Il ladro di giorni (id.)
Regia: Guido Lombardi; soggetto: dal romanzo omonimo di Guido Lombardi; sceneggiatura: Guido Lombardi, Marco Gianfredda, Luca De Benedittis; fotografia: Daria D’Antonio; scenografia: Eugenia Fernanda Di Napoli; costumi: Nicoletta Taranta; montaggio: Marcello Saurino; colonna sonora: Giordano Corapi (Edizioni musicali Indigo Film); interpreti: Riccardo Scamarcio (Vincenzo), Augusto Zazzaro (Salvo), Massimo Popolizio (Totò), Giorgio Careccia (Vito), Vanessa Scalera (Zia Anna), Carlo Cerciello (Prof. Mangiafreda), Rosa Diletta Rossi (Bianca), Leandra Concetta Fili (Valentina), Katia Fellin (Johanna), Mili Cultrera di Montesano (Maria), Cristoph Hulsen (Zio Denis), Giuseppe Cristiano (Evaristo), Michele Capuano (Ernesto); produzione: Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Luciano di Vaio per Indigo Film, Bronx Film, in collaborazione con Rai Cinema e Minerva Pictures Group; origine: Italia – 2019; durata: 105′
Trama
Sette anni prima il piccolo Salvo ha visto portar via il padre dalla polizia, davanti ai suoi occhi. Da quel momento la malattia della madre si è aggravata e, dopo la morte di quest’ultima, il bambino è affidato alle cure degli zii e cresce come figlio loro, in Trentino. Oggi: il giorno della sua prima comunione, Salvo è intento a giocare a pallone con gli amici, quando la sfera viene fermata da un uomo, che il ragazzo dopo qualche secondo riconosce. Si tratta del padre Vincenzo, uscito di prigione. Ha l’aria dura, è pieno di tatuaggi e porta uno strano codino. A colloquio con gli zii, Vincenzo chiede loro di trascorrere qualche giorno con il figlio: deve infatti recarsi a Bari per affari. Quattro giorni sono un tempo infinito per Salvo, che non vuole partire sulla vecchia auto scassata, con un uomo che non conosce, dall’aria losca e pieno di segreti. Comincia così l’avventura on the road in cui padre e figlio troveranno forse insieme il coraggio di conoscersi e amarsi di nuovo, di tuffarsi insieme, cosa che Salvo, da quando il genitore gli è stato portato via non è più riuscito a fare. Il viaggio sarà costellato di incontri inaspettati,deviazioni fuori programma, sull’onda dei ricordi di un’infanzia ancora candida e piena di domande e nel passato criminale di Vincenzo,alla ricerca del misterioso “ladro di giorni” che lo ha tradito, strappandolo alla sua famiglia e condannando i due protagonisti a vivere separati, senza un motivo apparente. Il desiderio di Salvo di essere amato da quel padre sconosciuto è tale che anche lui si ritroverà a percorrere l’esile confine che separa bene e male, i buoni e i cattivi. Una storia di formazione, nella quale, tra inseguimenti e lezioni di vita, i ruoli di padre e figlio spesso s’invertiranno, in una continua e reciproca riscoperta.
La conferenza stampa e il commento del redattore
Col soggetto de Il ladro di giorni Guido Lombardi ha vinto nel 2007 il premio Solinas dedicato alle forme di narrazione. Da quel giorno molte cose sono cambiate e l’incontro col produttore Nicola Giuliano ha fatto sì che Lombardi trasformasse quella sua idea in un romanzo (Il ladro di giorni, pubblicato da Feltrinelli nell’aprile di quest’anno) e quindi in un film,. Lombardi è al suo quarto lungometraggio, dopo il Leone del futuro e il premio del pubblico quale miglior film della Settimana della critica, ricevuti alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia nel 2011 con la sua opera prima La-bàs – Educazione criminale. Nel 2013 è anche già stato al Festival di Roma, con il suo secondo film Take Five. Questa volta Lombardi torna in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2019, con un film molto personale, nel quale sono evidenti alcuni richiami autobiografici, con un protagonista d’eccezione, l’attore Riccardo Scamarcio. Rispetto al libro, il film è diverso, come spiega lo stesso regista: “Non si può dire che il film sia ispirato al libro, in un certo senso sono opere complementari, tanto è vero che diversi sono i punti di vista dai quali la storia è raccontata”. “Un film di sentimenti” così lo definisce Scamarcio in conferenza stampa e certamente ha ragione: il rapporto tra padre e figlio e il corto circuito tra l’educazione da bravo ragazzo che a Salvo è stata impartita dagli zii e quella che gli è ispirata dal padre sono infatti gli elementi centrali del film, che però non ha alcun intento moralista nei confronti dello spettatore. Il produttore Nicola Giuliano, ci tiene a chiarire questo punto:“Dobbiamo liberarci dall’approccio pedagogico col quale ci si accosta ai film oggigiorno, preoccupandosi del “politically correct” e dell’esempio da dare: le storie sono appunto solo questo e andiamo oltre quest’ottica! Ragionando in questo modo, non si potrebbe più raccontare nulla…dobbiamo liberarci da quei pregiudizi secondo i quali un film italiano può essere solo di un certo tipo…da questa soggezione che proviamo nei confronti del passato, che colpisce soprattutto gli addetti ai lavori, perchè poi quando il film arriva in sala, al pubblico piace.”. Non si conosce ancora la data di uscita nelle sale, ma seguiranno aggiornamenti.
Al di là di queste ultime considerazioni ho trovato il film ben girato da Lombardi e ho molto apprezzato la recitazione dei due protagonisti, nei quali si notava un rapporto di complicità che, come poi hanno confermato, si è sviluppato anche al di fuori del set. Oltre a Scamarcio, perfettamente in parte, è notevole la prova del giovane Augusto Zazzaro al suo esordio su un setcinematografico, i cui silenzi spesso risultano molto espressivi. Volendo trovare dei punti deboli, essi risiedono nella sceneggiatura, ambiziosa ma non sempre coerente: com’è possibile che Vincenzo ritardi la consegna del carico di stupefacenti che trasporta, senza subire conseguenze? La storia si dipana in varie direzioni e certe digressioni, a volte inverosimili non giovano alla pellicola, che verso la metà stenta, seguendo un ritmo troppo blando. Nella parte finale invece il susseguirsi dei colpi di scena e le profonde emozioni portate sullo schermo riscattano questa struttura eccessivamente complessa, non priva di piccoli difetti (penso alle scarpe del bambino, che nelle sequenze iniziali appaiono e scompaiono da una scena all’altra). La metafora del tuffo come simbolo del coraggio di crescere, aprirsi alla vita e al futuro è ben riuscita, autentica e incoraggiante, come di rado si vede in un film italiano.
Voto,6,5