È sempre più difficile trovare un film che sappia piegare il suo linguaggio alla materia raccontata. Specie se l’opera in oggetto è un documentario. Eppure, Il complotto di Tirana di Manfredi Lucibello riesce mirabilmente nell’intento. E con grande sorpresa.
Ma procediamo con ordine. Nel 2001, Giancarlo Politi, fondatore e direttore della celebre rivista Flash Art, chiede al fotografo Oliviero Toscani di curare la prima edizione della Biennale d’Arte a Tirana.

Attraverso un lungo scambio di mail, Toscani, fedele alla carica provocatoria che ha da sempre accompagnato il realismo crudo e scioccante dei suoi lavori, non solo accetta l’incarico ma decide d’invitare quattro artisti decisamente fuori dagli schemi: il fotografo hard italiano Carmelo Gavotta; il videoartista slavo (e pedofilo) Dimitri Bioy; l’attivista nigeriana Bola Equa, ricercata dal suo governo, e nientepopodimeno che il fotografo ufficiale di Osama bin Laden (ai tempi decisamente al centro dell’attenzione), Hamid Piccardo.
La manifestazione prende puntualmente il via nella capitale albanese, suscitando qualche inevitabile strascico polemico e censorio, ma poco dopo l’inaugurazione ecco arrivare il colpo di scena: Oliviero Toscani querela i curatori dell’evento.
Per quale motivo? Ebbene, l’artista non era a conoscenza di nulla: né della Biennale né del suo ruolo di curatore né tantomeno dei quattro artisti invitati (in realtà, inesistenti). Chi allora ha organizzato questa beffa così elaborata? E per quale motivo?