Juliette Binoche è un’attrice e ballerina francese di immenso talento, tra le migliori contemporanee dell’attuale panorama internazionale, che dalla Francia è riuscita a raggiungere il successo mondiale ed i più importanti riconoscimenti cinematografici tra cui l’Oscar e diversi premi nei più grandi Festival europei. Interprete di più di sessanta film, l’attrice ha sempre dato prova della sua grande versatilità, dando vita a personaggi impressi nella storia del cinema.
Juliette Binoche, una figlia d’arte
Durante le vacanze estive, le sorelle Binoche erano solite passare le giornate a casa della loro nonna materna e spesso non vedevano i loro genitori per mesi. Come dichiarato dall’attrice stessa, le ragazze hanno sempre percepito un senso di abbandono da parte dei loro genitori e questo le segnerà profondamente.
Juliette Binoche si avvicinò al mondo della recitazione durante quello stesso periodo. Iniziò a recitare dapprima in produzioni scolastiche amatoriali e, a diciassette anni, ha diretto e recitato ne Il re muore, opera teatrale di Eugène Ionesco messa in scena dalla sua scuola. Determinata nel voler proseguire su questa strada, Juliette si iscrisse presso il Conservatorio Superiore d’Arte Drammatica di Parigi (CNSAD) nel 1982.
Tuttavia lasciò ben presto il conservatorio e, agli inizi degli anni Ottanta, fece la conoscenza di un agente grazie a cui riuscì ad entrare in una troupe teatrale che era solita fare tournée tra la Francia, il Belgio e la Svizzera, per la quale recitava con lo pseudonimo di Juliette Adrienne. In questo periodo, l’attrice prendeva lezioni private di recitazione con Vera Gregh, nota insegnante di recitazione cinematografica. Nel frattempo, Juliette Binoche lavorava come commessa presso un grande magazzino di Parigi, nonché come modella per un pittore.
L’esordio
Dopo aver recitato in alcuni spot pubblicitari, arrivano finalmente le prime opportunità cinematografiche. Il debutto sul piccolo schermo avvenne nel 1983, quando la Binoche è stata chiamata ad interpretare un piccolo ruolo in Dorothée, danseuse de corde (1983), un episodio extra dell’omonima serie televisiva, diretto da Jacques Fansten. Un ruolo simile le è stato poi affidato nel 1985 in Fort bloque, altro film televisivo diretto da Perrick Guinnard.
Riguardo invece all’esordio sul grande schermo, questo avvenne sempre nel 1983, quando Juliette Binoche interpretò un ruolo minore in Liberty belle di Pascal Kané. L’attrice lavorò sul set soltanto per due giorni ma tanto bastò per convincerla che quella sarebbe stata la carriera che avrebbe dovuto perseguire.
E infatti non tardarono le opportunità che la posero definitivamente sotto i riflettori del panorama cinematografico francese. Grazie ai piccoli ruoli precedenti, Juliette Binoche riuscì a farsi notare da uno dei più grandi registi dell’epoca, Jean-Luc Godard, che aveva chiesto di incontrarla dopo aver visto una foto della giovane attrice. Juliette Binoche riuscì così ad ottenere un provino per il ruolo da protagonista nel controverso film Je vous salue, Marie. In una recente intervista rilasciata in occasione del Festival del cinema di San Sebastian 2022, l’attrice ha dichiarato:
“Con lui sostenni una serie di provini che durarono moltissimo tempo. Nell’ultimo di questi dovetti rimanere nuda, pettinandomi i capelli e recitando una poesia che avevo imparato a memoria. Non mi scelse per quel ruolo, ma ne creò uno nuovo per me”.
E infatti Juliette Binoche finì per interpretare un ruolo secondario, mentre la parte della protagonista venne poi affidata a Myriem Roussel. Nonostante la Binoche trascorse ben sei mesi sul set a Ginevra, la sua presenza nel film è ridotta a sole poche scene. Descrivendo il rapporto con Godard:
“Con lui era una doccia fredda. C’era una sorta di contrasto, come se cercasse qualcosa che non riusciva a trovare. E noi attori dovevamo essere disponibili in ogni momento. Non fu un rapporto facile, ma al tempo stesso mi sentii felice”.
Dopo una serie di ruoli secondari in piccole produzioni francesi, Juliette Binoche fu per la prima volta protagonista in Les Nanas di Annick Lanoë, film del 1985 grazie al quale l’attrice iniziò ad ottenere maggiore notorietà, seppur ai suoi occhi non si trattò di un’esperienza così significativa. In realtà, da allora fu sempre più esposta ed iniziò ad essere scritturata per ruoli di maggior rilievo.
Di fatto, subito dopo, sempre nel 1985, Juliette Binoche recitò in Vita di famiglia (La Vie de famille), l’acclamato film di Jacques Doillon. Nella sceneggiatura originale, la parte che poi fu affidata all’attrice era pensata per una ragazzina di quattordici anni ma il regista rimase così colpito dalla Binoche che modificò l’età del personaggio pur di avere lei nel cast.
Dopo un ruolo di supporto nel criticato thriller poliziesco Adieu blaireau (1985, diretto da Bob Decout), fu poi la volta di Rendez-vous, film del 1985 di André Téchiné che la lanciò definitivamente come attrice. Juliette Binoche venne chiamata per il ruolo di protagonista seppur inizialmente non era la prima scelta, di fatto l’attrice subentrò soltanto in un secondo momento per sostituire Sandine Bonnaire, la quale abbandonò il film per alcuni impegni lavorativi.
Rendez-vous segue la storia di una ragazza di provincia il cui sogno è quello di diventare un’attrice. Per perseguire il suo obiettivo, la ragazza (interpretata da Juliette Binoche) si trasferisce a Parigi, dove sarà coinvolta in una serie di incontri e relazioni con diversi uomini, tra cui ricordiamo il personaggio interpretato da Jean-Louis Trintignant.
Il film riscosse un grande successo in patria, consacrando Juliette Binoche come attrice. Grazie a Rendez-vous, Téchiné vinse il premio come miglior regista al Festival di Cannes del 1985, mentre Juliette Binoche ricevette la sua prima candidatura come miglior attrice per il premio César. A lei fu assegnato il premio Romy Schneider, un riconoscimento nazionale dato ogni anno ad una giovane attrice emergente francese.
Quest’esperienza si rivelò determinante per l’ascesa della sua carriera: Juliette Binoche era ormai desiderata dai più grandi registi dell’epoca, tanto che lei stessa si ritrovò davanti a scelte difficili da compiere. Dopo aver preso parte a diversi provini, Juliette Binoche recitò in Mon beau-frère a tué ma soeur, commedia del 1986 diretta da Jacques Rouffio, in cui l’attrice si ritrovò al fianco di Michel Serrault e Michel Piccoli.
Il film non riscosse ampio successo, anzi, fu un vero e proprio flop sia al botteghino che per la critica. Proprio in seguito a quest’esperienza, Juliette Binoche dichiarò che comunque si trattò di un passaggio significativo per la sua carriera perché le insegnò a giudicare i ruoli in base alla qualità della sceneggiatura ed il rapporto con il regista, anziché per la reputazione degli attori coinvolti nel cast.
Leos Carax, tra amore e difficoltà
Rosso sangue è un piccolo capolavoro d’avanguardia non etichettabile in un genere preciso, un’esperienza audio-visiva ai limiti del surreale, che segue la storia di un ragazzo, Alex, accolto nella gang di suo padre ormai morto. Uno strano virus, l’SBTO, sta colpendo tutti coloro che fanno l’amore senza amore e l’unico rimedio è un vaccino, in possesso dell’Americana, appartenente alla gang avversaria ed accusata della morte del padre di Alex.
Si tratta senz’altro di un film generazionale, un grido liberatorio la cui libertà si esprime attraverso il movimento e l’estremo dinamismo della cinepresa. La stessa Juliette Binoche ha infatti dichiarato che grazie a questo film ha davvero scoperto la videocamera. La sua performance, carica di emozione, non è passata inosservato e le valse la seconda candidatura per il premio César.
Nell’agosto del 1986, a soli ventiquattro anni, arrivò la prima opportunità di livello internazionale: Juliette Binoche venne chiamata ad interpretare una parte ne L’insostenibile leggerezza dell’essere (The Unbearable lightness of being), adattamento dell’omonima opera di Milan Kundera e diretto da Philip Kaufman. Il film, uscito nel 1988, racconta la storia d’amore fra un neurochirurgo e una modesta cameriera sullo sfondo dei fatti tragici della Primavera di Praga.
La pellicola riscosse un enorme successo internazionale di critiche e pubblico. Per Binoche si trattò del primo film in inglese, seppur le riprese si sono svolte principalmente in Francia, e allora l’attrice non aveva ancora una buona padronanza della lingua, quindi per la preparazione del suo ruolo Juliette si avvalse di una traduzione in francese del romanzo, così da cogliere meglio il suo personaggio.
Nonostante la fama ormai internazionale, Juliette Binoche tornò in Francia e, nel 1988, fu protagonista di Un tour de manège, diretto da Pierre Pradinas. In quest’occasione, l’attrice ebbe modo di lavorare accanto a parenti ed amici, di fatto il regista non era altro che il marito di sua sorella Marion, anche quest’ultima sul set in veste di fotografa, oltre che ad essere comparsa nel lungometraggio come cameo. L’estate dello stesso anno Binoche tornò a calcare il palcoscenico con Il gabbiano, opera teatrale di Anton Čechov, diretta da Andrei Konchalovsky, partendo dal teatro dell’Odeon di Parigi.
Sempre nel 1988 ebbero inizio le riprese di un altro film di Leos Carax, Gli amanti del Pont-Neuf (Les amants du Pont-Neuf), capolavoro del regista che ci ha donato una delle immagini più suggestive in assoluto del celebre ponte francese. La pellicola segue le vicende di Alex, un senzatetto, che un giorno farà l’incontro di Michèle, interpretata dalla splendida Binoche.
La realizzazione del film fu però particolarmente travagliata e furono impiegati ben tre anni per terminare le riprese, a causa di numerose complicazioni dovute soprattutto ai finanziamenti. Carax aveva inizialmente ricevuto l’autorizzazione del sindaco di Parigi per effettuare le riprese sul vero Pont-Neuf, ma soltanto per un periodo limitato (dal 28 luglio al 18 agosto 1989).
Purtroppo proprio in quei giorni il protagonista, Denis Lavant, ebbe un brutto infortunio al ginocchio e quindi non poterono proseguire con le riprese. Così venne stanziato un nuovo budget molto più alto finalizzato alla costruzione di un finto Pont-Neuf in un’altra località francese. I costi erano però divenuti insostenibili e le riprese furono nuovamente interrotte, per poi riprendere ufficialmente nel 1990 grazie all’intervento di un altro produttore.
Durante questi anni non furono poche le occasioni che sfuggirono all’attrice, che dovette declinare diverse richieste da grandi registi perché impegnata sul set di Carax. Tra queste ricordiamo La doppia vita di Veronica di Krzysztof Kieślowski, Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau e persino Indiana Jones di Steven Spielberg.
Terminate le riprese e a seguito della rottura con Leos Carax, Juliette Binoche decise di prendere una breve pausa dal mondo della recitazione nel 1990, anno durante il quale partecipò soltanto ad uno shooting di cinque giorni sul set di Mara, un segmento della serie antologica HBO Women & Men 2: In Love There Are No Rules diretto da Mike Figgis.
La relazione con Carax fu abbastanza importante ma l’attrice ha sempre avuto un atteggiamento risoluto riguardo alle diverse relazioni sentimentali che ha avuto, anche negli anni successivi:
“Non possiedi l’amore, l’amore ti viene dato: se ci metti troppa volontà, blocchi tutto. E devi consentirti di passare attraverso il dolore. Io non mento mai a me stessa: affronto quel che non mi va giù, sperando che non si presenti di nuovo”.
Juliette Binoche agli inizi degli anni Novanta era ormai un’attrice affermata, una delle più significative della sua generazione, eppure erano tanti i ruoli a cui aveva rinunciato per altri impegni lavorativi, per cui la sua carriera era giunta ad un bivio: proseguire con produzioni internazionali o restare in Francia?
Juliette Binoche non rinnegò mai le sue radici e in numerose occasioni si è dedicata a film francesi, eppure è sempre riuscita a perseguire una carriera di stampo internazionale. Così, proprio negli anni Novanta, decise di partecipare ad alcune produzioni inglesi ed americane, molte delle quali si rivelarono dei veri e propri successi.
Negli anni era inoltre cambiata la percezione che il pubblico e la critica avevano di Juliette Binoche: da che appariva incastonata nel ruolo della gamine (giovane fanciulla elegante e giocosa), si ritrovò poi ad interpretare ruoli sempre più malinconici e tragici, che lei stessa ricorda come delle “sorelle addolorate”.
Gli anni ’90
Nel 1992 Juliette Binoche lavorò principalmente a Londra, prendendo parte al cast di Cime tempestose (Wuthering Heights) e de Il danno (Damage, Fatale). Entrambe le produzioni contribuirono ad accrescere la reputazione internazionale dell’attrice, nonostante sia dal punto di vista lavorativo che personale si trattò di esperienze particolarmente impegnative. Riguardo a Cime tempestose, il film diretto da Peter Kosminsky vedeva come protagonisti la Binoche e Ralph Fiennes.
Tratto dall’omonima opera di Emily Brontë, la pellicola non riscosse ampio successo ed anzi, fu molto criticata soprattutto per la scelta di affidare ad un’attrice francese il ruolo di un personaggio inglese, tanto che Juliette Binoche fu derisa per il suo accento. Per queste ragioni, l’attrice ma anche il regista presero le distanze dal progetto: Juliette Binoche non partecipò alla campagna promozionale del film e, addirittura, rifiutò di ridoppiare il proprio personaggio nella versione francese. Nonostante quest’esperienza negativa, in realtà l’attrice è ad oggi solita recitare in lingua inglese:
“Giro quasi sempre dei film in lingua straniera ed è diventato per me piuttosto naturale. È una questione di abitudine. Non vivo all’estero e ho un modo di pensare francese, ma quando lavoro per un po’ in inglese, mi capita di non trovare più le parole in francese. Ho bisogno di un periodo di riadattamento. Arrivo a pensare che girare in inglese mi dia maggiore libertà perché mi separa maggiormente dalla mia storia personale”.
Riguardo a Il danno, invece, il film diretto dal regista francese Louis Malle vedeva come protagonisti Binoche e Jeremy Irons. In questo caso, Juliette non era in realtà la prima scelta per quel ruolo: prima di lei erano state prese in considerazione Isabella Adjani e Jodie Foster, entrambe però rifiutarono la parte.
Tratto dall’omonimo romanzo di Josephine Hart, Il danno racconta di un rispettabile uomo politico con una vita matrimoniale stabile ma noiosa. Un giorno conosce la fidanzata del figlio e resta ossessionato dal desiderio per lei, fino a rischiare di distruggere la propria intera vita. La lavorazione del film fu particolarmente travagliata, seppur le dichiarazioni del cast e del regista non sono mai state molto specifiche al riguardo.
Sembra che i ritmi delle riprese fossero estenuanti e ciò non ha fatto altro che rendere sempre più difficili i rapporti tra il cast ed il regista. Forse proprio a causa di queste tensioni, il regista dovette interrompere le riprese per circa tre giorni, per dei problemi di salute che successivamente lo portarono a doversi sottoporre ad un’operazione. Inoltre Miranda Richardson, attrice non protagonista nominata agli Oscar per il suo ruolo, dichiarò in alcune interviste quanto fosse stato complicato collaborare con Jeremy Irons:
“A Jeremy piace che tutto sia uno sforzo collaborativo. E ci sono state volte in cui io non ho apprezzato che lui mi desse la sua opinione su qualcosa che avrei dovuto fare o su come avrei dovuto farlo”.
Louis Malle, nonostante fosse un regista ormai veterano, ha dichiarato:
“Questo è stato il film più difficile che io abbia mai fatto”.
Sorvolando i rumors ed i conflitti sul set, Il danno ricevette un’accoglienza mite e contrastante, dividendo il pubblico e la critica. Comunque l’interpretazione di Juliette Binoche fu ampiamente apprezzata e le valse la quarta nomination per il premio César.
Krzysztof Kieślowski e il capolavoro Tre colori – Film blu
Nel 1993 Juliette Binoche presta il suo volto ed il suo talento per il capolavoro di Kieślowski, Tre colori – Film blu (Trois couleurs: Bleu), primo film della trilogia dei tre colori della bandiera francese dedicata ai tre ideali portanti della nazione: Liberté, Fraternité, Égalité. Il film segue la storia di Julie che, in seguito ad una tragedia che vede coinvolta la sua famiglia, si trasferisce a Parigi, dove è costretta a confrontarsi con il suo passato e con la vita che, intorno a lei, continua.
Estremamente toccante e con alcune scelte stilistiche e scene rimaste impresse nella storia del cinema, si trattò di un film particolarmente significativo per Juliette Binoche che, con un’interpretazione struggente ed intensa, attinse dall’esperienza personale di una sua cara amica che aveva vissuto una tragedia purtroppo analoga a quella della protagonista del film: Vernice Klier, coach di recitazione, aveva perso suo figlio e suo marito in altre circostanze e la stessa attrice le stette vicino, aiutandola a tornare a vivere, per cui Juliette Binoche era particolarmente affezionata a quel ruolo che le era stato affidato e ci teneva molto, tanto che decise di rifiutare l’ennesima offerta da parte di Steven Spielberg, questa volta per Jurassic Park.
D’altro canto, anche lo stesso Kieślowski desiderava proprio Juliette per quel ruolo:
“Se Juliette non può fare questo film allora io non voglio farlo”.
Juliette Binoche ricorda con grande affetto Kieślowski ed il lavoro svolto con lui. In un’intervista, l’attrice ha raccontato dei ritmi di lavoro intensivo, quando le veniva chiesto di ripetere alcune scene senza però che il regista le dicesse cosa avesse sbagliato nel take precedente, anche solo perché aveva respirato diversamente. Nonostante il film fosse davvero drammatico, l’atmosfera sul set era tutt’altro che cupa, anzi l’attrice la ricorda con gioia e divertimento, soprattutto per lo splendido rapporto col regista.
L’intensa performance in Tre colori – Film blu le valse la coppa Volpi al Festival di Venezia, nonché il suo primo César e persino una nomination ai Golden Globe. Dopodiché, l’attrice comparve come cameo anche nei due film successivi della trilogia. Kieślowski scomparve prematuramente qualche anno dopo, lasciando un enorme vuoto nel panorama cinematografico e nelle vite delle persone a lui affezionate, compresa Juliette Binoche:
“Ciò che ricordo di lui, soprattutto durante tutto il periodo in cui ho lavorato con lui, sono i suoi occhi, i suoi occhi blu e la loro intensità… E il suo sorriso, un sorriso molto gentile, un sorriso umano… E ciò che ricordo di lui sono le nostre chiacchiere su lui che era pessimista e io ottimista, quindi eravamo come opposti, ma riuscivamo a ridere molto facilmente ed era un modo per stare insieme.
Mi manca tremendamente, probabilmente anche per il potenziale che non abbiamo esplorato abbastanza e probabilmente perché ho ricevuto molto amore da lui. Ma è un amore che non va via, rimane dentro di me. Quindi certamente mi manca e non sono l’unica, ma al contempo, a volte, devi soltanto accettarlo e conviverci e non fare la tua vita a pezzi perché lui è parte della mia vita ora”.
Dopo il termine delle riprese del Film blu, Juliette Binoche si ritirò momentaneamente dalle scene perché incinta: il suo primo bambino nacque nel settembre del 1993, Raphaël, dal padre André Halle, tuffatore professionista. Proprio durante questo periodo Spielberg tornò nuovamente a proporle un ruolo, questa volta in Schindler’s List, in cui Juliette Binoche avrebbe dovuto interpretare una donna vittima di uno stupro. Tuttavia l’attrice declinò nuovamente l’offerta a causa della sua gravidanza.
Il film riscosse un grande successo di pubblico e critica e la performance di Juliette Binoche le valse l’ennesima candidatura per il premio César. Il ruolo di eroina drammatica segnò profondamente la sua carriera e, di fatto, ciò inciderà sui personaggi successivamente interpretati negli anni Novanta.
Sul set de L’ussaro sul tetto l’attrice conobbe Olivier Martinez, definito il Brad Pitt francese, con il quale intraprese una breve relazione sentimentale, convivendo anche per un certo periodo.
Nel 1996 l’attrice torna ad interpretare una commedia, la prima dopo il fallimentare Mon beau-frère a tué ma soeur: Un divano a New York (A couch in New York), diretto da Chantal Akerman, con William Hurt. Il film non riscosse particolare successo però, con quest’ultimo titolo, Juliette Binoche riuscì a collaborare con quasi tutti i registi a cui aveva dovuto dire di no durante la lavorazione de Gli amanti del Pont-Neuf, eccetto Spielberg!
Il paziente inglese e l’Oscar
Sempre nel 1996 Juliette Binoche recitò ne Il paziente inglese (The English patient), forse il film che più di tutti l’ha lanciata come star di livello internazionale. Il paziente inglese, diretto da Anthony Minghella, vanta un cast eccezionale, con Raplh Fiennes, Colin Firth e Willem Dafoe.
Il film ambientato in Toscana, durante la Seconda Guerra Mondiale, segue la storia di un’infermiera canadese che accudisce un uomo che nasconde un tragico segreto. Numerose riprese sono state fatte in Italia, soprattutto in Toscana e a Cinecittà, e ad oggi Juliette Binoche ricorda quei giorni di shooting come la più felice esperienza della sua carriera.
Il film, considerato come uno dei migliori di sempre, riscosse un enorme successo al momento della sua uscita, vincendo ben nove Oscar. Tra questi, un Oscar andò anche alla stessa Juliette Binoche, per la prima volta candidata alla statuetta d’oro come miglior attrice non protagonista. La vittoria in questione segnò un traguardo importante: Juliette Binoche è stata la seconda attrice francese a ricevere l’Oscar dopo Simone Signoret nel 1960.
La vittoria sorprese non poco l’attrice che, convinta di non poter vincere rispetto alle altre candidate, non si era nemmeno preparata un discorso!
Dopo quest’importante riconoscimento, l’attrice decise di far ritorno in Francia per collaborare con uno dei registi che più aveva creduto in lei al suo esordio, Téchiné, per il quale recitò in Alice e Martin, film del 1998 che in patria non riscosse tanto successo quanto invece ne ebbe negli Stati Uniti. Nello stesso anno, Binoche tornò sui palcoscenici per Naked, opera teatrale tratta dalla commedia Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello. Lo spettacolo debuttò a Londra adattato da Nicolas Wright, con la regia di Jonathan Kent.
Dal 2000 ad oggi
Nel 1999 fu la volta de I figli del secolo (Les enfants du siècle) diretto da Diane Kurys. Fu sul set di quest’ultimo film che Juliette Binoche fece la conoscenza di Benoît Magimel, con cui ebbe una relazione fino al 2003 e da cui nacque la seconda figlia, Hannah. Juliette Binoche è l’emblema dell’indipendenza, di fatto nonostante i due figli, avuti con due uomini diversi, non si è mai sposata. I due si sono recentemente ritrovati a recitare l’uno accanto all’altra ne La Passion de Dodin Bouffant, film uscito nel 2023 e presentato al Festival di Cannes. L’attrice, riguardo a quest’ultima esperienza, ha dichiarato:
“Non ci siamo frequentati più tanto, è stata un’occasione per riscoprirci complici”.
Seguì poi L’amore che non muore (La Veuve de Saint-Pierre), film del 2000 diretto da Patrice Leconte nominato ai Golden Globe come miglior film in lingua straniera, dove ancora una volta spiccò l’interpretazione di Juliette Binoche, nuovamente candidata per il premio César. Sempre nel 2000 l’attrice recitò in Storie (Code inconnu: Récit incomplet de divers voyages), film che segnò la prima collaborazione tra la Binoche e il grande regista austriaco Michael Haneke.
Nello stesso periodo, Juliette Binoche era impegnata anche a teatro, questa volta a Broadway, dove debuttò ne Il tradimento (Betrayal), grazie al quale venne candidata per il Tony Award.
Il 2000 fu anche l’anno di Chocolat, film diretto da Lasse Hallström dove Juliette Binoche recitò al fianco di Johnny Depp e Alfred Molina. La pellicola segue la storia di Vianne (Binoche), che decide di aprire un negozio di cioccolato in un villaggio francese, suscitando scandalo tra gli abitanti. Le sue creazioni sembrano risvegliare desideri nascosti e repressi in chiunque le assaggi. Juliette Binoche, per prepararsi al ruolo, si recò presso una cioccolateria parigina dove imparò a fare i cioccolatini, tant’è che alcuni di questi ultimi mostrati nel film erano stati preparati dalla stessa attrice.
Il film si rivelò sorprendentemente un successo internazionale ed in particolare spiccò l’interpretazione della Binoche che di fatto venne nuovamente candidata agli Oscar e ai BAFTA, per poi aggiudicarsi un European Film Audience Award.
Tra il 1995 ed il 2000, l’eleganza e la fama di Juliette Binoche fecero sì che diventasse il nuovo volto del profumo Poème di Lancome. Alcune riviste cinematografiche di quegli anni, tuttavia, iniziarono a sottolineare quanto si fosse ormai iniziato ad avere un’ossessione per il volto dell’attrice, tanto da renderla un’icona romantica, oscurando l’effettiva versatilità di Juliette Binoche, dotata invece di un talento che non riusciva a trovare abbastanza spazio nella scena cinematografica del periodo.
Dopo il successo di Chocolat, Juliette Binoche era ormai considerata un’attrice di serie A, incastrata però sempre in ruoli da eroina romantica o pregni di tragicità e desolazione. Desiderosa di nuove esperienze lavorative, Juliette decise ancora una volta di fare ritorno in Francia, alla ricerca di ruoli più inusuali. Così fu la volta di Jet Lag (Décalage horaire), film del 2002 di Daniel Thompson con Jean Reno che riscosse grande successo al box office francese.
Anche in quest’occasione Juliette Binoche venne candidata per l’ennesimo premio César. Nel 2003 si divertì poi a tornare nei panni di Vianne di Chocolat per lo spot televisivo del Ferrero Rocher. Nello stesso anno, Binoche ebbe una relazione con Mathieu Amalric, attore francese conosciuto sul set di Alice e Martin e accanto al quale recitò successivamente in Cosmopolis.
Nel 2004 Juliette Binoche si recò in Sud Africa per il film In My Country di John Boorman, con Samuel L. Jackson. Il film fu aspramente criticato: raccontando dell’apartheid, In My Country è stato descritto come eccessivamente sentimentale, considerando la storia d’amore inopportuna rispetto al tema affrontato.
Nonostante ciò, in realtà Nelson Mandela stesso rimase colpito dalla visione del film in anteprima e contribuì alla promozione della pellicola. Anche Binoche conserva un buon ricordo di In My Country, perché durante le riprese ebbe modo di trascorrere del tempo accanto alla sorella Marion, che viaggiò con lei per realizzare alcune riprese per il documentario La reconciliation?.
Nel 2005 Binoche torna a lavorare per Michael Haneke in Niente da nascondere (Caché), straordinario thriller che racconta di una coppia che trova sulla porta di casa alcune misteriose cassette che ne ritraggono la vita privata. Poi arrivano inquietanti disegni, telefonate, strani avvertimenti ed un segreto nascosto inizia ad emergere. Il film ha riscosso grande successo di pubblico e critica, ricevendo numerosi riconoscimenti tra cui la Palma d’Oro a Cannes come miglior film. Anche l’interpretazione di Juliette Binoche è stata degna di nota, consentendole di essere nominata per l’European Film Award.
Ancora nel 2005, l’attrice recitò accanto a Richard Gere in Parole d’amore (Bee Season), che però si rivelò un flop; fu poi nel cast di Mary, film di Abel Ferrara con Marion Cotillard. Il lungometraggio racconta di un regista che dirige un film in Israele in cui incarna Gesù Cristo. Marie, l’attrice che interpreta Maria Maddalena, inizia un processo di ricerca interiore influenzato dal suo personaggio.
Nonostante Mary sia stato apprezzato dalla critica, aggiudicandosi il Grand Prix presso il Festival di Venezia, si trattò in realtà di un film abbastanza controverso che di fatto non trovò distribuzione negli Stati Uniti e nel Regno Unito, venendo proiettato soltanto nell’ottobre del 2008 a Manhattan senza però trovare una distribuzione nazionale.
Nel 2006 Juliette Binoche partecipò al Festival di Cannes per il film collettivo Paris, je t’aime, in cui recitò nel segmento Place des Victoires diretto dal regista giapponese Nobuhiro Suwa con Willem Dafoe. Sempre nel 2006, l’attrice presenziò al Festival di Venezia per promuovere il controverso Alcuni giorni in settembre (Quelques jours en Septembre), diretto dall’allora esordiente Santiago Amigorena, regista con il quale Binoche intraprese una relazione sentimentale durata fino al 2009. Il film fu criticato molto negativamente per non aver trattato adeguatamente il tema dell’11 settembre.
Ancora nel 2006, Juliette prese parte al Toronto International Film Festival per la première di Complicità e sospetti (Breaking and Entering), film in cui l’attrice torna a lavorare per Anthony Minghella, affianco a Jude Law e Martin Freeman. Stanco di subire furti nel suo ufficio di Londra, Will (Jude Law), un architetto, decide di indagare per conto proprio. Le sue indagini lo conducono a incontrare Amira, una rifugiata bosniaca. Juliette Binoche, per prepararsi al ruolo, intraprese un viaggio per Sarajevo dove incontrò delle donne sopravvissute alla guerra degli anni Novanta.
Dal 2007 ebbe inizio un periodo molto impegnativo per l’attrice, occupata in numerose produzioni cinematografiche tra cui ricordiamo Le voyage du ballon rouge, diretto da Hou Hsiao-hsien; Disimpegno (Disengagement) di Amos Gitai; L’amore secondo Dan (Dan in Real Life), prodotto da Disney e diretto da Peter Hedges con Steve Carell e Emily Blunt. Nel 2008 recitò in Parigi (Paris) di Cédric Klapisch, autore già incontrato sul set di Rosso sangue, dove lavorava come elettricista; Ore d’estate (L’heure d’été) di Olivier Assayas.
Nello stesso anno l’attrice si è inoltre dedicata alla danza, partecipando come ballerina nello spettacolo In-I con il coreografo inglese Akram Khan, in una compagnia di danza moderna con la quale intraprese un tour mondiale. Per l’occasione, la sorella Marion realizzò il documentario The Actress and the Dancer, dedicato proprio alle performance di sua sorella in veste di ballerina. Contemporaneamente, l’attrice pubblicò un libro in cui erano raccolti i suoi dipinti, intitolato Portraits of Eyes.
Sempre nel 2008, Juliette Binoche fece un cameo in Shirin, di Abbas Kiarostami, regista col quale tornò poi a collaborare nel 2009 per Copia conforme (Copie conforme), grazie al quale l’attrice vinse il premio come miglior attrice al Festival di Cannes, suggellando così l’importante traguardo della tripla corona europea: l’attrice aveva infatti conseguito tutti i premi cinematografici europei più prestigiosi, ossia la Coppa Volpi a Venezia per Tre Colori – Film Blu, l’Orso d’argento a Berlino per Il paziente inglese e il premio a Cannes.
Tuttavia, la promozione del film non fu senza intoppi: Copia conforme non trovò distribuzione in Iran a causa dell’abbigliamento della stessa Juliette Binoche. Furono inoltre particolarmente aspre le critiche mosse all’attrice da parte del collega Gérard Depardieu, che in un’intervista per Profil disse:
“Per favore, potete spiegarmi qual è il segreto di Juliette Binoche? Vorrei sapere perché è stata così stimata per così tanti anni. Non ha nulla, assolutamente nulla”.
Al che l’attrice rispose:
“Non lo conosco. Capisco che non possono piacerti tutti e che puoi disprezzare il lavoro di qualcuno. Ma non capisco la violenza. Non capisco perché si stia comportando così. È un problema suo”.
Anche in interviste più recenti è emersa nuovamente la questione, ma ad oggi Juliette ha ormai perdonato l’attore:
“Mi ha chiesto scusa, dice che agisce d’impulso. […] Disse che ero una nullità e non si spiegava la mia carriera”.
Nel 2011 recitò in The Son of No One di Dito Montiel, affianco a Channing Tatum, Al Pacino e Ray Liotta, ma il film si rivelò essere l’ennesimo flop a cui prese parte l’attrice. Ricordiamo dello stesso anno Elles di Malgorzata Szumawska; poi nel 2012 uscì La vie d’une autre di Sylvie Testud; Cosmopolis di David Cronenberg; À coeur ouvert di Marion Laine.
Seguono Camille Claudel 1915 (Bruno Dumont, 2013); Mille volte buonanotte (Erik Poppe, 2013); Words and Pictures (Fred Schepsi, 2013); Godzilla (Gareth Edwards, 2014); Sils Maria, scritto appositamente per Juliette Binoche (Olivier Assayas, 2014); Ma Loute (2016, di nuovo di Bruno Dumont); Ghost in the Shell con Scarlett Johansson (2017, Rupert Sanders); Il mio profilo migliore (Safy Nebbou, 2019) e, da ultimo, La passion de Dodin Bauffant, uscito questo 2023 e diretto da Tran Anh Hùng .
Juliette Binoche è forse una delle migliori attrici contemporanee attive nel panorama cinematografico attuale che ha ancora tanto da offrirci. Durante la sua carriera sono state numerose le scelte difficili e sbagliate compiute, non tutti i film in cui ha preso parte sono stati dei successi, eppure il suo straordinario talento è sempre stato innegabile. Dal temperamento forte e risoluto, la sua personalità è sempre emersa dai suoi ruoli, in cui ha sempre messo un pezzo di sé:
“Ci metto sempre tutto quello che posso di me, pure quello che non mi piace della mia vita emerge e non ne sono neppure cosciente”.