“Se vi parlassi di questo, che cosa vi direi? Vi metterei solo in guardia su una storia di amore e perdita. E sul mostro che voleva distruggere ogni cosa.”
Elisa è una giovane donna con una vita molto monotona: si alza la mattina, cuoce la colazione mentre si concede un bagno caldo accompagnato da un piccolo “intrattenimento” intimo, porta premurosamente qualcosa da mangiare al suo vicino e amico omosessuale Giles e prende l’autobus per andare a lavoro dove trova la sua migliore amica afroamericana Zelda ad attenderla: entrambe sono impiegate come donne delle pulizie presso un misterioso laboratorio scientifico-militare in un periodo, siamo a Baltimora nel 1962, di piena Guerra Fredda in cui le due super potenze mondiali cercano continuamente di rubarsi segreti militari. Il passato di Elisa è oscuro: ritrovata da piccola abbandonata vicina al fiume, delle strane cicatrici che ha ai lati del collo rivelano un inquietante intervento chirurgico crudele e misterioso il quale l’ha resa muta. Durante un turno di lavoro, Elisa vede uno strano essere anfibio incatenato all’interno di una vasca e sente subito un legame con lui cominciando uno strano rapporto fondato su cibo, musica e il linguaggio dei segni, approfondendo di nascosto quella strana amicizia senza parole.
Intanto il temibile colonnello Strickland, colui che ha catturato quell’essere nella fitta giungla amazzonica, forse anche per vendicarsi del fatto che con un morso gli ha portato via due dita, convince il suo superiore ad eliminarlo in modo che, dopo aver effettuato l’autopsia, potranno usare a loro vantaggio tutte le scoperte fatte sul quel corpo sconosciuto ma così pieno di possibilità. Ad opporsi inutilmente il timido professor Hoffstetler il quale in realtà fa il doppio gioco lavorando segretamente per i Russi, anch’essi in cerca di carpire i segreti di quell’essere e disposti a vederlo morto e distrutto piuttosto che nelle mani degli americani.
Dopo essere venuta a conoscenza di quello che sta per accadere, Elisa organizza un audace piano aiutata dai suoi fedeli amici per liberare quella creatura e portarla a casa sua fino al momento in cui la pioggia potrà dargli la libertà quando avrà allagato il canale che conduce al mare; dovranno fare i conti con un agguerrito Strickland, il quale rischia di perdere tutto se non riporta in breve tempo al laboratorio quell’essere misterioso.
“Potrebbe essere in assoluto il soggetto più sensibile mai ospitato in questo laboratorio.”
La forma dell’acqua (The shapes of the water) scritto, prodotto e diretto da Guillermo Del Toro ha debuttato in Italia il 14 Febbraio 2018 ed è interpretato da Sally Hawkins, Doug Jones, Michael Shannon, Octavia Spencer e Richard Jenkins; ha vinto quattro premi Oscar: come miglior film, miglior regia, miglior colonna sonora originale e migliori scenografie.
Anche questa volta Del Toro analizza l’universo dei mostri dalla sua prospettiva: un essere che tutti credono pericoloso e venerato come un dio dagli indigeni dell’Amazzonia, ma che invece si rivela una creatura sensibile dotato di poteri straordinari, un umano all’apparenza perfetto e che conduce una vita perfetta, ma invece piega con brutalità la realtà che lo circonda solamente per soddisfare i suoi desideri rivelandosi lui un mostro insensibile; l’artista gay, la donna afroamericana, ciò che nel 1962 era considerato “diverso” o “mostro” Del Toro lo porta sullo schermo con poesia e delicatezza senza giudizi, ma mostrando solo quella che era la difficile quotidianità per alcune persone in quel periodo.
“Se dovessi parlarvi di lei, della principessa senza voce, che cosa vi direi?”
La giovane Elisa mi ha ricordato una Amelie disillusa, una persona che sente e prova quotidianamente la solitudine e la discriminazione che cerca di affrontare con un bel sorriso e tanta fantasia, la quale finalmente trova in quella creatura qualcuno di simile a lei, entrambi intrappolati nel mondo senza poter comunicare. Una giovane donna che vive la sua vita circondata da altri emarginati, un’artista fallito e omosessuale in attesa della seconda possibilità e un’amica di colore che ha la parlantina anche per Elisa e che lotta per i suoi diritti solo all’interno del suo matrimonio. Il colonnello Strickland al contrario è un un uomo violento e autoritario, due figli amorevoli, una moglie adorante e una carriera che lui spera lo porti lontano, se non fosse per quell’intoppo che rischia di fargli perdere tutto, trascinandolo in un allucinante vortice di violenza e soprusi pur di ottenere il proprio scopo.
Anche se personalmente mi sarei aspettata un pò di più da La forma dell’acqua, rimane un film visivamente bello e poetico, con scenografie e costumi che ti riportano a quei tempi coadiuvati da una splendida colonna sonora composta da brani originali, effetti speciali accurati con scene in acqua davvero magiche, ma alla fine pur sempre una storia d’amore struggente la quale si sviluppa assai velocemente e con l’inevitabile lieto fine dopo che il cattivo è stato finalmente sconfitto. Se ti chiedi come Elisa e la creatura hanno potuto “consumare” il loro amore non preoccuparti, la giovane lo spiegherà esaurientemente all’amica Zelda anche senza l’uso della voce…
“Incapace di percepire la forma di Te, ti trovo tutto intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi del tuo amore, umilia il mio cuore, perché tu sei ovunque.”
Hai fatto una bella analisi, mi sarei aspettata anch’io molto di più da un film che ha vinto 4 Oscar soprattutto come miglior film. Concordo su scenografie e costumi e sull’amica di colore molto di carattere! Ho avuto di più da lei, dal mezzo russo e dal cattivone che dagli attori principali.
Sono contenta che ti sia piaciuta…. si, Zelda è un personaggio particolare, ma Octavia Spencer ha sempre dimostrato un incredibile bravura. Grazie, a presto!