- Ha appena ricevuto il Leone d’oro alla carriera: ritratto di un’attrice capace di far sognare il pubblico ogni volta che appare sullo schermo.
Julia Elizabeth Wells, al secolo Julie Andrews (quest’ultimo è il cognome del patrigno che porta dall’età di 5 anni), nasce a Walton sul Tamigi il primo ottobre del 1935. Fin dalla più tenera età dimostra un precoce talento musicale, non solo per l’intonazione perfetta ma anche per l’eccezionale estensione vocale di ben 4 ottave che le consente virtuosismi da soprano leggero. A soli 12 anni è già solista in teatro e nel 1948 si esibisce affiancando il trentasettenne Danny Kaye per la regina d’Inghilterra, meritando l’appellativo di “più piccola primadonna di Gran Bretagna”.
Dopo una lunga gavetta, a soli 18 anni Julie Andrews attraversa l’oceano per debuttare a Broadway, nella versione americana del musical britannico The Boy Friend di Sandy Wilson col quale vince il premio di miglior debuttante dell’anno. L’anno successivo invece interpreta per la prima volta la fioraia Eliza Doolittle nello sfarzoso allestimento di My Fair Lady, commedia musicale ispirata al Pigmalione di George Bernard Shaw: in questo ruolo, accanto al connazionale Rex Harrison, conquista la prima nomination al Tony Award (l’Oscar del teatro). Pochi anni più tardi è nominata di nuovo per la parte di Ginevra in Camelot, musical preferito del neoeletto presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Nel 1956 l’esordio sul piccolo schermo in High Tor, considerato uno dei primi film per la tv, nel quale recita accanto a Bing Crosby e un altro musical televisivo, Cinderella (1957), scritto per lei da Richard Rodgers & Oscar Hammerstein II.
Quando Jack Warner, nel 1964, si aggiudica i diritti cinematografici di My Fair Lady, trasportando di peso tutto il cast dal teatro agli studios della Warner Bros, Julie Andrews si aspetta di essere scritturata, ma il popolare tycoon la considera poco più di una sconosciuta e le preferisce la più nota Audrey Hepburn. L’esclusione dell’attrice inglese fa scalpore, ma in soccorso della delusa arriva Walt Disney. Il creatore di Topolino ha intenzione di realizzare una pellicola rivoluzionaria, che mescoli attori in carne ed ossa e animazione: Mary Poppins(1964). Sulle prime Julie Andrews è dubbiosa, anche a causa del suo stato, poichè quando arriva la proposta ha appena scoperto di aspettare il suo primo figlio. Pur di averla come protagonista Disney le offre di posticipare le riprese di 7 mesi: è l’intuizione giusta. Nel ruolo indimenticabile di bambinaia canterina “praticamente perfetta sotto ogni aspetto“ che, dotata di magici poteri, si occupa dei fratelli Banks, Jane e Michael, nella Londra di fine ‘800 (in alto un’immagine del film) l’attrice inglese è ineguagliabile e con la sua voce melodiosa intona le meravigliose canzoni della colonna sonora -premiata con l’Oscar- con brio ed eleganza innate. Ritirando il Golden Globe per la miglior interpretazione femminile in un film musicale, ella si toglie anche una maligna soddisfazione, ringraziando pubblicamente Jack Warner per averla scartata. L’Oscar è il giusto coronamento di un’interpretazione magistrale, che resta nel cuore di grandi e piccini, rendendo giustizia alla serie di romanzi scritti da Pamela Lyndon Travers. Alla cerimonia di premiazione Audrey Hepburn, doppiata da Marni Nixon nelle canzoni, non è neanche nominata ma, dando prova di classe e sportività accetta di presentare la statuetta al miglior attore, vinta da Rex Harrison, che si profonde in elogi per entrambe le sue partner.
L’anno successivo la Andrews viene scelta dall’accorto Robert Wise come protagonista per Tutti insieme appassionatamente e il successo del film è se possibile ancora più fragoroso: l’Oscar questa volta le sfugge, ma vince il secondo Golden Globe consecutivo. Gli anni ’60 sono un periodo dorato per Julie: la colonna sonora del film, The Sound of Music, grazie alle canzoni da lei interpretate risulta l’album più venduto negli Stati Uniti, superando lavori di artisti come i Beatles e i Rolling Stones. Non legata da contratti di esclusiva, può passare da uno studio all’altro liberamente. La sua popolarità è tale che viene imposta dalla produzione perfino ad Alfred Hitchcock per Il sipario strappato (1966): lungi dall’essere uno dei lavori migliori del maestro del brivido, le interpretazioni della Andrews e di Paul Newman assicurano al film un buon successo di pubblico.
In seguito appare in Hawaii e Millie di George Roy Hill e in Un giorno…di prima mattina, diretta ancora una volta da Robert Wise. In questo film tenta invano di scrollarsi di dosso l’immagine di tata canterina e ragazza della porta accanto, interpretando la biografia della diva teatrale Gertrude Lawrence, donna forte e spregiudicata che durante la sua vita fa strage di cuori, ma il responso del pubblico questa volta è tiepido. La sua carriera cinematografica sembra ormai in declino e negli anni ’70 gira solo tre film, preferendo la televisione e il teatro al grande schermo. Sul set di Operazione Crêpes Suzette, nel quale la Andrews è una spia sotto copertura che seduce il militare Rock Hudson, conosce il regista Blake Edwards, che diventa il suo secondo marito e a cui lega anche il proprio destino artistico. Diretta da quest’ultimo, Julie Andrews assapora negli anni ’80 una nuova giovinezza artistica, vincendo il suo terzo Golden Globe e ottenendo una nomination all’Oscar per il musical Victor Victoria (qui sotto il trailer) nel quale impersona una cantante che, per trovare un ingaggio, si finge un uomo che ama mascherarsi da drag queen, per interpretare sul palco canzoni e balli tipicamente femminili. Peccato che un gangster si innamori di lei/lui, dando il via a una serie di equivoci imbarazzanti. Il film lancia definitivamente l’attrice come icona gay. Il movimento per i diritti della comunità LGBT la ama tanto per i suoi ruoli più tradizionali e mielosi quanto per quelli pruriginosi e legati a una sessualità ambigua ma mai volgare. A questo proposito dichiara: “Sono uno strano miscuglio: da un lato sono un’icona gay e, dall’altro, ricevo l’approvazione di nonne e genitori . Non ho mai capito cosa renda qualcuno un’icona gay perché ce ne sono di tipi talmente diversi (…) ad ogni modo è una cosa che mi lusinga molto. Sono sempre stata un’alleata dei movimenti LGBT“.
Gli anni ’90 vedono il suo ritorno sul palco a Broadway, diretta ancora da suo marito nell’allestimento teatrale di Victor Victoria, per il quale riceve l’ennesima nomination all’ambito Tony Award. Questa è anche l’unica segnalazione per il musical di Blake Edwards, il quale secondo molti è osteggiato dall’estabilishment per il suo passato hollywoodiano. Ciò spinge Julie Andrews a rifiutare la nomination, stabilendo un precedente clamoroso nel mondo del teatro. Lo spettacolo continua fino al 1997, quando l’attrice britannica è costretta a sottoporsi a una delicata operazione alle corde vocali, sostituita dall’amica Liza Minnelli per le ultime repliche. L’intervento purtroppo non riesce. Il chirurgo e l’ospedale si accordano per un cospicuo risarcimento (23.000.000 $) ma la meravigliosa voce di Julie, adorata in tutto il mondo, risulta irrimediabilmente compromessa.
Da quel momento l’attrice britannica si dedica, insieme con la figlia, alla scrittura di libri per l’infanzia,rispolverando una sua antica passione; i suoi scritti diventano best-seller e l’audiolibro Julie Andrews’ Collection Of Poems, Songs, And Lullabies vince nel 2010 il Grammy Award come miglior album di “spoken word” per l’infanzia.Torna anche al cinema per interpretare la regina madre nei due film di Garry Marshall Pretty Princess (2001) e Principe azzurro cercasi (2004) come comprimaria di lusso della giovanissima Anne Hathaway. Del 2017 è la serie originale Netflix in 13 episodi che la vede impegnata come autrice,scrittrice e interprete: Julie’s Greenrom. Negli ultimi anni si è anche cimentata nel doppiaggio, prestando la propria voce a una creatura marina nel blockbuster Aquaman, dopo aver rifiutato un cameo ne Il ritorno di Mary Poppins che si rivela un insuccesso, nonostante l’impegno della pur brava Emily Blunt. Del 2019 è l’annuncio del meritatissimo Leone d’oro alla carriera, consegnatole da un ammirato Luca Guadagnino pochi giorni fa (in alto il filmato ufficiale della premiazione). Avendo terminato gli aggettivi per una così immensa attrice concludo questo affettuoso ritratto definendola in un solo modo possibile: SUPERCALIFRAGILISTICHESPIRALIDOSA Julie Andrews.