La colonna sonora di Narcos: il folk colombiano per una delle storie più romantiche della criminalità
Bentornati a “La musica nel cinema”, dove abbiamo anticipato che ci occuperemo anche di serie TV. Stavolta infatti parleremo della colonna sonora di una delle serie più seguite degli ultimi tempi: Narcos.
Parlare della colonna sonora di una serie TV non è mai cosa da poco, poiché si sviluppa in più stagioni durante le quali spesso i brani che la accompagnano cambiano.
Narcos è una serie televisiva statunitense-colombiana disponibile su Netflix dal 2015. Arrivata alla quarta stagione (a partire dal 16 Novembre 2018), ha riscosso un successo mondiale di pubblico e di critica. La serie racconta la storia vera della dilagante diffusione della cocaina tra Stati Uniti ed Europa negli anni ottanta. Le prime due stagioni sono incentrate sulla lotta delle autorità colombiane e della DEA contro il narcotrafficante Pablo Escobar ed il cartello di Medellín. La terza stagione è incentrata sulla lotta al cartello di Cali, guidato dai fratelli Gilberto e Miguel Rodríguez Orejuela. La quarta stagione sarà invece ambientata in Messico, e sarà incentrata sull’origine del cartello di Guadalajara.
La colonna sonora è interamente affidata al compositore brasiliano Pedro Bromfman, le cui scelte sono state fedeli all’intento generale con cui la serie è stata concepita: fedeltà storica e culturale, facendo affidamento su ritmi subito riconoscibili come latinoamericani, senza essere dei clichè. Per questo sono stati registrati direttamente i suoni degli strumenti tradizionali colombiani (ronroco, charango, flauti e fisarmoniche) e inseriti solo successivamente in un programma che ha permesso di manipolarli. Il processo di composizione e registrazione è iniziato prima che fossero girate le scene di Narcos, e questo ha permesso a Bromfman di sperimentare diverse idee, soprattutto nel costruire i temi musicali per i personaggi principali.
Il risultato, nella prima stagione, è una colonna sonora composta da pezzi originali e dai brani che appartengono alla cultura colombiana, dagli anni ’20 ai ’70 inoltrati. Cumbia, salsa e poche incursioni nel rock, la musica di Narcos è quella folk e soprattutto quella che ci si aspetta ascolti un uomo d’estrazione popolare come Pablo Escobar. Qual’è l’intento? Lo stesso che, ad esempio, Gomorra si propone con la musica neomelodica ascoltata dai boss: ricreare un contesto geografico, sociale e culturale il più realistico possibile in cui far muovere la storia e i personaggi.
Tutta la colonna sonora della prima stagione, è incentrata su Pablo Escobar e sulla sua vita: indaga i conflitti interni e l’ambiguità dei suoi comportamenti. Santo o mafioso, narcotrafficante o (anche) benefattore?
Nella seconda stagione si assiste ad un cambiamento. Così come la violenza e il potere sono cresciuti esponenzialmente puntata dopo puntata, anche la musica subisce un netto cambiamento, portandoci molto più groove tradizionale tra cumbia e salsa, ma anche musica moderna, quasi a simboleggiare l’apertura della Colombia al mondo intero, proprio grazie ad Escobar.
Quello scelto per il trailer della seconda stagione (Renegade degli Styx) è un classicone di fine anni ‘70 che esprime con successo il momento di Pablo Escobar, all’apice della sua fama. Il tema è caro ai film del genere e già in Blow o Scarface (per citarne due tra i più celebri) l’apice del successo viene descritto attraverso il glam rock a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
L’apertura di ogni episodio è stata affidata a Rodrigo Amarante, una carriera iniziata molto giovane nei Los Hermanos, band un tempo popolarissima in Brasile e tutt’ora molto amata, per poi passare all’esperienza al fianco di Moreno Veloso, figlio di Caetano, nell’Orchestra Imperial. E poi, oltre alle tante esibizioni soliste, la fondazione dei Little Joy, supergruppo nato dalla collaborazione con Fabrizio Moretti degli Strokes e le tournée in giro per il mondo con l’amico Devendra Banhart, con cui collabora tanti da tanti anni.
Come nasce “Tuyo“, la sigla di Narcos?
Sono stato fortunato, mi hanno chiesto di scrivere la traccia prima ancora che iniziassero le riprese. Quindi ho dovuto lavorare di immaginazione, e vedere i personaggi nella mia mente prima che finissero sullo schermo. Così mi sono chiesto: “Che contributo posso dare a questa storia?”. Ci ho pensato su due settimane e mi sono detto: “Questa è la storia di un mostro, che così appare agli occhi della gente”. Un mostro può essere odiato, celebrato, oppure può aiutarci a riflettere sul mostro che è in tutti noi. Così ho deciso di umanizzarlo. Ho studiato la sua storia, ho immaginato Pablo da ragazzino in cucina, con il padre assente e la madre che gli diceva “Non credere a nessuno, solo in te. Sii forte, uomo”. E lui voleva diventare l’uomo che la madre richiedeva.
Che visioni ti passavano in testa mentre componevi?
Ho immaginato di scrivere il pezzo preferito di sua madre, quindi con arie anni ’50 e ’60, di quelli che passavano allora alla radio. Così, mentre ascolta la canzone con mamma, Pablo progetta il se stesso del futuro. E la voce del cantante è quella dell’uomo che vuole diventare. Ovviamente il pezzo doveva avere atmosfere latine un po’ classiche, e ho scoperto che il grande interprete del tango Carlos Gardel era morto a Medellin in un incidente stradale proprio nel periodo in cui Escobar era un ragazzino. Mi sono ispirato a lui per dare vita a una canzone che fosse al contempo locale e globale. Come Pablo, che è diventato un caso universale e che impone a tutti di ragionare sul fatto che il crimine e la cattiveria umana non sono una prerogativa della Colombia o di un solo posto, ma dell’essere umano.
Un bolero romantico che è un’introspezione: avere un figlio quale magnate della droga non è certamente il sogno di ogni madre e non è difficile scorgere il dramma ed il dilemma del suo animo affranto, ma pur sempre animo di madre…