L’anima dietro la camera
Conoscere un artista attraverso le sue opere è forse il modo più alto che abbiamo per entrare nel suo animo, riuscire ad entrare nel suo sguardo significa posizionarsi davanti al foglio bianco e tener conto delle notti insonni, dei mesi in attesa dell’ispirazione, o delle fasi febbrili della creazione, significa entrare nell’intuizione, nel tormento e nell’estasi che la creazione artistica assicura. Parlare al cinema di cinema è un espediente narrativo che ha intrigato molti registi , ma in questo caso la forma documentaristica traspone la narrazione in una dimensione conoscitiva più che simbolica.
Un documentario su un genio del cinema, sul più poliedrico dei registi: Orson Welles, il regista che ha concepito un’opera prima come Quarto potere. Citizen kane –titolo originale– del 1941, discusso ancor prima d’essere proiettato, riscrive completamente il modo di fare cinema. L’uso del flashback che frammenta il linguaggio, prima lineare, le sequenze concepite a misura della musica, l’uso del quadrangolo, con l’obiettivo di uguagliare la messa a fuoco di un normale occhio umano, la capacità di sintesi narrativa e l’indagine psicologica, sono alcuni degli aspetti più evidenti della sua attitudine ad aprire nuove strade. Spulciando tra i miei Castorini-collana sul cinema- ho ritrovato stralci delle sue interviste per i Chaiers dù Cinemà, questo, del ’65, lo trovo particolarmente significativo: Se uno vuol essere alla moda per la maggior parte della sua carriera, produrrà solo opere di secondo piano. Forse riuscirà casualmente ad avere un successo, ma questo significa che è un gregario, e non un innovatore. Un artista deve guidare, aprire delle strade. Mi sono sempre sentito isolato. Credo che ogni buon artista si senta isolato. E devo pensare di essere un buon artista, perchè altrimenti non potrei lavorare. Vi chiedo scusa se mi prendo la libertà di credere questo, ma se qualcuno vuol dirigere un film, deve pensare di essere bravo. Un buon artista deve essere isolato. Se non è isolato vuol dire che qualcosa non va.
Se Mark Cousins sia o meno riuscito a rendere la potenza creativa, la spregiudicatezza e l’onestà intellettuale di questo grande artista, lo sapremo solo vedendo nella sua interezza il documentario. Ma ci sono vari indizi che protendono in favore di questo lavoro, non ultima la sottile intuizione di entrare nel suo sguardo attraverso l’immediatezza del disegno; la traccia, il tratto, conserva una connessione profonda col pensiero che lo sottende.