Nel 1958 il regista Richard Brooks decise di rappresentare sul grande schermo un dramma teatrale intenso e particolare, sia per la storia che per i contenuti che rappresentava, una storia con una trama molto moderna in realtà, che affrontava temi sottaciuti e volutamente evitati come l’omosessualità, l’alcolismo, l’intimità matrimoniale.
Inizialmente decise di girare la pellicola in bianco e nero, ma successivamente ci ripensò, e lo fece perché sarebbe stato davvero un peccato rinunciare al colore degli occhi dei due attori scelti come protagonisti, blu intenso e viola zaffiro.
Parliamo di due grandi di Hollywood, belli e impossibili (per dirla con le parole di una nota canzone) Elizabeth Taylor e Paul Newman protagonisti, insieme a, Burl Ives, Jack Carson, Madeleine Sherwood e Judith Anderson del film Cat on a hot roof , prodotto dalla MGM, tratto dall’omonimo dramma teatrale di Tennessee Williams e arrivato per la prima volta nelle sale italiane il 22 Gennaio 1959 con il titolo La gatta sul tetto che scotta.
La trama
I fatti sono ambientati intorno agli anni ’50, nel contesto di una tradizionale famiglia di proprietari terrieri del Mississipi.
C’è un capofamiglia, Big Daddy arricchito e duro come la roccia, in apparenza padre padrone nei confronti dei figli e della moglie.
L’interesse economico è il fulcro che muove i controversi rapporti tra due fratelli e le loro rispettive consorti.
Soprattutto è il maggiore, Cooper, d’accordo con la moglie, ad ambire al possesso del cospicuo patrimonio paterno, approfittando delle precarie condizioni di salute del padre.
L’altro figlio Brick, (Paul Newman) è un abulico e ubriacone, in perenne conflitto con la bella moglie Maggie, (Elizabeth Taylor) con se stesso e con il mondo intero; il loro è un matrimonio bianco, senza amore e senza sesso.
In occasione dei festeggiamenti per i 65 anni di Big Daddy, si ritrovano tutti insieme, Brick e Maggie, Cooper e Mae con i loro quattro figli più uno in arrivo, e la remissiva madre.
La maggior parte delle scene si svolgono nella stanza da letto, una specie di ring dove si affrontano Maggie e Brick, lei la gatta fa le fusa e tenta invano di sollecitare sessualmente il marito che depresso e alcolizzato la rifiuta con ferma determinazione. Brick è distrutto dal dolore per il suicidio del suo ex compagno di squadra Skypper al quale era legato da un amore profondo e sincero. Maggie, gelosa di questa straordinaria amicizia, aveva infatti aveva denunciato al marito il contegno di Skipper, che la corteggiava in modo del tutto incompatibile coi propri doveri di lealtà verso l’amico. Questa denuncia aveva provocato un violento conflitto tra Brick e Skipper, il quale, scosso dalla furibonda lite con l’amico, si era ucciso appunto.
I fratelli per festeggiare il padre, inconsapevole malato terminale di cancro, gli mostrano un falso esame clinico negativo. Tutti, tranne la madre, sono a conoscenza di questa menzogna e in vista della vicina scomparsa del vecchio, Cooper come un avvoltoio prepara un documento per l’eredità che viene sdegnosamente rifiutato da Brick e dalla madre che, informata dai figli, condivide lo sdegno dell’adorato figlio Brick.
Nel frattempo il padre euforico, credendosi guarito, confida a Brick che, stanco di sopportare l’ottusa invadenza della moglie intende dedicare il resto della vita alle gioie terrene e di darsi alla bella vita.
Poi nella discussione vengono smascherate le reciproche finzioni: il Padre incalza Brick che alla fine confessa la propria omosessualità e nella drammatica scena anche il vecchio viene a sapere la verità del suo male. Pentito, ha poi con il padre una franca spiegazione, riconosce i propri errori e promette di cambiare vita, riconciliandosi con la moglie e prendendo in mano la grande azienda che il padre ha creato. Nell’assumere quella responsabilità, che prima aveva respinto, Brick rende felice Maggie, che non ha mai cessato di amarlo e le regge il gioco quando, mentendo, dice di essere il cinta.
La modernità
Quel che stupisce guardando questo film, è la grande attualità di una commedia scritta sessant’anni fa, alcool, sesso sterile e prolifico, depressione e morte, tematiche non proprio consuete per l’epoca.
Come già detto, quello tra Maggie e Brick, è un matrimonio bianco, senza amore nè sesso, un aspetto questo molto intimo e privato all’interno di un rapporto di coppia e sicuramente mal visto nell’America bigotta e ipocrita degli anni cinquanta. È qualcosa da nascondere, un’unione sbagliata, a cui rimediare, perché se non fai figli, la gente mormora.
Tema ancora più scottante è quello dell’omosessualità, che non viene mai esplicitato, ma resta latente in tutta la storia. Nella Hollywood di allora infatti, era un tema che non si poteva esplicitare, e il famigerato Codice Hays (un codice che regolava le guide morali delle produzioni cinematografiche, in pratica una censura su cosa si potesse dire e non dire, poi fortunatamente soppiantato pochi anni dopo) imponeva addirittura la soppressione di tale tematica.
E la latente omosessualità di Brick pesa come un macigno, non solo nel rapporto di coppia tra lui e sua moglie, ma anche nel rapporto che Brick ha con suo padre, che sicuramente non può accettare la vergogna di avere un figlio omosessuale. E infine, l’omosessualità è qualcosa di cui lo stesso Brick probabilmente prova vergogna. È qualcosa che tiene nascosto, perfino a se stesso, prima che a sua moglie o ai suoi genitori.
Anche il tema del sesso, tabù per gli anni ’50 ,viene affrontato a più riprese nelle scene con protagonisti Maggie e suo marito, è attraverso il sesso che la gatta tenta di circuire suo marito, la sua grazia e sensualità, lo desidera più di ogni altra cosa, e il sentirsi rifiutata è un dolore immenso.
Altro argomento molto forte è quello dell’alcolismo come rimedio ai propri traumi e alle sofferenze psicologiche è audace rispetto all’epoca, e dimostra un interesse particolare del regista per l’introspezione e la cura dell’anima e della mente.
Da tutto questo viene fuori un personaggio Brick coraggioso e consapevole dei propri limiti e difetti, ma disposto al cambiamento
Il filo conduttore
Il titolo (fedele all’originale) è limitativo, fa pensare che il sesso sia l’elemento chiave del dramma, mentre il tema portante è l’ipocrisia, l’avidità, gli ignobili interessi che, nell’ambito di quella fossa di serpenti che è la famiglia, degenerano in un collettivo gioco al massacro.
Tutti mentono, fino all’ultima scena, mentono agli altri e a se stessi, mentono sull’amore, sulla sessualità nelle varianti etero e omo, sulla morte.
Nulla è come appare, forse perché i personaggi nascondono in loro aspetti negativi e e positivi insieme; anche se in quale misura non è dato sapere.
Il film è interamente incentrato sull’ipocrisia e sulla volontà di far apparire quello che non è. Mente Maggie, che come una gatta, bella e sensuale su un tetto rovente, è riuscita a liberarsi dalla sua condizione di povertà sposando il figlio di un ricco proprietario terriero.
Il suo castello sta per crollare, è come se fosse mangiata e logorata dalle fiamme di un incendio indomabile e si ostina a rimanere nella sua posizione, sul tetto di quel castello, anche se sta bruciando, anche se scotta.
Mente a se stessa, non vuole arrendersi all’evidenza, quella sua lotta continua ed estenuante sono chiari segnali di quanto non voglia accettare la realtà e di quanto si ostini a creare di sè e del suo matrimonio un’immagine fittizia.
Ogni sua parola è impregnata di ipocrisia e menzogna, dal teatrino che inscena dinanzi alla famiglia, recitando la parte della moglie desiderata per non darla vinta alla fastidiosa cognata Mae con i suoi “mostri senza collo”, alla finta gravidanza sbandierata per compiacere Big Daddy.
Mentono il fratello di Brick e sua cognata, quando si mostrano così tanto affettuosi con Big Daddy e sua moglie. Ogni loro gesto e ogni loro parola non nascono da un sincero affetto per il patriarca, ma sono studiati per ottenere il più possibile dal testamento di Big Daddy.
“Verità! Verità! Tutti vogliono la verità. Beh, la verità è sporca quanto le bugie”
Cosa c’è di vero in una famiglia che tiene nascosto al vecchio padre un male incurabile che lo riguarda? Cosa c’è di onesto in un padre che dice al figlio di avere una moglie più bella di quella del fratello? Cosa c’è di reale in una donna che punta al riavvicinamento tra il marito e il padre di quest’ultimo solo per non vederlo tagliato fuori dalla linea ereditaria?
Mario Monicelli ci aveva visto giusto col suo Parenti Serpenti, perché le riunioni di famiglia sono come temporali di tuoni e fulmini pronti ad abbattersi ovunque. La Gatta sul Tetto che Scotta è uno spaccato di vita americana: vita e morte, soldi e sesso, tutto nascosto e taciuto.
Tante bugie insomma, ma in mezzo a tutte queste bugie, alla fine, sono pezzi di verità, quelli che si svelano nel duro confronto dei personaggi, costretti ad una momentanea convivenza in una grande casa.
Un’abitazione dove cova, neppure troppo latente, una rabbia repressa, e mentre in accorati appelli pieni di pathos gli interpreti si raccontano, affiorano i loro drammi interiori.
Lo scavo psicologico dei personaggi è l’elemento predominante della pellicola, talmente intenso da catturare ampiamente l’attenzione dello spettatore.
I personaggi sono tutti bravissimi dall’antipatica, pettegola e prolifica Mae (Madeleine Sherwood), moglie del primogenito, alla sua antagonista, moglie di Brick (Elizabeth Taylor) che interpreta una intensa donna del sud, permeata da una grande sensibilità, e tesa ad aggiustare i numerosi conflitti insiti nel rapporto che lega i suoi parenti.
Gli scontri che animano il gruppo, attraverso dialoghi spietati e crudeli, portano i protagonisti in un continuo rimpallo di torti e ragioni.
Ed ecco rinascere dalle ceneri delle incomprensioni fra padre e figlio, due uomini diversi da quelli che conosciamo al principio. Si perché lo scopo primario di Big Daddy è il benessere di quel figlio, fragile e sbandato, e della sua consorte, con cui ha sempre imbastito un rapporto privilegiato; una
donna che rende onore al titolo del film, in quanto passionale e sinceramente innamorata del marito, e perciò disposta a tutto pur di riavere il suo uomo.
La gatta Maggie
È uno dei personaggi femminili più complessi e intriganti che Tennessee Williams abbia creato in tutta la sua opera, è bella e sensuale (non per niente, nella trasposizione cinematografica ne ha vestito i panni la splendida Liz Taylor), proprio come una gatta, ma la sua femminilità non si riduce solo a questo.
Maggie è una donna che lotta per il suo uomo, che non riesce ad ottenere la vita che avrebbe sempre desiderato: essere la moglie e la madre di una ricca famiglia. Mendica amore e rispetto costretta a reggere la competizione persino con chi non c’è più.
“…ma caro, Skipper è morto, mentre io sono viva, Maggie la gatta è viva”
Cerca in tutti i modi di accendere il desiderio nel marito. Dapprima prova a circuirlo con la sua grazia, la sua sensualità di Gatta, poi lo attacca aspramente quando vede di non riuscire ad ottenere quello che desidera.
È quasi impossibile non provare compassione nei confronti di questo personaggio, che sa essere anche graffiante e cattivo, soprattutto nei confronti della perfida cognata e dei suoi figli, piccoli mostri maleducati.
“Ma tu senti, come urlano!… Ma dove avranno le corde vocali quei mostriciattoli senza collo? Stasera a tavola ero talmente fuori della grazia di Dio, guarda, stavo per urlare! Un urlo da sentire da qui all’Ohio! Ho detto alla tua deliziosa cognata: « Perché non li fai mangiare in cucina, su una tavola cerata, i tuoi adorabili figlioletti? Non vedi che sporcano tutto?» Avessi visto la divinità offesa! « Come? – mi fa, – il giorno del compleanno di papa? Non me lo perdonerebbe mai!»”.
Ma la tenacia alla fine premia, e Maggie alla fine ha la sua rivincita, nei confronti della cognata, di Skipper, dell’amore, della vita. Si sente per la prima volta desiderata e amata.
Nonostante le vicende si svolgano all’interno della sfarzosa villa, una tipica costruzione del sud, e siano praticamente inesistenti le scene esterne, le quali di un buon film, spesso ne fanno uno migliore, non si avverte la mancanza di tale principio cinematografico, e non si avverte neanche la mancanza di una colonna sonora, perché i dialoghi sono talmente ben studiati, da rapire totalmente lo spettatore.
Il film è privo di musica a causa di uno sciopero del sindacato dei musicisti, e quelli inseriti successivamente, sono brani di proprietà della MGM, di cui molti composti da Andrè Previn.
Numerosi sono stati i riconoscimenti tributati alla pellicola, fra cui l’Oscar e il Golden Globe, nel 1959.
Eccellente la regia, guidata dalla capacità di permettere allo spettatore di raggiungere il cuore dei personaggi, e di carpirne i moti dell’anima.
Un capolavoro classico della cinematografia hollywoodiana che ha tute le carte in regola per affascinare, interessare, incuriosire e appassionare lo spettatore.
Bellissima la chiusa del film, con un sexi e bellissimo Paul Newman, il suo sguardo è intenso e innamorato ora, niente più bugie
“Maggie, vieni qui, facciamola finita con le bugie e con i bugiardi.”
https://www.youtube.com/watch?v=yZSEz455620