Lo zio Tom, che in originale si chiamava Remus e fu reso Tom in Italia per via dello zio della capanna, è un film del 1946. La guerra era appena finita, i neri avevano combattuto con l’esercito alleato (anche a Napoli se ne serba un ricordo) e la popolazione bianca era ben disposta verso gli ex schiavi. Il libro di Joel Chandler Harris, Uncle Remus sories del 1881, era uno dei primi bei ricordi d’infanzia di Walt Disney e, dopo il successo ottenuto da Biancaneve e i sette nani, la prima cosa che fece fu comprare i diritti del libro per farne un film. I racconti dello zio Tom fu anche uno dei primi film nei quali si impiegò la tecnica mista con attori e disegni animati. Prima di girare il film, Disney fece leggere il copione a un gruppo di intellettuali, comunisti, ebrei e neri e – nel 1946 – ebbe il nulla osta. Ricordiamo ancora che siamo nel 1946; i neri avrebbero ottenuto i diritti civili solo nel 1959 e, se si pensa che Martin Luther King è stato assassinato nel 1968, non è che i diritti civili abbiano risolto i problemi.
Dove sta il problema, allora?
È che il film offre un’immagine idealizzata delle piantagioni del sud: schiavi felici, padroni benevoli e un’apologia del Sud, terra di eroi romantici e cavallereschi che non avevano nemmeno perso tantissimo la guerra: era stato il Nord che, in seguito alla ricostruzione, si era vendicato sull’Eden meridionale. Del resto Via col vento è del 1939 ed è proprio con Mamie che nasce lo stereotipo del “negro buono”. Lo zio Tom o Remus è una Mamie al maschile, che narra al padroncino bianco Johnny storie fantastiche. Addirittura, secondo il professor Robert Bone, professore di letteratura afro americano, i racconti dello zio Remus “rappresentano il primo sforzo degli americani neri per definire se stessi attraverso l’arte di raccontare storie; un intento eroico da parte degli schiavi di trasformare il crudo materiale della loro esperienza in un formato di finzione”. Detto così sembrerebbe che Chandler Harris sia nero, in realtà è un grasso bianco del sud. Dunque, inquadrato storicamente, il film è tutt’altro che offensivo, poi a nessuno verrebbe in mente di togliere di circolazione Via col vento con motivazioni analoghe. Invece la Disney cancella senza pietà I racconti dello zio Tom dal catalogo dei suoi film. Che questa tardiva presa di coscienza abbia scosso l’animo di Bob Iger (che, fra l’altro, è dato fra i possibili prossimi candidati alla Casa Bianca) mi sembra impossibile. Iger è a capo di una delle più spietate multinazionali della Terra, che propone storie sentimentali per far dimenticare tutte le carognate che ha fatto, continua e continuerà a fare. Dispiace parlare così dei produttori degli Aristogatti, Robin Hood, Il libro della giungla, ecc., ma è la verità. Sembra più un caso esemplare di coda di paglia. Credo che nessuno farebbe caso a quel vecchio film. Forse qui in Italia c’è chi si scandalizzerebbe per il fatto che, alla fine, lo zio nero e il ragazzino bianco camminino mano nella mano ma, una volta postato il commento su face book, tutto finito, e via per altre sagre e per altri selfie. Forse è una notizia sulla quale manco meritava di scriverci sopra; però mi dà ai nervi che gente come Iger finga una delicatezza che, di sicuro, non ha.
L’ho visto, l’ho visto e come…
Ho pianto ma ho continuato a rivederlo, La capanna dello zio Tom, è un mio preferito della Disney assieme a Pomi d’ottone e manici di scopa, e a il Fantasma del pirata Barbanera.
Ti dirò di più, “?oh quanta gioia dentro di me?” lo trovai anni fa, ed è tutt’ora funzionante in formato VHS, gelosamente custodito.