Al Taormina Film Festival è stato presentato il film di Bruce Beresford Ladies in black, una storia d’immigrazione che finisce bene. Forse perché è ambientata sessant’anni fa?
L’Italia e gli Stati Uniti non sono i soli paesi xenofobi, il No way australiano, ossia l’operazione “Sovereign borders” lanciata da Tony Abbott, tanto amata da Salvini, è una delle peggiori soluzioni mai pensate per intercettare le imbarcazioni di migranti verso l’Australia. Forse per questo il regista australiano Bruce Beresford ha voluto girare una commedia che parla d’immigrazione. Siccome al giorno d’oggi un lieto fine sarebbe stato improbabile, il film è ambientato nel 1959.
Le Ladies in black non controllano il flusso di extraterrestri sulla terra come i loro omologhi maschili, sono semplici commesse, così chiamate per la loro uniforme nera. Dall’Europa arriva una esperta di moda parigina che viene vista subito con sospetto dalle colleghe.
Ma più della trama sentiamo cosa dice il regista: “Si tratta dell’adattamento di un romanzo scritto da una ragazza che ha frequentato l’università con me. L’ho letto e ho subito pensato: è bello, divertente e racconta un periodo di storia d’Australia interessante, in cui c’erano molti immigrati dall’Europa, cosa che al tempo ha avuto un forte impatto sulla società. Ma il tema era trattato con leggerezza, cosa che mi piaceva moltissimo. Così ho preso subito i diritti cinematografici sul libro, negli anni Novanta. Ventitré anni dopo sono finalmente riuscito ad avere i finanziamenti per girarlo. L’immigrazione di oggi non è molto cambiata rispetto al periodo raccontato nel film. Dopo la guerra molte persone europee, italiane, inglesi si trasferirono. Oggi invece i nuovi immigrati arrivano dall’Asia: cinesi, thailandesi. Il paese è diventato ancora più cosmopolita. Non è neanche cambiato il clima di sospetto che anche allora c’era verso lo straniero, verso chi non parlava inglese. Scattava il sospetto, le persone diventavano paranoiche, non si fidavano e quindi c’era una chiusura”.
La protagonista, Julia Ormond, racconta: “Amo il cinema di Bruce e poi mi piaceva l’idea del film che guardava ai migranti con uno sguardo positivo, raccontando di un incontro che aiutava la maturazione della giovane protagonista. Si racconta di una migrazione lontana, di persone che poi sono entrate a pieno titolo, si sono integrate, nella società australiana. Oggi ci troviamo ad affrontare temi simili. Anche il tono dell’opera e il lavoro di Bruce e la storia era importante, rispetto a oggi in cui affrontiamo gli stessi problemi. La sfida oggi è a livello globale e dobbiamo affrontarla tutti insieme, come pure il cambiamento climatico”.
L’ottima Julia Ormond ha colpito nel segno: i due problemi da affrontare oggi sono l’emigrazione e i cambiamenti climatici che, a loro volta, sono una delle cause dell’emigrazione. Come abbiamo già detto altre volte, ci sembra logico che gli artisti, in quanto tali, abbiano uno sguardo più lucido su quello che è il mondo. La domanda che sorge spontanea è: ma perché i politici non si fanno da parte e lasciano fare a chi ha le idee più chiare di loro?