(Perché, come diceva Sigmund Freud, dopo aver guardato In fuga da Undertaker, io ho chiuso con la psicanalisi…).
Mi stavo rilassando un attimo nella mia casetta piena di cose raccapriccianti, quando quegli spaccamaroni dei New Day hanno suonato al campanello. Siamo i tuoi amici della WWE, ma sì, dai aprici, Undertaker, hanno detto, siamo Big E, Xavier Woods e Kofi Kingston, non ci riconosci? Ho sempre detestato la loro spregevole positività in stile Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, anche se, ammetto, ascolto volentieri Il più grande spettacolo dopo il big bang quando seziono cadaveri nel mio obitorio personale del seminterrato.
Ma, ahimè, avevo firmato un contratto con Netflix, e per quel In fuga da Undertaker mi avevano riempito di dollaroni; anch’io, quando non pratico il cannibalismo, ho bisogno di andare all’Esselunga per comprare da mangiare. Mi servono i dollaroni, di tanto in tanto.
Quindi ho premuto il tasto segreto, e ho aperto loro il portone d’ingresso. A questo punto, gli sprovveduti avevano due possibilità, azionabili con il telecomando:
1) Avere troppa paura per entrare, e in tal caso sarebbero partiti i titoli di coda (sceneggiatura: The Undertaker, regia: The Undertaker, musiche: The Undertaker…);
2) Varcare l’ingresso, e cioè essere pronti a farsi spossessare l’anima dal sottoscritto.
Per me, la scelta dei New Day era indifferente; Netflix, in ogni caso, i dollaroni me li avrebbe dati lo stesso…
Nella casa di In fuga da Undertaker
Per dare alla mia umile dimora un tocco horror chic, qualche settimana prima mi sono affidato alla qualità e all’esperienza di Ikea. Il negozio di Viale Cattivone 17, quello accanto al Circolo Occultista che frequentavo il lunedì sera e il terzo weekend del mese, era sempre così ben fornito, e, inoltre, che spettacolo l’ampio parcheggio.
Lì ho davvero comperato di tutto, e anche a prezzi decisamente convenienti. Nebbia in bombolette spray, coccodrilli meccanici con fauci automatiche, telecamere a circuito chiuso per sorvegliare gli ospiti in casa, passaggi segreti pronti da assemblare, quadri topperia (?) del mio defunto manager Paul Bearer…
Il set di Fiale del Potere e la Turbo Urna dell’Invincibilità Kitsch, invece, le ho regolarmente acquisite da un’altra parte, ma ho un vincolo di riservatezza assoluto su questo e non posso proprio essere più preciso. Dico soltanto che i non iniziati non ancora colgono quanto sia profondo il reparto detersivi dell’Esselunga…
La Turbo Urna, per conferire l’Invincibilità Kitsch al suo possessore, però, deve essere costantemente rifornita di energia, e ciò lo si può fare in due modi:
1) Con i Punti Fragola;
2) Con le anime sacrificate.
Siccome i Punti Fragola ho intenzione di utilizzarli per le tovaglie antimacchia (mi servono per l’obitorio…), non mi resta altra via che quella delle anime da sacrificare.
E dunque venite, miei cari jovanotti. Venite, miei cari cherubini al servizio dell’Urna. La chiamano magia nera, ma, come per Bocca di Rosa, la mia è solo un’innocua passione.
John Cena prova In fuga da Undertaker da smart TV
Ero curioso di vedere cosa aveva prodotto stavolta quello stramboide di Taker. Poi, a onor del vero, volevo anche verificare a cosa servissero le bare magiche che gli ho procurato il mese scorso, roba di prima qualità, anzi, primissima.
Per averle, ho chiesto un favore alla tizia che una decina d’anni fa trassi in salvo da una piscina, avvolgendola grandiosamente e patriotticamente con il mio bandierone a stelle e strisce. Oh John, sei il mio eroe, mi disse. Sapevo che da qualche tempo era divenuta titolare di un’azienda di pompe funebri, con un paio di mail ho sistemato la questione. L’efficienza è sempre stato il suo tratto distintivo; forse, ormai, sta diventando anche quello di Taker.
Dico questa cosa di Taker perché, anche a sbagliare tutte le scelte interattive, In fuga da Undertaker si finisce in poco più di mezz’ora. Se Taker voleva liberarsi in fretta di quegli esaltati dei New Day ha fatto realmente le cose per bene…
I finali in cui non si riesce a fuggire, poi, maledetta Netflix, non sono veri finali, visto che è data allo spettatore/giocatore, immediatamente dopo un qualsiasi bad ending, l’opportunità di tornare al momento della decisione (secondo Netflix…) errata, oltre a poter, in qualsiasi istante, annullare l’ultima scelta compiuta.
Fastidiosissimi, inoltre, se non si lascia accadere quanto preimpostato da Netflix, i brevi caricamenti tra una scena e l’altra, i quali, inevitabilmente, fanno perdere il flow emotivo (ma quale flow emotivo, per favore…) alla narrazione.
Narrazione, appunto, pensata per i bambini, senza alcun tipo di complessità, sia di forma che di sostanza, che possa anche lontanamente richiamare un prodotto come Bandersnatch, per citare il primo grande successo interattivo della piattaforma nel 2018.
Ma, adesso stai zitto inutile Criticone, c’è un ma grosso come la casa di Taker, in tutto questo discorso. Ossia che In fuga da Undertaker è qualcosa di talmente sublimemente trash che qualsiasi contestazione non può che svanire subito nella sua nebbia. È vero, fa schifo, ma proprio nel suo fare così tanto schifo trova la leggenda, divenendo capolavoro.
(Sai, Big E, la mia parte preferita è quando Taker inizia a levitare, diventando gigantesco e sparando fulmini dalle mani…).
(KuwaBARA, KuwaBARA…).
(You must be Volgin…).