Il Padrino, il libro di Mario Puzo dal quale sono stati tratti i celebri film di Francis Ford Coppola, compie 50 anni. Come cambia lo stereotipo del mafioso
Anche se il successo del Padrino si deve, soprattutto, ai tre film tratti dalla saga di Mario Puzo (un quarto film non fu realizzato proprio a causa della morte dello scrittore, che stava adattando il copione), l’uscita del libro con la famosa copertina con la mano che muove i fili è da considerarsi storica sia per la letteratura che per il cinema.
Nei primi film sulla mafia, molto prima del Padrino, il mafioso era un violento, un pazzoide avido di denaro e non era nemmeno sempre italo-americano. Il film più noto degli anni ’30 è sicuramente Piccolo Cesare, di Mervyn LeRoy, con Edward G. Robinson, dove Rico Brandello è sì un italo-americano (infatti il film fu vietato dal fascismo perché ritenuto offensivo nei confronti degli italo-americani e fu distribuito solo negli anni ’60), ma è una mezza tacca, di una violenza inaudita e fa una brutta fine, tradito dai suoi.
Anche in Scarface – Lo Sfregiato (1932), di Howard Hawks e Richard Rosson, con Paul Muni, il protagonista è italo-americano, visto che è ispirato alle gesta di Al Capone. Anche in questo film il protagonista è di una violenza da cartone animato, tanto che molte scene sono state censurate e, alla fine, sono rimasti solo una trentina di delitti. Proprio come in Piccolo Cesare, il protagonista, alla fine, si comporta in modo idiota e viene freddato in un conflitto a fuoco con la polizia. Anche Scarface fu proibito dal regime fascista che, fra parentesi, non si stava comportando meglio di Al Capone, e in Italia si poté vedere solo nel 1947. Nel 1987 Brian De Palma ne fece un remake, con Al Pacino, che fa comunque una brutta fine, ma decisamente più epica.
In Nemico pubblico, il terzo grande film anni ’30 sulla mafia, di William A. Wellman e con lo straordinario James Cagney, è la mafia irlandese a essere protagonista. Anche in questo film Tom Powers, ossia Cagney, che poi si è specializzato nel ruolo del mafioso irlandese, è un bruto violento e anche qui fa la sua canonica brutta fine, perché le pellicole a Hollywood dovevano essere edificanti e il male doveva per forza venire sconfitto.
In Italia le cose andavano diversamente
e, soprattutto negli anni ’60, bisogna riconoscere che si cominciavano a fare ottimi film sulla mafia, come Salvatore Giuliano e Le mani sulla città di Francesco Rosi, A ciascuno il suo di Elio Petri, con Gian Maria Volonté, tratto dal romanzo di Leonadro Sciascia. Sempre da un romanzo di Sciascia, Il giorno della civetta, diretto da Damiano Damiani. Lo stesso Mafioso, di Alberto Lattuada, con Alberto Sordi e con i toni della commedia all’italiana, gira spietatamente il coltello nella piaga. Poi, siccome in Italia sappiamo essere anche noti cialtroni, ci sono stati tutta una serie di film di Franco e Ciccio che fanno i mafiosi, tipo 2 mafiosi contro Al Capone, sui quali andrebbe steso un velo pietoso. Gli altri film che abbiamo citato, però, sono tutti di grande valore artistico e, soprattutto, sociale. Peccato che non abbiano avuto una risonanza internazionale e non abbiano segnato nessuna svolta. Forse perché non indulgevano nella spettacolarità ed erano crudamente realistici.
Negli anni ’50 e ’60 a Hollywood,
invece, il mafioso cominciò a essere un capo di una certa importanza che tramava nell’ombra, ma rimaneva sempre un parvenu, un nuovo ricco. Quello che cambia col Padrino è che don Vito Corleone è un vecchio ricco, è un uomo raffinato, uno stratega sopraffino, cinico, senza scrupoli e a capo di una equipe di manager efficienti; in parole povere, è il paradigma del capitalismo statunitense. Da qui il successo del Padrino. Il mafioso acquista una sfumatura mitologica, di grande aristocrazia, alla quale si aggiunge addirittura una rigida scala di valori che il delinquente classico, al cinema, non si è mai sognato.
Paradossalmente, pare che la mafia cercò di ostacolare la realizzazione del film, forse perché si svelava cosa fosse per davvero la malavita organizzata, ma escludo che, in fondo, non sia stata contenta del risultato. Col Padrino si dà dignità al delinquente, se ne fa un leader da temere, che manovra gli uomini politici, manipola banche e garantisce efficienza. Altre parole per descrivere il capitalismo. Non per nulla, dagli anni ’70 in poi, molti personaggi pubblici, in particolare politici, cominciano ad avere, forse inconsapevolmente, gli stessi modi di don Vito Corleone, non escluso Trump, tanto per fare un esempio.
Se nel XVI secolo il politico avveduto avrebbe dovuto seguire i dettami del Principe del buon Niccolò Machiavelli, oggi chi vuol fare davvero carriera è bene che si legga attentamente Il Padrino.