Shakespeare in Love (Id.)
Regia: John Madden; soggetto e sceneggiatura: Marc Norman e Tom Stoppard; fotografia: Richard Greatrex; scenografia: Martin Childs; costumi: Sandy Powell; colonna sonora: Stephen Warbeck; trucco: Lisa Westcott e Veronica McAleer; montaggio: David Gamble; interpreti: Joseph Fiennes (William Shakespeare), Gwyneth Paltrow (Viola De Lesseps/ Thomas Kent), Geoffrey Rush (Philip Henslow), Tom Wilkinson (Hugh Fennyman), Judi Dench (Regina Elisabetta I Tudor), Colin Firth (Lord Wessex), Ben Affleck (Edward Alleyn), Rupert Everett (Christopher Marlowe), Martin Clunes (Richard Burbage), Imelda Staunton (la balia); produzione: David Parfitt, Donna Gigliotti, Harvey Weinstein, Edward Zwick, Marc Norman per Miramax Films; origine: Stati Uniti/Regno Unito – 1998; durata: 123′.
Trama
Londra, Inghilterra, sedicesimo secolo. Il giovane drammaturgo William Shakespeare, sposato ma donnaiolo impenitente, è in crisi creativa. Sta scrivendo una tragedia, Romeo e Ethel, la figlia del pirata ma, a parte il titolo, non ha idea di come sviluppare la storia. La pressione è forte, soprattutto perchè l’impresario, sommerso dai debiti, ha promesso una parte nello spettacolo al suo creditore. In suo aiuto corre l’amico-rivale Crtistopher Marlowe, che gli suggerisce di cambiare il titolo (in Romeo e Giulietta) e l’ambientazione. Alle audizioni per il ruolo principale si presenta un giovane sconosciuto, che recita con tale trasporto da convincere l’autore a dargli la parte: Will lo insegue fino alla villa De Lesseps, dove gli viene detto che Thomas Kent, questo il nome dell’aspirante attore, è figlio della balia. In realtà si tratta della giovane lady Viola De Lesseps, figlia di ricchi borghesi e appassionata dei versi dello stesso Shakespeare, travestitasi da uomo per poter recitare almeno una volta, prima di sposare un lord Wessex, in cerca di capitali per salpare verso il Nuovo Mondo. Le cose si complicano quando Viola e Will si incontrano ad un ballo: tra loro è amore a prima vista ma Will, minacciato dal promesso sposo, si spaccia per Marlowe ed è costretto ad allontanarsi. Si intrufola sino al balcone della ragazza, ma i suoi intenti falliscono e scappa. L’amore nato in lui lo ispira e la scrittura procede, ma il pensiero di lei non lo abbandona un attimo e lo spinge a consegnare a Thomas Kent, che ha intanto ottenuto il ruolo di Romeo, una lettera d’amore. Quest’ultimo tiene celata la propria identità per scoprire i sentimenti di Will che, un giorno, scopre che il ragazzo altri non è che la sua amata, grazie all’anziano barcaiolo che l’accompagna alle prove dello spettacolo. Marlowe intanto viene assassinato e lord Wessex riferisce la notizia a Viola, ritenendo lui il suo rivale, mentre la notizia colpisce Will nel profondo, instillandogli il dubbio che l’amico sia stato ucciso a causa sua. La giovane vine anche scoperta e cacciata dal teatro, chiuso per impudicizia. Quando sembra tutto perduto, la Compagnia dell’Ammiraglio, dopo una furibonda lite, accetta di prestare il proprio teatro all’impresario Henslowe e così la rappresentazione può aver luogo, lo stesso giorno del matrimonio di Viola la quale, dopo aver sposato Wessex, vede la locandina che annuncia la prima e fugge per vederla. Il suo arrivo è provvidenziale: nonostante ella sia stata sostituita da Will, che interpreterà Romeo, l’attore che dovrebbe impersonare Giulietta è afono: sarà Viola a salvare lo spettacolo, stavolta nei panni della protagonista femminile. La tragedia ottiene un successo fragoroso, ma ancora una volta Viola viene additata come donna e tutti stanno per finire in prigione. A salvarli è la regina Elisabetta, che ha assistito in incognito alla rappresentazione, asserendo che Giulietta è un uomo; colpita dalla bellezza dell’opera, invita Shakespeare a scrivere per lei. Viola suggerisce così a Will una nuova storia, La dodicesima notte, che ancora una volta è la “loro” storia: una donna che recita per amore una parte da uomo. Oramai il matrimonio non può essere annullato e quindi la giovane salpa col marito verso la Virginia. I due sfortunati innamorati serberanno per sempre il ricordo della loro unica notte insieme.
William Shakespeare tra realtà e finzione
Sappiamo poco di uno degli autori più noti della letteratura inglese. Era originario di Stratford upon Avon, sposato e probabilmente innamorato della moglie Anne Hathaway, che gli diede tre figli. Molte leggende circolano sul suo conto, alcuni sostengono perfino che non sia mai esistito e che non fosse inglese. Non sembra inverosimile quindi la ricostruzione pseudo-storica approntata da Tom Stoppard e Marc Norman, accettata con entusiasmo dai fratelli Weinstein che fiutano l’affare: dopo aver scelto John Madden, regista esperto, dotato di una certa dimestichezza con i film in costume (La mia regina del 1997, con Judi Dench nel ruolo della regina Vittoria che lo seguirà in Shakespeare in Love, interpretando stavolta Elisabetta I ) e il rampante Joseph Fiennes, fratello del più noto Ralph, il casting si mette alla ricerca della protagonista femmminile. Rifiuta Kate Winslet, ufficialmente per dedicarsi a produzioni indipendenti e il ruolo viene offerto a Winona Ryder. All’epoca quest’ultima frequentava spesso Gwyneth Paltrow, fidanzata di Ben Affleck, tuttora grande amico del suo compagno del tempo, Matt Damon. Vedendo il copione a casa della Ryder, Gwyneth pensò bene di sottrarglielo e candidarsi per la parte, che ottenne (non senza venire molestata, come si è scoperto molti anni più tardi, da Harvey Weinstein). Saputo dello sgarbo, l’amicizia tra le due attrici finirà e la bionda Gwyneth Paltrow – presentata dalla stampa come la nuova Grace Kelly – conquisterà il successo (sotto il filmato), che non le porterà fortuna: verrà lasciata da Affleck e attraverserà un periodo di turbe psicologiche e attacchi di panico, sbagliando un film dopo l’altro, per riprendersi solo molti anni più tardi. Tornando a Shakespeare in Love, il film all’uscita sfonda il muro dei 100 milioni di dollari d’incasso, lanciato da una faraonica campagna pubblicitaria che infastidisce gli avversari, prima fra tutti la Dreamworks. Ai Golden Globe vince tre premi su sei nomination (miglior film commedia, miglior attrice in una commedia e miglior sceneggiatura). Con tredici candidature, la sera del 22 marzo 1999 al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, il film è il grande favorito nella “notte delle stelle”.
Il racconto del redattore
Nella cinquina di finalisti del 1999, tra gli avversari di Shakespeare in Love, spiccano due film di guerra,molto diversi tra loro: Salvate il soldato Ryan e La sottile linea rossa. Il primo è l’ultimo lavoro di Steven Spielberg, film potente e tecnicamente ineccepibile: soprattutto la prima mezz’ora rappresenta lo sbarco in Normandia con un realismo e una drammaticità sorprendenti. Spelberg sarà premiato per la regia e vincerà altri quattro premi tecnici per la fotografia, il montaggio, il suono e il montaggio sonoro. Il secondo è il capolavoro sperimentale di Terrence Malick, che torna dietro la macchina da presa dopo vent’anni: nel film il punto di vista si rifrange tra diversi personaggi, immersi in una natura aliena (quella del fronte orientale della Seconda Guerra Mondiale, a Guadalcanal) che li spinge a guardarsi dentro. Molto più introspettivo e disturbante rispetto al lavoro di Spielberg, la sua corsa agli Oscar termina con sette infruttuose nomination. A completare l’elenco dei film finalisti Elizabeth dell’indiano Shekhar Kapur, con una strepitosa Cate Blachett, che però vince solo per il trucco e soprattutto La Vita è bella, del toscano Roberto Benigni. Quest’ultimo l’abbiamo visto in Italia ed è un film singolare, diviso in due parti ben distinte: la prima è una commedia, ambientata nell’Italia fascista dove l’ebreo Guido Orefice conquista l’amore della sua bella. La seconda invece ha l’ardire di affrontare l’orrore dell’Olocausto con l’arma della commedia. Per non spaventare il figlio davanti all’internamento nel lager, il padre infatti lo convince di essere stato selezionato per un gioco a premi, superato il quale il vincitore porterà a casa un carrarmato vero. Grazie a questa ingenua speranza il bambino si salverà, mentre il povero Guido sarà portato via – sempre col sorriso – e ucciso, fuori campo. In Italia la critica è spaccata in due. La stampa di destra, in quel momento all’opposizione, lo bersaglia, a causa delle idee politiche dell’autore e regista. Da sinistra invece i critici non mettono in dubbio la buona fede di Benigni, ma temono che l’approccio fantastico e la mancanza di una seria analisi storica nel film favorisca l’amnesia o addirittura il revisionismo nei giovani. Tra le polemiche La Vita è bella incassa 66 miliardi solo in Italia, in Francia lo vedono tre milioni di persone e in Germania ha oltre un milione di spettatori. L’approdo negli U.S.A. , ancora grazie alla Miramax Films, è favorevole: La Vita è bella viene giudicato come un film non equilibrato ma sincero e commovente, nonostante le accuse di alcuni autorevoli giornali (Time parla di “sentimentalismo fascista” e Village voice lo definisce “colossale sciocchezza”). Agli Oscar le sei nomination si trasformano in tre statuette, massimo tributo di sempre ad un film italiano, per il miglior film straniero, la colonna sonora di Nicola Piovani (già collaboratore di Fabrizio De Andrè e al cinema di Nanni Moretti) soprattutto per Benigni, miglior attore protagonista. Alla cerimonia il comico toscano è il mattatore assoluto e dà vita a siparietti indimenticabili, avviandosi sul palco saltando da una poltrona all’altra, ringraziando in un inglese surreale, tra gli applausi divertiti dei presenti (filmato in alto). Al termine dello show, la scena è tutta per Shakespeare in Love che vince 7 Oscar per il film, la ventiseienne attrice protagonista Gwyneth Paltrow, la matura “Dame” Judi Dench (impagabile Elisabetta I, riceve la statuetta per un’interpretazione di appena otto minuti), la sceneggiatura, i costumi, la scenografia e la colonna sonora per una commedia. In coda alla serata premio alla carriera ad Elia Kazan, regista di cult movie come Fronte del Porto che suscita discussioni e la muta protesta di alcuni dei presenti in sala, in quanto collaboratore della Commissione McCarthy negli anni ’50.