Christian Rivers, al suo debutto da regista, ci porta a vivere un’avventura in un futuro distopico, tra enormi città semoventi, macchine volanti e cadaveri trasformati in robot combattenti, il tutto sceneggiato da Peter Jackson.
Il mondo così come lo conosciamo, non esiste più. L’ultimo attacco con le gigantesche armi quantistiche ha causato un’accelerato spostamento dei continenti e la distruzione quasi totale della popolazione. Le poche città sopravvissute hanno dovuto adattarsi ad un sistema chiamato “darwinismo urbano” che ha provocato la trasformazione delle città in giganteschi mezzi di spostamento che sopravvivono seguendo la legge del più forte, cacciando e “inghiottendo” le città più piccole per poterne utilizzare le risorse.
Fra queste, Londra è una delle città trazioniste più grandi e floride, dominata in cima dalla Saint Paul Cathedral. Nella città si studiano i prodotti della Vecchia Tecnologia, andata perduta nel corso degli anni e i ritrovamenti affidati a scavatori ed archeologi vengono consegnati agli storici, capeggiati da Taddheus Valentine. Fra gli archeologi incaricati di studiare i ritrovamenti della Vecchia Tecnologia, il giovane Tom è probabilmente uno dei più esperti e quando, dopo aver salvato Valentine da un tentativo di omicidio da parte di una vecchia conoscenza in cerca di vendetta, finisce per essere catapultato fuori dalla città, assieme alla criminale, e farà di tutto per tornarci, salvo poi rendersi conto che lo stesso Valentine, che lui ha salvato da morte certa, non si rivela essere la persona di cui si fidava così ciecamente e che ha in mente un oscuro piano per impossessarsi di città e luoghi fino ad allora inviolati.
Ammirando, a bocca aperta, la primissima sequenza iniziale del film, ho pensato subito a una versione in live-action del meraviglioso Il castello errante di Howl di Hayao Miyazaki, salvo poi scoprire che a sfrecciare su enormi cingoli in una radura sconfinata non era un singolo edificio ma un’intera città e per la precisione la città di Londra, riarrangiata e ricostruita in verticale su enormi cingoli che al loro passaggio creano dei veri e propri canyons. La cura per i dettagli balza subito all’occhio. Chi ha avuto modo di visitare la capitale inglese ritroverà diversi richiami, oltre ovviamente alla cattedrali installata in cima al veicolo. La metropolitana non esiste più nel modo in cui la conosciamo, ma le stazioni ci sono ancora e il mezzo di spostamento installato al posto dei treni sembra ricordare una gigantesca ruota panoramica… vi dice nulla? Il tutto è organizzato, appunto, in più livelli. Più o meno come nel Titanic. Ai livelli più alti corrispondono classi sociali più facoltose, mentre ai piani inferiori sono confinate le persone meno abbienti.
Tutta la parte iniziale del film da un’idea precisa del taglio che avrà lo stesso per tutta la durata. Un racconto emozionante, che lascia a bocca aperta per la maestosità delle sequenze degli inseguimenti fra le città, il tutto nel classico stile dei racconti post-apocalittici ma contornato da elementi decisamente steampunk.
La regia del film è affidata a Christian Rivers, al suo primo debutto alla regia dopo svariate collaborazioni con Peter Jackson, produttore e sceneggiatore di Macchine Mortali. Rivers lavora con il regista neozelandese fin dai tempi di Splatter – Gli schizzacervelli del 1992. Effettista di successo, oltre ai capolavori di Peter Jackson ha lavorato anche con Robert Zemeckis in Contact nel 1997 e con Andrew Adamson in Le cronache di Narnia – Il Leone, la strega e l’armadio primo capitolo della saga datato 2005.
Nel cast i ruoli da protagonisti sono affidati a Robert Sheehan e Hera Hilmar. Il primo, noto al pubblico televisivo per il ruolo di Nathan Young nella serie TV Misfits, ha recitato anche in Shadowhunters – Città di ossa di Harald Zwart e nel più recente Geostorm di Dean Devlin. Meno nota la seconda, che ha al suo attivo soprattutto una partecipazione alla serie Da Vinci’s Demons. Tutti i personaggi sono caratterizzati bene, ognuno con la propria spiccata prerogativa, ma su tutti probabilmente spicca il ruolo affidato a Hugo Weaving, già vecchia conoscenza di Peter Jackson con il quale ha collaborato ne Il Signore degli Anelli e qui in ruolo di antagonista. Attore abituato in un certo senso al trasformismo (ricordiamo che in Cloud Atlas di Andy e Lana Wachowski e Tom Tykwer, tra i vari ruoli, si è trasformato anche in una severissima e gigantesca infermiera) è un ruolo particolarmente tradizionale che tende però a sovrastare forse il lavoro degli altri.
La regia è ben congeniata, con piani sequenza veloci e puliti che fanno capire allo spettatore cosa succede, senza creare confusione, nonostante alcuni momenti risultino decisamente concitati. Le panoramiche, frutto anche di alcune sequenze in aiuto regia dello stesso Peter Jackson, in alcuni casi portano alla mente gli stessi pianosequenza utilizzati nella saga fantasy de Il Signore degli Anelli.
La fotografia allo stesso modo è ben costruita ed evidenzia molto bene la differenza degli ambienti nella città. I piani più alti sono contraddistinti da spazi aperti, colori sgargianti derivanti dagli abiti utilizzati dagli abitanti oltre che dalla fitta e variopinta vegetazione, il tutto illuminato dal sole. Man mano che si scende, la fotografia assume toni più dark e tra i colori prevalgono il marrone, l’oro e il nero, tonalità in genere associate proprio allo stile steampunk. A maggior ragione i livelli inferiori sono quelli dove sono situati gli ambienti e le macchine pensate per spostare l’intera città sugli enormi cingoli di cui è dotata.
La colonna sonora affidata a Tom Holkenborg, alias Junkie XL, polistrumentista compositore di decine di colonne sonore per i film più disparati, si fa notare per uno stile “marciante” che fa pensare alle parate e ha un che di “eroico” intervallato da momenti costituiti da cori e archi. Sembra mancare però quello che è un vero e proprio tema principale, un motivo che possa rimanere in mente allo spettatore alla fine del film.
La storia del film si dipana facilmente senza troppi intrecci, alle volte potrebbe anche risultare un po’ banalotta, ma è il difetto di una narrazione lineare e pulita come quella che contraddistingue Macchine mortali. Il film si riesce a seguire bene, non ci sono cali di ritmo e si susseguono colpi di scena a profusione. Pensato per tutti, sembrerebbe però orientato più a un target giovanile, come d’altronde il romanzo omonimo da cui è tratto, di Philip Reeve.
Inutile dire che gli effetti visivi si sprecano, ma da un regista abituato a lavorare con gli effetti speciali non ci si poteva aspettare diversamente. Colpisce sicuramente il dettaglio, accuratissimo soprattutto nella creazione delle città semoventi.
Sicuramente una valida alternativa agli inevitabili cinepanettoni che stanno arrivando in questo periodo nelle sale, un film frizzante e divertente da vedere senza pretese di un film che rimarrà negli annali ma giusto per divertimento.