Essere e poter essere
Un’atmosfera delicata e coraggiosa insieme, basta qualche parola, la musica e la mente ritorna prepotentemente alla Jodie Foster di Il mio piccolo genio, ma se lì a riconoscere e curare il talento innato e disperatamente complesso, perchè con sè porta un livello di sensibilità fuori dall’ordinario, è pur sempre una madre; qui l’amorevole cura viene da un’estranea, con tutto cio che ne consegue.
La mestra esce fuori dal ruolo ed il colpo di scena in Lontano da qui potrebbe raccordarsi perfettamente all’indizio, o chiave di volta, posizionata a chiare lettere nel titolo. Che i talenti siano fragili e vadano tutelati dall’indifferenza della nostra cultura può considerarsi una conseguenza del Dio è morto di Nietzsche, un crollo dei miti, in una cultura dove ciò che conta non è il genio, le capacità ed il talento, ma la riconoscibilità, la commerciabilità, il farsi prodotto dell’opera e dell’artista stesso. Se da un lato l’esortazione ed il tentativo del padre di normalizzare la vita di un bimbo può sembrare condivisibile e giustamente avverso alle logiche della spettacolarizzazione del talento, dall’altro lato un talento inespresso implode in se stesso ed il tentativo d’essere normale non fa che castrarne la creatività ed acuirne il disagio esistenziale. Da qui il tentativo disperato della maestra, consapevole del processo di esilio al quale sembra destinato il suo giovanissimo alunno. I temi che s’intravedono già dal trailer sono molteplici e tutti molto interessanti. In particolare trovo interessante la spinta motivazionale, il portato etico di chi è in grado di vedere, riconoscere e dialogare col genio e se ne fa custode. E’ come se, riconoscendo il valore di un creatore di bellezza, la stessa maestra fosse investita di una responsabilità che va ben oltre il suo ruolo socialmente riconosciuto, e l’assunzione di responsabilità che attua, la proiettasse in una dimensione da custode dell’arte e di quella vita che ha in sè il dono di moltiplicare la bellezza e quindi il senso stesso della vita.