Dal 12 febbraio presentato al Festival di Berlino e poi nelle sale italiane, l’ultimo film di Saviano mostra la criminalità di Napoli in maniera differente rispetto alle sue opere precedenti
La paranza dei bambini sta riscuotendo grande successo conquistando l’Orso d’argento per la sceneggiatura a Berlino e il Premio Prospettiva all’attore protagonista. “Ai morti colpevoli. Alla loro innocenza”. Roberto Saviano apre con questa dedica il suo primo romanzo di finzione, riferendosi a quei ragazzini non più innocenti per colpa del sistema negativo in cui vivono. Il termine paranza indica nel gergo della camorra napoletana, gruppo o sezione di camorristi, in questo caso sono composti da bambini di età compresa tra gli 8 ed i 16 anni.
A Nicola (Francesco Di Napoli) non sta bene che dei camorristi chiedano l’estorsione a sua madre nella sua lavanderia e che in generale venga richiesto il pizzo: chi governa il territorio dovrebbe lasciare stare i poveri lavoratori, secondo lui. Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ, Briatò rappresentano i suoi fedeli compagni: con loro vorrebbe andare in discoteca, comprare abiti firmati, ma soprattutto diventare importanti sulla strada. Per ottenere i suoi obbiettivi bisogna avere soldi e quindi cerca di entrare in un clan camorristico. Non desidera essere sottomesso ad altri, piuttosto preferisce scomode alleanze, ma con coetanei che la pensino come lui: con Agostino Striano (Pasquale Marotta) prova a sparare per la prima volta e da allora la sua vita cambierà completamente. Anche verso l’amata Letizia (Vivana Aprea) ora si sente più maturo. Approfittando di un vuoto di potere, la paranza dei bambini ascende e gestisce il rione secondo i buoni principi di Nicola. Sembra che la vita sia in discesa per i nostri giovani protagonisti, ma proprio in questo momento iniziano i veri problemi.
Risulta sempre particolare vedere sul grande schermo la tua città, anche se ci si addentra nei meandri più oscuri e meno felici di Napoli. Roberto Saviano aveva già trasposto il suo romanzo Gomorra attraverso un film omonimo e Gomorra – la serie, ma la pellicola scritta con Claudio Giovannesi e Maurizio Braucci si presenta differente: le atmosfere sono meno cupe, le scene sono meno spettacolari e meno crime, ma ciò è funzionale ad evidenziare la psicologia dei giovani personaggi, Nicola in primis, attraverso i loro cambiamenti. “Non volevo fare lo spin-off di Gomorra, ma piuttosto parlare della perdita dell’innocenza. Non volevo neppure fare un film su Napoli o fare della semplice sociologia. Il tutto è invece costruito sul binomio gioco e guerra, non a caso il film inizia con il furto di un albero di Natale, solo che questi ragazzini entrano alla fine in un gioco dal quale non si può più tornare indietro. Insomma volevo fare un film dal punto di vista degli adolescenti senza giudicare troppo”. Con queste parole, il regista, già autore di due episodi della serie a tema in onda su Sky, sottolinea il grande lavoro compiuto per il casting. Giovannesi ha scelto i suoi ragazzi dopo mesi con più di 4000 provini, basandosi su tre requisiti fondamentali, quali la prossimità, il talento, l’immagine: la maggior parte del cast proviene dai vicoli e dalle piazze di Rione Traiano, Sanità, Forcella, Scampia, Afragola e Quartieri Spagnoli.
In particolare, soffermiamoci sull’attore protagonista, Francesco Di Napoli: “Quando sono stato scelto, facevo da due mesi il pasticciere in un bar del mio quartiere. Ero stato bocciato a scuola, frequentavo l’alberghiero, il Rossini a Bagnoli, mi ero scocciato di studiare. I miei amici avevano sempre i soldi in tasca, e io no: non venendo da una famiglia benestante, mio padre ha una bancarella di bigiotteria a via dei Mille, mia madre è casalinga, desideravo lavorare per mantenermi da solo. Ho iniziato a preparare cornetti e caffè per le colazioni, mi svegliavo alle 5 del mattino. Poi ho imparato a fare babà e cannoli”. Dalle sue parole notiamo che le sue origini non sono lontane rispetto a quelle del personaggio che interpreta. Tuttavia, il giovane napoletano mostra una via diversa rispetto a quella criminale per ottenere dei soldi, ma afferma che purtroppo molti suoi coetanei hanno ceduto alla tentazione della camorra e che vorrebbe dare una mano in futuro per questi problemi. Non è stato facile recitare, provava vergogna all’inizio e ha saputo di essere il protagonista solo un mese prima; l’istante in cui ha capito che sapeva recitare: “Quando mi sono reso conto di saper piangere per finta…”
Il finale aperto costituisce l’elemento che più destabilizza lo spettatore e che fa sperare in un sequel. Dopo l’iniziale sgomento all’uscita dal cinema, ritengo che possa sembrare ragionevole chiudere la vicenda in questo modo. La paranza dei bambini narra l’ascesa di questo nuovo clan: da guappi di altri boss sono diventati i padroni del quartiere. La loro scalata era terminata, in quel momento cominciano le varie problematiche: i confronti con gli altri clan e le scissioni interne, ma anche questioni d’amore e familiari che si scontrano con il lavoro. Tuttavia, tutto ciò non rientrava in questa trama, ma sarebbe piacevole vederlo in un prossimo film.