Dopo essere stato presentato in anteprima allo scorso Festival di Cannes, arriverà al cinema dal 16 gennaio grazie a Movies Inspired L’uomo nel bosco (Miséricorde) di Alain Guiraudie con Félix Kysyl, Catherine Frot e Jeane-Baptiste Durand.
Jérémie torna nel piccolo comune di Saint-Martial per il funerale del panettiere, suo ex datore di lavoro, a cui era molto legato. Si ferma per qualche giorno a casa di Martine, la vedova del defunto, che gli è affezionata. L’affetto di Martine, la violenta gelosia del figlio Vincent, amico di gioventù di Jérémie, la tensione con il solitario Walter, l’attenzione del parroco del villaggio, fanno emergere un passato che avrà conseguenze inaspettate…
Intervista al regista Alain Guiraudie
Per cominciare, parliamo del titolo originale. Cosa rappresenta per te questa parola, “misericordia”? È stata l’ispirazione per questo nuovo film?
Il titolo è emerso spontaneamente durante la scrittura della sceneggiatura. Per me, la misericordia travalica la questione del perdono, rappresenta l’idea di empatia, di comprensione dell’altro al di là di qualsiasi morale. È uno slancio verso l’altro. È una parola un po’ antiquata, che oggi non si usa più tanto, ma si adatta perfettamente al film, al suo carattere senza tempo, e soprattutto a
uno dei grandi personaggi della storia: il prete.
Questa idea di “misericordia”, di “comprendere l’altro nonostante tutto”, attraversa l’intera narrazione. Per tutta la prima parte, le relazioni tra i personaggi non sono chiare, così come le intenzioni del protagonista. Tutto rimane nel non detto…
In questo film, ancora più che nei miei precedenti, mi sono dedicato a sviluppare il mistero. Ho cercato di far sì che lo spettatore si ponesse delle domande e si sentisse coinvolto nella storia. È il modo migliore per non annoiarsi, ma anche la maniera più efficace per rappresentare il desiderio, che per me resta il grande mistero della vita. Si capisce piuttosto in anticipo che il protagonista resta nel
villaggio per un desiderio verso qualcuno.
Anche se tutto cambia continuamente. Lui stesso diventa oggetto di desiderio. Inoltre, mi interessa molto il turbamento che può provocare un estraneo dalle intenzioni poco chiare. Mi piace che non si sappia chi è il “cattivo” e da quale parte sia giusto schierarsi.
Tu giochi anche con l’immaginazione dello spettatore e con ciò che ci si aspetta dal tuo cinema. Questo contribuisce alla tensione del film.
Immagino che oggi uno spettatore dei miei film si aspetti alcune cose da me, abbia una vaga idea della direzione che prenderò. Sono ben consapevole che L’uomo nel bosco affronta sempre un po’ le
stesse questioni, gli stessi temi ricorrenti, e mi piace giocare con queste aspettative, con ciò che ci si aspetta da me. Ma desidero anche sorprendere, sorprendermi e rinnovarmi. Forse era arrivato il momento in cui il desiderio non trovasse più il suo compimento nel sesso.
Non so se l’abbia già detto qualcuno, ma io penso che si filmi il conflitto per non filmare il sesso e io faccio un po’ il percorso inverso. E in ogni caso, qui, anche il desiderio non è chiaro. Non cerco soluzioni. Anche il protagonista si fa strane idee e lo spettatore deve fare altrettanto, proprio come faccio io
Con Lo sconosciuto del lago avevi già esplorato il thriller, ma L’uomo nel bosco è davvero un film noir. Quali sono state le tue fonti di ispirazione?
Per quanto riguarda i film noir, quelli di Hitchcock o Fritz Lang restano per me un riferimento costante. Fanno parte di un patrimonio culturale condiviso, quindi sono sempre vivi in un angolo della mia mente. Spesso mi si parla di Chabrol, probabilmente per il mix tra oscurità e commedia. Ma in lui c’è
spesso una vena canzonatoria, ironica, che mi mette a disagio. Io sono molto vicino ai miei personaggi. In ognuno di loro metto una parte di me stesso. Se dovessi citare un regista che ha influenzato questo film, stranamente direi Bergman.
Non ha molto a che vedere con il film noir, ma in Bergman c’è una grande misericordia. Un modo di amare gli esseri umani nonostante e, soprattutto, in virtù delle loro imperfezioni. I suoi film sono al tempo stesso molto controllati e pacati, nonché attraversati da una vera oscurità. Ma in fin dei conti, ho davvero realizzato un film noir? L’uomo nel bosco non mi sembra appartenere pienamente a quella tradizione. Ho lavorato più su una miscela di generi. E in fondo credo che questo film sia maggiormente debitore di Euripide che non di Fritz Lang