L’innocenza
Catapultati in un luogo senza tempo, non a caso chiamato l’inviolata, da subito si respira un’atmosfera da neorealismo. L’estrema povertà ha un padrone, anzi una padrona, che mantiene volutamente la famiglia nell’ignoranza. Benchè fu abolita sin dal ’64 in Italia, questi contadini si credono mezzadri e come tali vivono, schiavizzati, costretti a condizioni di vita inaccettabili, che rimandano al secolo scorso. In questa famiglia brilla Lazzaro, di nascita incerta, non sa di chi sia figlio, dal cuore grande e l’innocenza scritta in volto, portata nelle movenze ed in azioni quotidiane volte alla disponibilità.
Lazzaro, Lazzaro, Lazzaro, sentiamo riecheggiare il suo nome a destra e a manca e lui, Lazzaro, corre imperterrito, in aiuto di tutti; la trama è imbastita sulle conseguenze di quest’eccesso di bontà, concedendo una deriva poetica, quasi felliniana, qualcosa di surreale entra in scena dall’incontro col lupo, abbiamo il sentore che si tratti d’un Santo, perchè, come dice la voce narrante fuori campo, il suo odore da uomo buono stupisce il lupo e lo induce a non cibarsene. Ascoltando il racconto del lupo la memoria va al Santo che parlava con gli animali, a San Francesco, abbiamo visto un volo mortale da cui Lazzaro si rialza come da una caduta, eppure ancora conserviamo una percezione di girato neorealistico. Si, c’è qualcosa di Pasolini, ecco, qualcosa di Accattone. E questa sensazione che sia necessario bilanciare il reale col surreale, per poterlo leggere senza perdercene l’essenza. E così le vicende che portano alla liberazione dalla schiavitù, verso la civilizzazione, inducono ad una nuova povertà. Sentiamo un’ eco di Collodi quando entrano in scena il gatto e la volpe, che si barcamenano in una serie di escamotage e d’imbrogli, in cui tenteranno di coinvolgere anche Lazzaro . Ma Lazzaro segue la musica e la musica segue Lazzaro, lui risplende di purezza anche in questa condizione di separazione dalla natura. Ed è l’amore incondizionato, misto all’innocenza, che diviene condanna, in un mondo incapace di riconoscere la bontà.
La dimensione simbolica favorisce interpretazioni multiple, se da un lato, ritrovando Pasolini, sembra chiaro il riferimento al proletariato e all’ignoranza-purezza, dall’altro l’esasperazione di questa condizione fa credere, o sperare, che la regista voglia far riferimento a nuove forme d’ignoranza, ad una mancata conoscenza di sè, ad una incapacità d’interagire con la realtà convenzionale, accettandola passivamente, alla mancata capacità analitica e critica, con conseguente eccesso d’omologazione che comporta l’annientamento del simbolo della bontà, ovvero dell’empatia. Si, in questa chiave potremmo leggere i mezzadri, come rintontiti da una rete d’informazioni fuorvianti e volutamente pilotate dal potere, e Lazzaro come la figuara dell’artista, dell’uomo dotato di una spiritualità che si dispiega nell’essere e nel dare amore, piuttosto che nell’enunciare. Un affreco sugli esclusi, da un sistema che si regge su enunciati, pubblicità e narcisismi. In cui l’empatia viene ferita ed umiliata quotidianamente, proprio perchè elemento disturbante, e l’unico che possa ricreare una continuità con la memoria della nostra umanità.
Regia di Alice Rohrwacher con Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno, Luca Chikovani, Agnese Graziani. Genere Drammatico – Italia, 2018, durata 130 minuti. Uscita cinema giovedì 31 maggio 2018 distribuito da 01 Distribution
Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2018