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Avevo dieci titoli per questo articolo. Quello di cui mi compiaccio di più è di certo Metropolis, basta la Victoria siempre, Colonnello Intimissimi. Un gioco da mutanda, paragonabile solo a Metropolis, il fascismo è cattivo e ha pure capitale. Sorvolo sui tre contenenti espressioni che rimandano al concetto di sottoproletariato, i quali fanno troppo Gaetano Bresci perso nella giungla, e sul quarto, che se pubblicato mi impedirebbe l’assegnazione del Nobel per la Letteratura causa infondate simpatie per il vecchio Orban.
Ma torniamo a noi. I cinefili non avrebbero bisogno di presentazioni, Metropolis è l’anime del 2001 firmato Katsuhiro Ōtomo, ispirato al celeberrimo Metropolis del 1927 di Fritz Lang, il film preferito da Massimo D’Alema, oltre che al manga di Osamu Tezuca del 1949, recante il medesimo titolo. Così, faccio un po’ wiki, giusto per inquadrare la situazione. E già che son qui, droppo la réclame. Il 13, 14, 15 ottobre appuntamento speciale al cinema con il film, pellicola d’apertura della stagione di Nexo Studios Anime dedicata alla settima arte. Non abbonarti all’ennesima piattaforma, gambe in spalla e vai in sala. Mi raccomando.

A ogni modo, l’epigrafe è tutta un programma. Ogni epoca sogna la seguente, sentenzia uno allucinato come Jules Michelet. Ora, io non voglio parlare troppo di bambini, tipo Kenichi, il protagonista, o gente con attaccamenti paterni disfunzionali, tipo Rock. Poco importa, poco interessa. Ciò che di puro ha il primo lo perderà al primo sorso di gin e vodka, ciò che ha di idolatra il secondo lascerà il passo al quarto rimprovero ben riuscito da parte di Duca Red. Meglio parlare di tecno-dispotismo, più o meno illuminato dalla ziggurat, la tipica grande opera nella pretesa dei costruttori eterna.
In un imprecisato connubio tra capitalismo e fascismo, la Scienza ha permesso all’essere umano di raggiungere il cielo, sia fuor di metafora che non, specchio della biblica Babele, spazzata via dal dio degli ebrei come punizione per l’hybris degli uomini. I robot hanno sostituito la maggior parte dei lavoratori, i quali, senza reddito di cittadinanza e superbonus, sono stati relegati nei livelli sotterranei della città, in cui più si scende più a farla da padrone è la legge della strada. Pleonastico specificare che abbondino manifesti del Guevara, feticismi lessicali quali la rivoluzione non si arresta e morte al bottegaio, nonché seguaci di Atlas, l’agit-prop meglio vestito dai tempi di Tony Gramsci.
A ciò, su ordine di Duca Red, il turbo STEM Dr. Laughton è prossimo a costruire Tima, l’essere perfetto, dotata di intelligenza artificiale e chip all’avanguardia, la quale è tanto androide quanto androgina, oltre a essere una grande ariana.
Ed ecco servito il paradosso. Il robot, schiavo per etimo, può financo essere dio, purché non sia parte del consorzio umano e sia privo di diritti, alla stregua dei suoi compagni cibernetici eliminati senza battere ciglio dai sapiens, che siano fascioliberisti o comunistoidi cambia zero.
Inutile argomentare che le discendenti della friggitrice ad aria che hai a casa non avranno mai coscienza, l’assioma del film è quello, il robot sottoproletario finale e incarnazione dell’ultima ruota del carro, ingiustamente senza dignità sociale e da liberare dall’oppressione. Se tu fossi un personaggio dell’ora e 48 minuti di Ōtomo, saresti assimilabile alla patristica che negava l’anima alle donne, ontologicamente inferiori quindi, purché mi rendo conto, ahimè, ci siano maggiori possibilità abbia coscienza Alba Parietti rispetto a un frullatore 8.0.
Comunque, tra colpi di stato e risate da arci-avversario, la storia giungerà alla scena capolavoro della pellicola, con un suggestivo Ray Charles e la sua I Can’t Stop Loving You ad accompagnare il momento più intenso della vicenda, con l’interrogativo principe sulla coscienza, chi sono io?, in congedo prima dei titoli di coda.
Un prodotto ottimo per quanto concerne animazioni e colonna sonora, con un jazz incessante a disegnare le aspirazioni tecniche e industriali degli anni ’30, prodrome del filone retrofuturistico rintracciabile altresì in Star Wars e Blade Runner, per citare i due esempi più iconici della cultura pop in merito.