Come diceva Freud, l’infanzia ti condiziona la vita. Questo vale anche per Marlon Brando, che è già noto per non essere stato un tipo facile; Mann spiega perché e arriva alla conclusione che, con due genitori del genere, Brando è venuto su fin troppo bene. Il padre era un commerciante di pesticidi, sempre in giro per lavoro; quando era a casa si ubriacava. Le sbronze prendono in maniera diversa; c’è chi diventa allegro e comunicativo, chi si stordisce e, alla fine, si addormenta e chi, come il Jack Torrance di Shining e il padre di Brando, viene preso da accessi d’ira e diventa violento.
La madre, casalinga, non era da meno; la casa era un autentico caos e anche lei ci dava dentro con la bottiglia e veniva riportata regolarmente a casa dalla polizia seminuda e sbronza come una fune. Come se non bastasse fu allevato all’interno della “Scienza Cristiana” che sosteneva che anche la malattia è solo una questione mentale, che si può curare col pensiero, che il mondo reale è solo un’illusione e via dicendo, insomma una di quelle cose tipicamente nordamericane che possono rovinare più di una vita.
Questa è stata l’infanzia di Marlon Brando quindi, se Freud ha ragione, non ci deve meravigliare più di tanto che da bambino rubasse, che si facesse espellere da scuola, che da adulto diventasse famoso per la sua vena di follia, per le sue ubriacature e, soprattutto, perché era una gran bugiardo. D’altronde uno che ha vissuto un’infanzia come la sua non è plausibile che amasse la verità più di tanto, meglio immaginare, meglio inventare.
Forse per quello è stato quel grande attore che tutti riconoscono; vivere le vite altrui era sempre meglio che vivere la propria. Probabilmente, quando nel 1943 studiò a New York con Stanislavsky, quello dell’attore per lui fu più che un lavoro, forse fu l’epifania della sua vita.
Nel 1943, nonostante gli Stati Uniti fossero in guerra contro l’Asse, fascista e razzista, gli ebrei a New York non se la passavano meglio dei loro correligionari europei; l’antisemitismo negli States era ancora molto forte; il suo massimo l’aveva raggiunto durante la grande crisi del ’29, quando tutti se la passavano male e con qualcuno se la dovevano prendere (all the world is country). Marlon Brando si impegnò, raccogliendo fondi e facendo quanto gli era possibile per appoggiare la causa degli ebrei nordamericani.
Quella fu la prima causa che abbracciò, a quella ne seguirono moltissime, quella che fece più rumore fu quella per i nativi americani, per la quale destinò migliaia di dollari e tutti ricordano come, nel 1973, premiato con l’Oscar per l’interpretazione del Padrino, non ritirò il premio; al suo posto mandò Sacheen Littlefeather, una giovane apache, per protestare contro lo sterminio dei nativi. A contraltare questa estrema generosità stanno i tre milioni di dollari che pretese per i due minuti in Superman.
La sua vita privata non fu né delle più esemplari, né delle più felici. Dai suoi tre brevi matrimoni ebbe 11 figli, più altri 4 naturali, l’ultimo dei quali a 70 anni, tutti ribelli, con storie di omicidi, suicidi, forse anche un incesto. Quanto al sesso ne era ossessionato a prescindere, donne o uomini non importava. Dopo un periodo di analisi, Brando confessò: “Ho fatto del male alle donne per surrogare quello che mia madre non mi ha mai saputo dare e per fare del male a mio padre”. Una delle donne che maltrattò ha detto, abbastanza generosamente, di lui: “Aveva bisogno di tenere tutto sotto controllo per non soffrire”, come se avesse visto in lui adulto, quel bambino non amato che cercava una sicurezza che non poteva avere.