L’autobiografia come divertente ricerca stilistica di un genio innamorato
Io e Annie (Annie Hall)
Regia: Woody Allen; soggetto e sceneggiatura: Woody Allen, Marshall Brickman; fotografia (DeLuxe Color, Panavision): Gordon Willis; scenografia: Mel Bourme; colonna sonora: canzoni di Carmen Lombardo, John Jacob Loeb, I. Jones,Gus Kahn; montaggio: Ralph Rosenblum; interpreti: Woody Allen (Alvy Singer), Diane Keaton (Annie Hall), Tony Roberts (Rob), Carol Kane (Allison), Paul Simon (Tony Lacey), Shelley Duvall (Pam), Janet Margolin (Robin), Colleen Dewhurst (madre di Annie), Christopher Walken (fratello di Annie), Donald Symington (padre di Annie), Helen Ludlam (nonna di Annie), Mordecai Lawner (padre di Alvy); produzione: Rollins-Joffe per United Artists; origine: USA-1977; durata: 93′.
https://youtu.be/0pqrcq7mXNk
Trama
New York. Alvy Singer (Allen), autore e attore di commedie di successo, racconta l’epilogo della sua storia d’amore con Annie. Ha alle spalle due matrimoni falliti quando incontra,su un campo da tennis, la timida ragazza wasp Annie Hall (Keaton). I loro rapporti sono subito difficili: per fare l’amore Annie ha bisogno della marijuana, inoltre Alvy proviene da una famiglia ebrea, mentre la sua amata detesta gli ebrei. La prima rottura tra i due avviene a causa della gelosia di Alvy verso il produttore discografico Tony Lacey, che la vuol lanciare come cantante rock, ma si ricompone e i due partono per la California. Annie ritrova a Los Angeles il discografico, che la invita a trasferirsi lì per dare un impulso alla sua carriera: è la rottura definitiva. Alvy tenta di riannodare il loro rapporto. Invano. Decide allora di scrivere una commedia per raccontare le traversie della loro storia d’amore. E la fa finir bene, con Annie che torna a New York dove i due diventano amici. Alvy riprende il suo monologo e riflette sull’assurda fragilità dei rapporti umani.
I cinquant’anni di fuoco dell’Oscar
Anno di grazia il 1977 per il cinema americano. Tra i cinque film finalisti a giocarsi l’Oscar ci sono due lavori di Herbert Ross, Goodbye Amore mio! e Due vite, una svolta. Il primo almeno laurea miglior attore protagonista Richard Dreyfuss, mentre il secondo stabilisce un primato, mandando a vuoto tutte e 10 le nomination conquistate. Il terzo dei candidati è addirittura Guerre Stellari di George Lucas, nuovo campione d’incassi di tutti i tempi e esempio di sincretismo culturale: il film frulla insieme Kurosawa, le saghe nordiche, la ricerca del Graal, i fumetti di Flash Gordon, Re Artù e lo zen in una fanciullesca esaltazione, tangibile ancora oggi. Nella cinquina Lucas prende il posto dell’amico Spielberg che almeno questa volta è candidato per la regia del poetico e incompreso Incontri ravvicinati del terzo tipo, che termina la corsa con un premio alla fotografia e un Oscar speciale al montaggio degli effetti sonori. Guerre Stellari invece requisisce i premi tecnici (scenografia, suono,costumi, montaggio, effetti visivi e la proverbiale colonna sonora di John Williams, più un settimo Oscar speciale per gli effetti sonori), regalando allo sconcertato regista una notorietà del tutto inattesa (“Non cerco la fama, sono un introverso“dichiara). Il quarto film è Giulia, estremo lavoro di Fred Zinneman, che mette in scena con equilibrio tra spettacolo e passione politica la storia di due donne di sinistra negli anni ’30, interpretate dalle due attrici di sinistra più note degli anni ’70: Jane Fonda e Vanessa Redgrave. Quest’ultima riceve dalle mani di un emozionato John Travolta l’Oscar come attrice non protagonista (altre due statuette premiano Jason Robards, miglior attore non protagonista per il secondo anno di fila e lo sceneggiatore Alvin Sargent) e dal palco, dopo aver ringraziato il regista, si scaglia contro l’estabilshment sionista americano, che ha picchettato il film, a causa della presa di posizione dell’attrice in favore dei palestinesi nella crisi medio-orientale. Il discorso infuocato della Redgrave – qui sotto puoi ascoltarlo – mette in ombra il trionfo dell’assente Woody Allen (è rimasto a New York a suonare con gli amici della sua band il clarinetto e commenterà la vittoria solo un anno dopo) cui riesce l’impresa di trasformare le quattro nomination personali in 3 Oscar tutti per sè fallendo, come si è visto, solo il trofeo da interprete. Una quarta statuetta incorona meritatamente la sua musa Diane Keaton miglior attrice protagonista dell’anno. Ella diventa anche un’icona di stile e il suo look a base di camicie maschili, cappelli flosci e pantaloni sformati viene imitato in tutti gli Stati Uniti.
Il commento del Redattore
Il film ruota intorno alla vicenda di Alvy e Annie (Hall è il vero cognome della Keaton), apertamente autobiografica ed è una delle migliori commedie anni ’70. La pellicola ha i suoi punti di forza nell’umorismo amaro e scoppiettante della sceneggiatura, con dialoghi e battute irresistibili. Le ossessioni tipiche dei newyorkesi ci sono tutte: il sesso, l’odio per la campagna, la psicanalisi (“Vai dallo psicanalista?” “Si da quindici anni soli.” Quindici anni? “Sì, gli concedo un altro anno,poi vado a Lourdes”). L’autore, anche protagonista, si rivolge allo spettatore, quasi a cercare, con una confessione tanto esplicita, comprensione e consolazione per il suo amore perduto. Accampa scuse, come i traumi infantili, per giustificarsi davanti all’accusa di un lamentoso narcisismo: l’operazione riesce alla perfezione e fa di Io e Annie uno dei suoi film più sinceri e toccanti, una commedia al contempo deliziosa e straziante.
Voto: 8,5 su 10.