La famosa invasione degli orsi in Sicilia fu pubblicato a puntate sul Corrierino dei piccoli nel 1945. L’autore, Dino Buzzati, che era anche un pittore, disegnò anche le vignette che accompagnavano il racconto. Fu quindi pubblicato in volume lo stesso anno, in un’edizione parzialmente rivista. Dieci anni più tardi ne è stato fatto uno spettacolo teatrale. Infine, il film. Buzzati era un eclettico, oltre che scrittore e pittore, era giornalista del Corriere della Sera, scenografo, costumista, librettista di opera lirica, drammaturgo e poeta. È considerato il Franz Kafka italiano: il suo Deserto dei tartari, oltre a essere un autentico capolavoro in sé, riesce a ricreare le atmosfere che, fino ad allora, solo Kafka era riuscito a evocare. Lorenzo Mattotti, che ha iniziato a lavorare al film oltre sei anni fa, ha realizzato la grafica in maniera filologicamente impeccabile, basti confrontare le tavole originali del Corrierino coi disegni del film, per capire quanto sia stato attento, non solo alla storia, ma anche alla grafica, che era parte integrante del progetto di Buzzati.
La storia
Il cantastorie Gedeone e la sua piccola aiutante, Almerina, si rifugiano, in una notte gelida d’inverno, in una grande caverna che, però, è abitata da un vecchio e gigantesco orso. Per timore di essere mangiati i due mettono in scena il proprio spettacolo: La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Tonio, figlio di Leonzio, re degli orsi, viene rapito dagli umani per farlo lavorare in un circo. Leonzio, disperato, passa un lungo periodo di inerzia poi, spinto dalle richieste del suo popolo affamato, scende verso la città degli uomini in cerca di cibo e – forse – del figlio. Gli orsi vengono accolti a cannonate dal malvagio Granduca, ma poi contrattaccano e conquistano la città. Leonzio diviene re degli orsi e degli uomini e inizia un periodo di pace e prosperità per le due comunità, che convivono serenamente. E qui finisce la storia di Gedeone; ma il vecchio orso ne conosce il seguito. In realtà non è finita così, perché l’orso Salnitro si umanizza fin troppo, comincia a rubare, gettando la colpa su altri, e aspira al potere regale. Per sapere il resto andate a vedere il film.
Il cast di doppiatori è formato da ottimi attori, fra i quali Toni Servillo, re Leonzio; Antonio Albanese, il cantastorie Gedeone; Corrado Guzzanti, l’orso Salnitro, e Andrea Camilleri che dà la voce al vecchio orso. Sicuramente sono stati determinanti per realizzare un film di qualità, ma il merito va condiviso con una straordinaria animazione che ha il gusto dei classici Disney, tipo Fantasia, oltre al merito della fedeltà all’immaginario di Buzzati. La storia rammenta, mutatis mutandis, un altro libro, più celebre, scritto proprio lo stesso anno, pubblicato in Italia nel 1947: La fattoria degli animali di George Orwell, che è stato riproposto come cartone animato nel 1954, dove anche i maiali si antropomorfizzano fin troppo.
È molto curioso che due autori di paesi diversi scrivano contemporaneamente un romanzo dai risvolti così simili. Noi leggiamo o, nel nostro caso, vediamo La famosa invasione degli orsi oggi e ne abbiamo una percezione che non era sicuramente quella del 1945, a guerra appena finita, col ricordo vivido di orrori che oggi si sta cercando di occultare, ma che tuttavia sono avvenuti. Sarebbe una interpretazione forzata dire che Mattotti ha voluto alludere alla situazione politica attuale, con coloro che cercano di distogliere i cittadini dalle vere cause della crisi, buttando la colpa sui migranti, però un libro (o un film) si può leggere in mille modi, prescindendo dalle intenzioni dell’autore, è questo che ne fa un’opera immortale, altrimenti oggi non avrebbe più senso leggere il Chisciotte. Una cosa mi è sembrata strana: che in una sala piuttosto affollata, in giornata festiva e in orario pomeridiano, non c’era un solo solitario bambino. Magari è stato un caso ma, da che mondo è mondo, i cartoni animati si rivolgono al pubblico dei bambini, che si portano al cinema quando non c’è scuola, il pomeriggio, perché la sera devono andare a letto presto. Da un lato è un segno molto positivo, perché vuol dire dare dignità a un genere che è tutt’altro che di seconda categoria; lo stesso accade con i fumetti che, ormai, sono letti e apprezzati più dagli adulti che dai ragazzini. Dall’altro sorge spontanea la domanda: ma se non i cartoni animati, cosa guardano i bambini?