Io capitano; Regia: Matteo Garrone; Soggetto e Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini, Andrea Tagliaferri; Fotografia: Paolo Carnera; Montaggio: Marco Spoletini; Musiche: Andrea Farri; Scenografia: Dimitri Capuani; Costumi: Stefano Ciammitti ; Interpreti: Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna, Khady Sy, Venus Gueye, Cheick Oumar Diaw, Bamar Kane; Distribuzione: 01 Distribution; Produzione: Archimede, Rai Cinema, Tarantula, Pathé, Logical Content Ventures, RTBF, VOO, BeTV, Proximus, Shelter Prod; Durata: 121 minuti.
Io capitano, la sinossi ufficiale
Io Capitano racconta il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa. Un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.
Io capitano, la recensione
La pellicola di Matteo Garrone, affrontando il delicato tema del viaggio della speranza dei migranti verso l’Europa, unisce in sé due linguaggi antitetici ma qui complementari: il realismo e la fiaba. Il primo linguaggio, quello realistico, è rappresentato dalla meticolosa attenzione di Garrone nel ricostruire, il più fedelmente possibile, la realtà che viene narrata. Il regista elimina così l’italiano e qualsiasi forma di doppiaggio, facendo parlare i nostri protagonisti in senegalese con sottotitoli, aspetto dal sapore quasi documentaristico, come se si volesse sconfinare dalla narrazione per porre la macchina da presa direttamente sulla realtà.
In tale contesto di realtà e di verità, mostrando fino in fondo la tragedia dell‘Odissea contemporanea di Seyodou e Moussa, Garrone inserisce delle parentesi fiabesche, arrivando cosi al secondo linguaggio. Tali digressioni avvengono in due momenti particolarmente drammatici della narrazione (la traversata nel deserto e il lager libico), che simboleggiano un’evasione dalla crudeltà e dalla sofferenza, momenti in cui solo il linguaggio immaginario del cinema può dare l’illusione di un sollievo momentaneo.
La dinamica del viaggio, con protagonisti gli ultimi e gli emarginati, non è nuova nel cinema di Garrone, ma rappresenta una costante del regista: era presente in Dogman, con il viaggio interiore del protagonista Marcello in una spirale di vessazioni e violenza, in Pinocchio, con il viaggio del bambino di legno attraverso varie avventure per diventare un bambino vero, e lo è ora con Seydou e Moussa, nel loro tormentato viaggio per sognare una vita migliore.
Sul fronte tecnico, risultano di particolare pregio la scenografia e la fotografia, con inquadrature che spaziano tra i campi lunghi della traversata nel deserto, le riprese ravvicinate del claustrofobico lager libico e i primissimi piani sui volti pieni di speranza dei protagonisti.
Interessante notare, inoltre, come Io capitano non voglia essere un film politico, Garrone non entra nella spinosa e divisiva distinzione tra migranti economica e non, ma con la sua pellicola ha bensì cercato di mostrare un affresco sulla realtà, distaccato rispetto a possibili accuse di faziosità, cercando il più possibile di essere un film alla portata di tutti.