Lala; Regia Ludovica Fales; Sceneggiatura: Ludovica Fales; Fotografia: Valentina Summa; Montaggio: Adelina Bichis; Musiche originali: Bruno Franceschini; Special track musicale: Assalti Frontali feat. Luca D’Aversa; Suono in presa diretta: Gian Domenico Petillo; Costumi: Sara Marcucci; Scenografia: Brunella De Cola; Mix audio: Mikaël Barre; Postproduzione video: Gianandrea Sasso; Cast: Samanta Paunković (Lala), Zaga Jovanović (Zaga), Ivana Nikolić (Rahma), RašidNikolić (Pasquale), Fiorello Miguel Lebbiati (Avvocato), Paola Michelini (Negoziante); Produzione: Transmedia production (Italia), Staragara (Slovenia); Italia; 2023; Durata: 85′.
Lala, la trama
La trama del film affronta tematiche profonde e complesse legate all’identità, all’immigrazione e alla discriminazione, concentrandosi su tre giovani donne rom, Lala, Samanta e Zaga, prossime a diventare maggiorenni. Nonostante siano nate in Italia, viene negata loro l’identità italiana a causa delle origini dei loro genitori, che sono fuggiti dai Balcani durante la guerra.
La storia si sviluppa attraverso un intricato intreccio tra documentario e finzione, con l’aggiunta di un livello metacinematografico. Lala, interpretata da Samanta, lotta per ottenere i documenti d’identità e riavere suo figlio. Questa trama si intreccia con la storia di Samanta, l’interprete non professionista che dà vita a Lala, e con quella di Zaga, la ragazza reale che ha ispirato il film. Il film diventa un insieme di voci di ragazzi e ragazze rom e sinti che sono tutte e tutti “Lala”.
Lala, la recensione
Lala ha vinto il premio del pubblico mymovies alla quarantunesima edizione del Bellaria Film Festival.
Fin dai primi minuti di visione del film ci si rende conto dell’intreccio tra documentario e film di finzione. La pellicola inizia con la storia parallela di due ragazze rom, costrette a combattere la burocrazia italiana, per poter esistere, essere riconosciute. Ma nel momento in cui un vigile strappa dalle braccia di Lala il suo bambino, si sente una voce fuori campo, quella di Ludovica Fales, la regista, che stoppa tutto e chiede a Samanta, l’attrice, che cosa prova in quel momento critico, cambiando così la prospettiva del pubblico.
Si forma un ulteriore livello, oltre a quello documentaristico e di finzione, uno strato metacinematografico dove gli interpreti bloccano la scena e si mettono a parlare del loro personaggio, cercano di capire quello che sta provando in quel momento, le differenze e le analogie con loro stessi. È proprio in questo che è racchiusa la forza vitale del film. Questi momenti di rottura nella trama tradizionale aggiungono uno strato di profondità al film.
Gli attori non solo interpretano i loro personaggi, ma si fermano per riflettere sulla situazione dei rom di nuova generazione in Italia. Si crea così uno spazio in cui gli interpreti, giovani rom e sinti, possono condividere le loro esperienze personali, discutere delle discriminazioni che subiscono e raccontare le loro storie.
Questa componente rende il film un mosaico autentico di voci, un potente strumento per sensibilizzare il pubblico sulle sfide che affronta questa generazione “invisibile”. Consapevoli di avere per la prima volta qualcuno che li ascolta, i giovanissimi interpreti raccontano le loro situazioni, i loro dubbi, i loro sogni, la loro vita. Finalmente hanno un megafono.
L’intero film è permeato da un crudo realismo; tuttavia, alcune scene agiscono come contrappeso, conferendo al film tonalità oniriche. Quando Lala compie le sue peregrinazioni in cerca di qualcuno che possa aiutarla a riavere suo figlio in alcuni momenti sembra quasi di trovarsi in un’atmosfera felliniana. Un esempio vivido si manifesta attraverso la figura di una cantante vestita da angelo, che esegue la sua melodia tra le rovine di Roma. Ma ancor più suggestiva è l’anziana rom, che, nonostante il contesto fortemente periferico del campo nomade, è riuscita a creare il proprio angolo di paradiso: un minuscolo giardino ricco di fiori.
Lala, dal 25 gennaio al cinema.