Siamo nel 1980 e il cinema assiste all’uscita di The elephant man, un capolavoro targato David Lynch. Ad oggi non sarebbe difficile convincere un cinefilo a guardare una qualsiasi pellicola di questo grande maestro, ma a quei tempi Lynch aveva diretto un solo lungometraggio, il celebre Eraserhead. Dunque il pubblico non sapeva ancora che si sarebbe trovato di fronte ad uno dei capolavori più importanti della storia del cinema.
The elephant man racconta la vera storia di un uomo, Joseph Merrick, nato deforme, precisamente con la sindrome di Proteo, che non è mai riuscito ad avere una vita serena a causa del suo aspetto. Merrick era deforme in tutto il corpo, ad esclusione del braccio sinistro e dei genitali. Rimasto orfano di madre a 11 anni e cacciato successivamente fuori di casa a causa di una matrigna che mal tollerava la sua presenza, il ragazzo si ritroverà a guadagnare soldi come fenomeno da baraccone, ma poco tempo dopo gli spettacoli di questo genere saranno vietati a Londra, così tenterà la fortuna in Belgio e al suo ritorno nella capitale britannica conoscerà il dottor Treves (interpretato da Anthony Hopkins) il quale si rivelerà l’unica persona a donargli affetto e comprensione durante il corso della sua breve vita. Il dottore, infatti, gli darà una sistemazione permanente al London Hospital. Da lì inizieranno degli anni molto sereni per Merrick, fino al giorno della sua morte avvenuta a soli 27 anni.
Lynch resta abbastanza fedele ai reali avvenimenti, aggiungendo tuttavia dei personaggi volti a lasciare un segno ancora più profondo nella storia, come l’alcolizzato Bytes. Troviamo un altro espediente narrativo nelle prime sequenze in cui vediamo la mamma di Merrick aggredita da un elefante, rappresentazione visiva della storia che il malvagio padrone raccontava prima di mostrarlo al pubblico durante gli spettacoli. Lynch è un grande maestro del cinema e come tale in tutte le sue pellicole ci pone davanti a diversi aspetti. Nel caso di The elephant man, una delle riflessioni più critiche scaturisce sicuramente dal binomio fra etica ed estetica. A volte i due aspetti sono direttamente proporzionali, altre volte, come nel caso del film, non lo sono. Merrick è un uomo di una gentilezza incommensurabile che non sembra voler far pagare al mondo tutto il male recatogli sin dalla nascita. Anzi, si sente quasi a disagio per la sua esistenza. Un animo nobile e puro, di una bellezza unica che purtroppo non riflette il suo aspetto, un’ingiusta mancanza di proporzione che però l’ha reso unico, infatti negli anni passati in ospedale conquisterà la stima della nobiltà inglese fino alla regina Elisabetta. La magistrale interpretazione di John Hurt unita alle scelte narrative di Lynch, come le sequenze in cui si deride Merrick lasciandolo quasi morente sul letto, permettono di porre lo spettatore sicuramente in uno stato di compassione verso il pover’uomo, ma soprattutto di fronte ad un bivio: da che parte stai? Sei lo spietato Bytes o il grande dottor Treves? Tuttavia il regista sa bene che nella vita ci siamo trovati sia dall’una che dall’altra parte ed è per questo che la visione di The elephant man non potrà mai essere passiva.