Il sole del 4 agosto si era adagiato, quello del 5 non ancora sorto. Una notte d’estate, come tante altre. Sullo sfondo la Guerra Fredda, con le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica in costante e inesorabile aumento. La crisi dei missili di Cuba sarebbe giunta appena due mesi dopo.
A Brentwood, quartiere di Los Angeles, abitava un’attrice, bionda e bellissima, una di quelle anime fragili le cui doti di seduzione superano la capacità di trovare un equilibrio. Con il rischio di perdersi o di diventare icone – tanto fa lo stesso se sei Marilyn Monroe.
Dalla mancata alba del 1962 ne è passato di tempo – siamo, coincidenza, al 62esimo anniversario – ma del caso di Marilyn si discute ancora oggi: fu suicidio, omicidio o altro ancora?
Insomma, come è morta – davvero – la più artisticamente rappresentata attrice del XX secolo?
Marilyn Monroe, la versione ufficiale
Ovviamente, come in altri casi di dipartite eccellenti, si è sviluppato un variegato filone di teorie attorno alla morte di Marilyn Monroe.
La versione ufficiale asserisce che la governante, Eunice Murray – l’unica persona con cui la diva condivideva la casa al 12305 di Fifth Helena Drive –, camminando nel corridoio alle 3.30 avrebbe notato la luce accesa nella camera di Marilyn.
Stranita dalla cosa, avrebbe bussato. Nessuna risposta. La preoccupazione sarebbe cresciuta in Eunice, la quale, per scrupolo o sentore, avrebbe contattato Ralph Greenson, lo psichiatra che aveva in cura Marilyn, il quale, assieme al medico Hyman Engelberg – nel frattempo sopraggiunto –, sarebbe stato il primo a varcare la soglia di quella maledetta porta.
L’annuncio poi alle 4.25: Marilyn Monroe sarebbe rimasta giovane per sempre.
Gli astanti avrebbero telefonato immediatamente al dipartimento della Polizia di Los Angeles, dove prestava servizio – tra gli altri – Robert E. Byron, il tenente a cui sarà affidata l’indagine.
L’esito di questa fu che Marilyn si sarebbe suicidata con 47 pasticche di pentobarbital – un barbiturico – assunte con una dose imprecisata idrato di coralio.
Marilyn Monroe, ipotesi alternative legate a Robert Kennedy
Ma Marilyn Monroe non aveva una ‘banale’ vita tumultuosa da attrice come tante altre.
L’ultimo suo amante – e forse nelle intenzioni futuro quarto marito – si dice fu Robert ‘Bob‘ Kennedy, Procuratore generale a capo del Dipartimento di Giustizia nonchè fratello di John Fitzegerald – il Presidente in carica nel 1962 –, con cui la stessa Monroe – voci di corridoio fanno intendere – avrebbe avuto una liaison anni addietro, prima di spostare le attenzioni su altri lidi.
Proprio legate a Robert Kennedy sono due tra queste ‘ipotesi alternative‘ – la cui fondatezza, così come per la versione ufficiale, non è oggetto di questo articolo.
La prima, contenuta in un libro rivelazione di Chuck Giancana – fratello minore di Sam Giancana, il capo di Cosa Nostra a Chicago in quegli anni –, sostiene che quattro sicari della Mafia su ordine del boss si sarebbero introdrotti nella villa di Monroe appena dopo che Bob aveva lasciato la casa della sua amante.
Dopodiché i mafiosi la avrebbero immobilizzata, spogliata, per poi ucciderla mediante una supposta velenosa, la quale teoricamente non avrebbe dovuto lasciato traccia, agendo questa, peraltro, con la medesima velocità di un’iniezione letale.
Il movente sarebbe stato quello d’incastrare Bob, il quale era di certo fisicamente presente sul luogo del presunto delitto poco prima che questo si compisse, ma, soprattutto, che dal suo ruolo di Procuratore generale aveva posto in essere tutta una serie di atti che danneggiarono gli interessi della Mafia stessa.
Di parere contrario, invece, il giornalista Jay Margolis e lo scrittore Richard Buskin nel loro libro dedicato al caso – Marilyn Monroe. Caso chiuso –, in cui hanno proposto la teoria per cui fu proprio Bob Kennedy il mandante dell’omicidio, il cui esecutore materiale sarebbe individuabile nello psichiatra Ralph Greenson, colui che nella versione ufficiale fu il primo a entrare nella stanza ove giaceva il cadavere di Marilyn.
A sostegno di questa teoria si ricordi il fatto che attorno alla mezzanotte del 5 agosto Greenson fu fermato per un controllo mentre era a bordo di una Mercedes nera nei pressi dell’abitazione di Monroe, in compagnia proprio di Bob Kennedy e Peter Lawford – quest’ultimo cognato di Robert.
Anche l’attore de Il Padrino Gianni Russo ha sostenuto l’ipotesi di Bob come mente dietro al delitto, suggerendo nella sua autobiografia Hollywood Godfather che il ‘ministro’ volesse mettere a tacere Monroe per nascondere la relazione che questa avrebbe avuto in precedenza col fratello ormai Presidente.
Marilyn Monroe, le testimonianze discordanti
Il primo poliziotto – le fonti concordano – che giunse sul posto quella notte fu il sergente Jack Clemmons.
Pare che Clemmons fin da subito si fosse convinto che quello era un caso di omicidio e non un suicidio, esprimendo poi questo suo pensiero allo scrittore Robert Slatzer – i cui esatti rapporti con la diva non sono chiari tutt’oggi.
Stranianti anche le dichiarazioni di due vice coroner della Contea di Los Angeles – Thomas Noguchi e Lionel Grandison – nonchè del Procuratore distrettuale che assistette all’autopsia – John Milner.
In sostanza, tutti e tre notarono dei segni sul corpo di Marilyn che li spinsero a ritenere l’accaduto un omicidio – come ebbero modo di confermare più volte nel corso degli anni –, anche se i due vicecoroner, su pressione del loro mentore Theodore Curfey, nel compilare il report ufficiale dell’esame autoptico parlarono comunque di suicidio.
John Milner, invece, nel suo rapporto aveva escluso si potesse pensare a un suicidio, per poi precisare in seguito che le sue parole erano semplicemente volte a escludere un suicidio intenzionale. Ribadì poi in una trasmissione televisiva che le indagini avrebbero trascurato volutamente gli elementi non aderenti alla tesi del suicidio.
Inoltre, ci fu perfino la testimonianza di James Hall – un autista di ambulanze – il quale sostenne che lui e un altro medico avrebbero trovato Marilyn nella camera in stato semicomatoso, e che, grazie alla somministrazione dell’ossigeno, la diva si sarebbe ripresa.
Avrebbero disposto di portarla in ospedale per i controlli di routine quando un medico sconosciuto si sarebbe avvicinato e le avrebbe fatto un’iniezione intercardica tale da spezzarle una costola e ucciderla.
Decisamente mutevoli, infine, furono le versioni della già citata Eunice Murray, la governante e arredatrice d’interni di Marilyn – alle ultime giornate di lavoro ancor prima della tragedia causa licenziamento – e del pure lui già citato Ralph Greenson, lo psichiatra delle star che vantava tra i clienti anche Frank Sinatra, Tony Curtis e Vivien Leigh.
Nota conclusiva
Insomma, se n’è andò troppo presto la nostra Marilyn, trascinata via dal palco dell’esistenza a soli 36 anni da chissà quale mano – la sua fragile o quella criminale di qualcun altro.
Un tragico sipario ricco di mistero che, tra l’altro, la accomuna proprio ai Kennedy: JFK verrà assassinato l’anno seguente a Dallas il 22 novembre 1963 – e se n’è speso parecchio d’inchiostro sulle teorie attorno al più clamoroso delitto politico del secondo dopoguerra – mentre Robert, divenuto Senatore e prossimo a essere candidato alla corsa presidenziale nelle fila democratiche, sarà freddato – anche qui in circostanze mai del tutto chiarite – a Los Angeles il 6 giugno 1968 nella sala da ballo dell’Hotel Ambassador.