Maria Luisa Ceciarelli nasce a Roma il 3 novembre del 1931: suo padre è Angelo Ceciarelli, ispettore del Commercio, e sua madre è Adele Viltiglio, ed è stata una figura di grande rilievo nella sua vita personale e lavorativa. Maria Luisa é una bambina freddolosa e spesso distratta e smemorata, per questo si guadagna molto presto i soprannomi di “Sette sottane” (per gli svariati strati di vestiti che indossa per combattere il freddo) e “smemoratella“.
La sua, dal punto di vista economico, non è le classica infanzia contrassegnata dalla povertà che spesso veniva raccontata dagli attori dell’epoca; nel 1970 alla rivista Oggi ha dichiarato:
«Non ho avuto l’infanzia poverissima che fa tanto comodo raccontare perché così la gente perdona i grossi guadagni. Sono sempre stata benino.»
Sua madre però si ammala molto presto e Maria Luisa si trova, giovanissima, a doversi prendere cura di lei; il loro rapporto ha condizionato molto le visioni della ragazza sulla vita in generale, e dalle sue parole traspare quanto la loro relazione fosse al contempo sia conflittuale sia molto stretta. In un’intervista del 1987 per la rivista Annabella ha raccontato:
“Per me infanzia e adolescenza sono sinonimo di sofferenza… Mia madre era la donna ideale. A lei devo quello che sono. Mi ha dato la volontà, la resistenza, il senso più antico del pudore e della morale. Ma era una donna infelice e mi ha trasmesso questa sensazione che la famiglia fosse una costrizione penosa, una fatica massacrante e destinata all’insuccesso. Mi sono detta: io non ci casco, non avrò mai famiglia, non farò figli. L’ho deciso prestissimo”
Un giorno, vedendola sempre a casa da sola e immaginandola forse un po’ triste, un’amica invita Maria Luisa ad unirsi a lei nelle prove di una commedia organizzata per beneficienza (una messa in scena La nemica di Danio Niccodemi), così la ragazza inventa una scusa per uscire di casa e la raggiunge. Maria Luisa non può infatti dire la verità a sua madre su dove stia andando perché la donna é assolutamente prevenuta nei confronti del mondo dello spettacolo.
E in effetti quando la madre lo scopre ne resta sconvolta, perché come ha ripetuto spesso a sua figlia “le tavole del palcoscenico corrodono anima e corpo“, ma Maria Luisa ha ormai scoperto il suo amore per il teatro (finora manifestato solo nell’invenzione di storielle recitate con i pupazzi per i suoi fratellini) ed ha capito di voler intraprendere quella carriera. Sua madre è fermamente contraria all’idea di una figlia attrice, tanto più comica perché questo è ancora più disdicevole: per lei una signora deve al massimo sorridere, mai ridere; figuriamoci far ridere.
Per poter cominciare a studiare, quindi, Maria Luisa ha bisogno di aspettare il momento propizio, che arriva quando i suoi genitori si trasferiscono in America per aiutare suo fratello che ha avuto la bellezza di tre coppie di gemelli: la loro partenza le permette di cominciare a frequentare l’ Accademia di recitazione al termine della quale (nel 1953) la donna opta per prendere un nome d’arte (anche su consiglio di Sergio Tofano, suo insegnante).
Le piace l’idea di tenere l’iniziale M, cosi sceglie il nome Monica, letto in una romanzo in quel periodo; per il cognome invece sceglie di usare metà del cognome di sua madre: nasce così Monica Vitti, l’attrice di talento più anticonvenzionale del cinema e del teatro italiano.
Monica Vitti, infatti, e del tutto diversa dalle altre attrici che popolano il grande schermo in quel periodo sia per il suo aspetto sia per la sua voce. Il cinema della metà degli anni ‘5o è infatti dominato da donne come Sofia Loren e Gina Lollobrigida, la cui bellezza ha impostato i canoni per le generazioni a venire, mentre Monica Vitti è una ragazza di un metro e settanta, con un naso molto particolare e in generale non é la classica formosa femme fatale molto in voga all’epoca.
Inoltre Vitti vive e lavora costantemente con gli occhiali, struccata, e ingolfata in abiti neri e larghi per una sua personale scelta; infatti, come ha dichiarato sempre nell’intervista ad Annabella
Avevo bisogno che la gente mi amasse per quel che ero, senza maschere.
E come già accennato, il suo altro enorme punto di divergenza rispetto ai canoni dell’epoca è la sua voce: il suo è un timbro particolarissimo, che negli anni della sua crescita l’aveva portata ad essere scambiata spesso per suo padre al telefono, e per il quale il medico dell’Accademia di recitazione le disse candidamente che lei non avrebbe mai potuto diventare un’attrice.
Gli esordi della carriera di Monica Vitti
Eppure, nel 1956, comincia ufficialmente la carriera di Monica Vitti sul palco del Teatro Olimpico di Vicenza nei panni di Ofelia nell’Amleto diretto da Riccardo Bacchelli, lavoro seguito poi da qualche ruolo cinematografico di natura comica. Ma é proprio la sua voce a portarla all’incontro con colui che la consacrerà al successo: é durante un turno di doppiaggio, infatti, che Monica Vitti conosce Michelangelo Antonioni per il quale sarà la musa protagonista di quattro film nel giro di quattro anni (dal 1960 al 1964): L’avventura, La notte, L’eclisse e Deserto rosso.
A seguire cominciano poi i ruoli brillanti nelle commedie di Luciano Salce quali ad esempio Ti ho sposato per allegria che esce nel 1967; l’anno successivo invece nelle sale arriva uno dei suoi lavori più famosi: La ragazza con la pistola, per la regia di Mario Monicelli. Monica Vitti in questo film interpreta Assunta Patané, giovane donna siciliana costretta a seguire l’uomo che l’ha disonorata (Vincenzo Macaluso interpretato da Carlo Giuffrè) e che è scappato in Inghilterra perché l’unico modo che la ragazza ha per ristabilire il proprio nome è ucciderlo con un cosiddetto “delitto d’onore”; certo Assunta non sa che la vita che la aspetta nel Regno Unito è molto, molto diversa da quella che conduce in Sicilia.
Una curiosità su La ragazza con la pistola è che Vitti ha potuto attingere alla propria esperienza personale per l’impostazione del personaggio perché ha passato alcuni anni della sua infanzia in Sicilia, ma in realtà le scene italiane del film (come quella di seguito in cui vediamo il rapimento di Assunta) sono state girate a Polignano a mare, in Puglia!
https://www.youtube.com/watch?v=Ei8mIZrfuSE
La sua carriera procede costellata da ruoli che camminano in bilico tra la commedia e il genere drammatico, raccontando la figura femminile negli anni ’60 nelle sue varie sfumature, a metà strada tra la mentalità progredita tipica degli anni della rivoluzione sessuale e la sottomissione che ancora caratterizzava il modo in cui venivano trattate le mogli e le madri di famiglia.
E tutto questo Monica Vitti lo fa condividendo la scena con altri grandi nomi dell’epoca come Alberto Sordi (in Amore mio aiutami nel 1969), Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini (in Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) nel 1970 e per la regia di Ettore Scola): quest’ultimo è un film a suo modo surreale, dove la storia si sviluppa a ritroso tramite il racconto dei fatti durante un processo in tribunale che culmina in un inatteso finale.
Negli anni ’70 vediamo Monica Vitti molto spesso anche in televisione, al fianco di altre donne di talento quali Raffaella Carrà o Mina, ma anche in performance da solista. Di seguito trovi una sua esibizione in un brano che definirei insolito, ma che solo lei avrebbe saputo interpretare.
E’ decisamente questo il periodo più prolifico della sua carriera, sia all’estero (dove recita per registi quali Jean Valère, Luis Buñuel e André Cayatte), sia in Italia dove invece lavora per nomi quali Vittorio De Sica, Dino Risi e Carlo di Palma. E’ proprio con quest’ultimo che Monica Vitti gira quello che credo sia il miglior film in assoluto della sua carriera, nel quale riesce ad esprimere il suo poliedrico talento raccontando una storia che si sviluppa nell’arco di una vita intera: il film è Teresa la ladra ed è uscito nel 1973, ispirato dal romanzo di Dacia Maraini Memorie di una ladra.
In questa pellicola Vitti interpreta Teresa Numa, nata in una famiglia poverissima e da un padre violento e iracondo negli anni ’40: seguiremo quindi la sua vita toccante segnata dalla guerra, e costellata di amori travolgenti e separazioni dolorose. Nelle due ore di film vedremo Teresa entrare e uscire di prigione e finire addirittura in manicomio, in quello che era un cammino seguito da molte altre donne di quel periodo. Al suo fianco sulla scena, tra gli altri, un giovanissimo Michele Placido: la somiglianza con suo figlio Brenno è impressionante.
Teresa si adatta a fare qualunque lavoro per sbarcare il lunario, finché non si ritrova ad imparare come diventare una borseggiatrice: lavorando in coppia con un’altra donna adescano uomini fuori dai cinema, e durante la proiezione del film una delle due, con la scusa di scambiare con lui delle effusioni, sfila al malcapitato il portafogli e lo passa all’altra che finge un malore ed esce. Ecco di seguito una clip in cui si racconta proprio questo passaggio.
Ma sono ancora molti i titoli che la vedranno protagonista negli anni ’70 e ’80, tra cui Camera d’albergo (di nuovo diretta da Mario Monicelli) Il tango della gelosia (per la regia di Steno) e Io so che tu sai che io so, di e con Alberto Sordi. Le sue ultimi apparizioni negli anni ’90 sono per lo più televisive o in occasione di eventi mondani, diventando via via sempre più rare col passare del tempo. Subentrano infatti per lei alcuni problemi di salute che la costringono a stare lontana dalle scene per via di una malattia degenerativa.
In questo primo periodo di ritiro, però, Monica Vitti si dedica alla scrittura di due autobiografie: la prima, nel 1993, la intitola Sette sottane (proprio come il soprannome che aveva da piccola), la seconda invece s’intitola Il letto è una rosa e la pubblica nel 1995.
Monica Vitti muore il 2 febbraio 2022 nell’abitazione romana che condivideva con il marito Roberto Russo (Regista e fotografo), sposato nel 2000 dopo 17 anni di fidanzamento Nel ’95 in un’intervista l’attrice parlando di lui ha dichiarato:
“Se volessi, potrei girare un film al mese, ma a dir la verità non ho voglia di muovermi, di stare troppo tempo fuori casa e, soprattutto, non mi va di lasciare Roberto. In 23 anni di convivenza non abbiamo dormito una sola notte separati”