevigny nel ruolo di Kitty Menendez, la madre dei due ragazzi, è notevole. La sua performance, seppur meno appariscente rispetto a quella di Bardem, riesce a restituire un’angoscia sottile, ma al contempo profondamente ingombrante, di una madre succube delle dinamiche familiari, sia che esse siano governate dal marito che dai figli.
Tra i fratelli Menendez, spicca l’interpretazione di Nicholas Alexander Chavez nei panni di Lyle, il fratello maggiore, che dà il meglio di sé nelle scene di rabbia incontrollata e feroce. Lyle incarna una duplicità emotiva evidente: da un lato sembra forte e sicuro di sé, ma dall’altro lascia intravedere una vulnerabilità che emerge nei momenti più intensi della serie.
L’espressività di Cooper Koch che interpreta, invece, Erik Menendez appare in alcuni casi (sopratutto negli episodi iniziali in cui parla con lo psicologo) eccessivamente forzata ma, paradossalmente, una delle scene più complesse e meglio riuscite dell’intera serie è completamente affidata a lui. Nella quinta puntata, infatti, il fulcro della narrazione è Erik. Questo episodio, interamente centrato sul suo personaggio, rappresenta un tour de force emotivo e tecnico. Koch riesce a trasmettere la fragilità e il tormento interiore di Erik attraverso uno straordinario piano sequenza di una trentina di minuti che si stringe sempre più sul suo volto, aumentando la tensione e il coinvolgimento emotivo dello spettatore.
La puntata spartiacque
La quinta puntata rappresenta il vero e proprio spartiacque della serie. Sarà proprio quest’ambiguità intrinseca nelle confessioni di Erik a suddividere una versione della storia dall’altra. È qui che l’ambiguità morale raggiunge il suo apice, e lo fa con un approccio visivo e narrativo estremamente efficace.
In questa puntata, vediamo per la prima volta Erik Menendez sotto una luce diversa. Se fino a quel momento il fratello minore era apparso come la figura più fragile, quasi schiacciata dal carisma manipolatore di Lyle, qui assume un ruolo centrale. Le emozioni di Erik vengono esplorate in profondità attraverso una serie di cambiamenti emotivi rapidissimi, sottolineati da questo lungo piano sequenza che si avvicina man mano al volto di Erik come a voler farci scrutare dentro la sua anima, come se la verità si nascondesse proprio lì, nei suoi occhi.
Questo espediente visivo non è solo un’operazione stilistica, ma una scelta narrativa fondamentale: più l’inquadratura si restringe, più lo spettatore viene spinto a entrare nella mente di Erik, costretto a confrontarsi con la sua versione della storia.
Lo stile inconfondibile di Ryan Murphy
Non si può parlare di MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez senza menzionare l’impronta stilistica di Ryan Murphy, che, come sempre, è una miscela di eccessi visivi e dialoghi intensi. Ogni episodio è un piccolo gioiello visivo, con una cura maniacale per i dettagli estetici. La serie riesce a creare una tensione costante, giocando con l’illuminazione, i colori e la composizione delle scene. I continui primi piani sui volti dei protagonisti sono una scelta registica particolarmente efficace, permettendo di mettere in risalto i turbamenti interiori dei personaggi.
La serie riesce nel suo intento principale: quello di mantenere viva una discussione sulla moralità e sulla giustizia, che è ben lontana dall’essere chiusa. Murphy ci lascia con più domande che risposte e forse è proprio questa la sua intenzione. La verità, ci suggerisce, è qualcosa di profondamente soggettivo e plasmabile.
Monsters: una dualità narrativa senza verità assolute
Uno dei principali punti di forza della serie è la sua capacità di giocare con l’ambiguità morale, senza prendere una posizione definitiva. Ciò che ci viene mostrato all’inizio non è ciò che ci viene proposto in seguito. La serie arriva a metà del suo sviluppo con la voglia di ribaltare completamente le convinzioni dello spettatore e ci riesce. Ciò che prima faceva ribrezzo e paura, adesso, fa tenerezza e ciò che prima appariva indifeso, adesso, è inquietante.
La serie però non cerca di propinare alcuna verità assoluta. Pone dinanzi allo spettatore due alternative che alle volte si mescolano in entrambe le versioni. Questa scelta narrativa, apparentemente ambigua, si rivela estremamente efficace, poiché permette allo spettatore di entrare nella complessità della storia senza essere condotto per mano.
Non ci sono giudizi definitivi e questo rende la serie non solo coinvolgente, ma anche profondamente riflessiva. In un panorama televisivo che spesso semplifica la realtà per facilitare l’identificazione del pubblico, MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez si distingue per il coraggio di mantenere una trama piena di sfumature e dubbi morali. È proprio questa scelta di non prendere una posizione netta, ma di lasciare che sia lo spettatore a riflettere e a decidere da che parte stare, che rende la storia raccontata da Murphy particolarmente efficace e sofisticata.
Anno: 2024
Genere: Crime, Drama, Thriller, Biography
Sceneggiatura: Ryan Murphy, Ian Brennan, David McMillan
Regia: Carl Franklin, Paris Barclay, Michael Uppendahl
Attori: Nicholas Alexander Chavez, Cooper Koch, Javier Bardem, Chloë Sevigny