Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer)
Regia: Robert Benton; soggetto: dal romanzo omonimo di Avery Corman (1977); sceneggiatura: Robert Benton; fotografia (Technicolor): Nestor Almendròs; scenografia: Paul Sylbert; colonna sonora: brani di Antonio Vivaldi e Henry Purcell; montaggio: Jerry Greenberg; interpreti: Dustin Hoffman (Ted Kramer), Meryl Streep (Joanna Kramer), Justin Henry (Billy Kramer), Jane Alexander (Margaret Phelps), Howard Duff (John Shaunessy), George Coe (Jim O’Connor), Ellen Parker (la maestra), Petra King (Petie Phelps); produzione: Stanley R. Jaffe per Columbia Pictures; origine: USA – 1979; durata: 105′
La Trama
New York. Ted Kramer (Hoffman) è un pubblicitario di successo, ma il suo lavoro lo tiene spesso lontano dalla famiglia. Una sera torna a casa e sua moglie Joanna (Streep) gli comunica che se ne andrà di casa. Si sente frustrata e ha bisogno di riflettere sulla propria vita, lasciando temporaneamente il figlio Billy al padre. Nei primi mesi il bambino sente molto la mancanza della madre e l’impegno lavorativo del padre non aiuta perchè i due praticamente non si conoscono. Col passare del tempo però Ted comincia a dedicare sempre più tempo al figlio e riscopre la paternità: tra i due nasce un’intesa profonda che lo assorbe completamente ma non giova alla campagna pubblicitaria di cui l’uomo si occupa, finendo per costargli la carriera, sulla quale non riesce più ad essere sempre concentrato. In seguito, Ted stringe un rapporto d’amicizia con la vicina di casa Margaret Phelps (Alexander), anch’ella momentaneamente separata dal marito e con due figlie a carico. Un giorno, mentre i due sono al parco con i bambini, Billy si ferisce cadendo da una struttura d’acciaio e il padre lo porta di corsa in ospedale dove gli applicano dei punti di sutura, vicino all’occhio sinistro. A quindici mesi dalla sua partenza intanto Joanna torna a New York. Ted accetta di incontrarla e le racconta della sua vita con Billy, accennando all’incidente. Ora la donna ha un lavoro e una nuova vita, ma sente la mancanza del figlio, che vorrebbe riavere con sè. Questo porta a una battaglia legale per la custodia del bambino. Per non trovarsi in svantaggio Ted è costretto ad accettare un posto da pubblicitario a uno stipendio più basso. In aula, il padre viene accusato di essere stato insensibile alle esigenze del bambino e di non essere in grado di occuparsene, anche a causa dell’incidente capitato al parco. A Joanna viene invece rimproverata l’assenza degli ultimi mesi, ma è sempre la madre e ottiene comunque la custodia esclusiva. Ted vorrebbe ricorrere in appello, ma davanti alla prospettiva di costringere il figlio a testimoniare, decide di rinunciare, per non procurargli altre sofferenze. Il giorno successivo Ted e Billy preparano insieme quella che dovrebbe essere la loro ultima colazione insieme quando suona il citofono: è Joanna, la quale ammette con Ted di amare profondamente il figlio ma di essersi anche resa conto che, per il suo bene, è meglio che resti con lui in quella che è la sua vera casa. I due si riappacificano e Joanna entra per parlare con Billy.
La nuova famiglia americana
Il film di Robert Benton, autore anche della sceneggiatura a partire da un romanzo di successo di Avery Corman, si incentra sulla crisi del privato e della famiglia americana tradizionale. Apparentemente imparziale, si mantiene sull’orlo dell’equilibrio in maniera accorta: pur raccontando la storia dal punto di vista del padre, evita furbamente di prendere posizione a favore di un genitore o dell’altro, per non urtare il pubblico dei papà o delle mamme, fermandosi sempre un attimo prima che la situazione diventi sgradevole. Quest’attenta equanimità giova alla narrazione, che si mantiene asciutta, evitando di scadere nel patetico. All’epoca esplicita comunque il disorientamento degli americani davanti a uno stile di vita sempre più frenetico e stressante che porta alla disgregazione dell’ambiente familiare, consegnando agli spettatori una vicenda che privilegia la narrazione intima, puntando sul minimalismo e sui sentimenti. Dopo un decennio di “sporco realismo” il pubblico ha bisogno di guardarsi dentro e riscoprire il privato, con film come Kramer contro Kramer, Gente Comune, Voglia di Tenerezza. Secondo il critico Tullio Kezich: “Il film di Robert Benton intreccia il suo romanzetto su un motivo dolente a livello viscerale negli USA, quello dei figli e del dilagare dei divorzi”. Il finale è in fondo ottimistico, placando rabbia e aspettative in una rassicurante riappacificazione. Sul set l’atmosfera è tutt’altro che idilliaca. In proposito racconta Meryl Streep: “Al primo incontro Dustin Hoffman mi si presentò ruttando e cercò di toccarmi il seno,pensai che fosse un perfetto tanghero”. La Streep sopporta ogni genere di angheria durante le riprese, a causa delle intemperanze e delle provocazioni del suo vulcanico partner, che punta a creare vera tensione per aumentare il realismo del conflitto genitoriale, arrivando persino a schiaffeggiarla. Ciò non impedisce a Kramer contro Kramer di diventare uno dei campioni d’incassi dell’annata e di presentarsi al solito Dorothy Chandler Pavilion con nove candidature agli Oscar.
Il racconto del redattore
I film che hanno più probabilità di vincere la statuetta di migliore pellicola dell’anno sono Kramer contro Kramer e All that Jazz – lo spettacolo comincia di Bob Fosse, musical autobiografico in salsa felliniana (apertamente ispirato a 8½ del grande regista italiano) che ancora una volta si trova sulla strada di Francis Ford Coppola, in concorso con Apocalypse Now, capolavoro del regista italo-americano, liberamente ispirato a Cuore di Tenebra di Joseph Conrad e reduce dalla Palma d’Oro conquistata al Festival di Cannes, ex aequo con Kagemusha, L’Ombra del Guerriero di Akira Kurosawa. Il quarto film in gara è Norma Rae di Martin Ritt, che regala l’Oscar da protagonista alla pimpante sindacalista interpretata da Sally Field in quel momento compagna nella vita di Burt Reynolds e vince per la miglior canzone con il brano It goes like it goes . A completare la cinquina troviamo All American Boys dell’inglese Peter Yates, il quale racconta le barriere sociali che dividono la provincia americana nella quale chi non si allinea alla massa viene escluso salvo trovare il riscatto in una provvidenziale corsa ciclistica. All that Jazz riceve quattro meritati Oscar tecnici per scenografia, costumi, montaggio e colonna sonora. Nominato per l’ultima volta è il geniale Peter Sellers alla sua prova estrema per Oltre il giardino, dove è Chance (Caso) sempliciotto la cui ingenuità viene scambiata per saggezza e fine strategia politica da un milionario morente (miglior attore non protagonista dell’anno, il settantanovenne Melvyn Douglas, che ha ottenuto la parte grazie al rifiuto di Laurance Olivier). Sellers, allergico alle cerimonie, muore pochi mesi dopo, a soli 54 anni. Apocalypse Now deve accontentarsi di due miseri Oscar al suono e alla fotografia del maestro italiano Vittorio Storaro, capace di scrivere con la luce. Collaboratore di fiducia di Fellini e Bertolucci, vincerà altri 2 Oscar e dal palco ringrazia il regista per la libertà concessagli, cercando di risarcirlo del magro bottino: il suo film è un capolavoro ingombrante e scomodo che piace più in Europa che in America dove viene salutato da alzate di spalle: “Tre anni di lavorazione sono troppi se poi il messaggio è una variazione sul tema che la guerra è un inferno” scrivono i critici, salvo rivalutarlo anni dopo, quando nel 2001 ne esce una versione restaurata e più lunga di 32 minuti, che non mina, ma accresce il fascino di un’opera monumentale e ambiziosa. Oltre ad Apocalypse Now c’è un altro gioiello ignorato dall’ Academy; si tratta di Manhattan di Woody Allen, che non vince nulla e in cui recita anche Meryl Streep, moglie fedifraga del protagonista. Il film di Robert Benton fa da mattatore, conquistando 5 premi per il film, la regia, la sceneggiatura, l’attore protagonista (alla quarta nomination Dustin Hoffman fa centro: l’Oscar gli preme al punto da limitare le sue bizze e accettare di posare più volte per i fotografi con Justin Henry, che nel film è suo figlio Billy e persino coi genitori del ragazzo, pur di ottenere pubblicità) e l’attrice non protagonista Meryl Streep, futura beniamina dei premi Hollywoodiani. C’è poco da fare: negli anni ’80 Hollywood crede alle lacrime.
Voto: 7