Una nuova generazione di brillanti registi algerini si scaglia contro il regime di Abdelaziz Bouteflika e la sua gestione ventennale del potere
Malgrado lo strapotere del cinema made in USA, il nostro sito ha sempre cercato di dare uno sguardo altrove, in particolare al cinema italiano, ma anche a quello che succede in paesi interessanti dal punto di vista cinematografico. Da tempo teniamo d’occhio il cinema cinese e ora vediamo cosa succede dall’altra parte del mare, subito sotto di noi.
Il cinema algerino aveva già dato segni di grande vitalità; molti ricorderanno un film di un paio d’anni fa, In viaggio con Jacqueline del regista franco-algerino Mohamed Hamidi, il road movie poetico e divertente che segue il viaggio del contadino Fatah, che va a piedi dall’Algeria fino a Parigi con la sua vacca per farla partecipare al concorso del Salone dell’Agricoltura di Parigi.
Oggi i giovani registi algerini si schierano contro il regime di Abdelaziz Bouteflika, ottantaduenne presidente dell’Algeria dal 2009, che ha modificato la costituzione per essere rieletto, sempre con percentuali stratosferiche, sempre col forte sospetto di colossali brogli elettorali. La mancanza di prospettive per i giovani, la disillusione, gli scioperi, la corruzione, le frustrazioni, il peso della religione, chi emigra e chi che preferisce rimanere a lottare; tutto questo raccontano i cineasti algerini, dei quali daremo un breve panorama.
Karim Moussaoui
Karim Moussaoui, 43 anni, ha girato nel 2017, En attendant les hirondelles (Aspettando le rondini), un film apprezzato dalla critica per la sua eleganza e nel ritrarre la vita della gente comune. Ora Moussaoui lavora a un nuovo progetto a Parigi, ma vola tutte le settimane ad Algeri per unirsi alle manifestazioni che si tengono ogni venerdì. Il suo commento della situazione algerina è questo: “Buteflika e i suoi non hanno fatto nulla in vent’anni. Non hanno fatto sviluppare né l’educazione, né la ricerca, né la sanità. Buteflika stesso è la prova del fallimento della sua politica: è costretto ad andare in un ospedale svizzero, visto che qui in Algeria non si riesce nemmeno a prendere un appuntamento per farsi curare in una struttura pubblica. Coi soldi che hanno guadagnato col petrolio un bambino di 10 anni avrebbe potuto fare più di quanto hanno fatto loro per il paese”. Moussaoui ha fiducia nei giovani che vede alle manifestazioni. “La maggioranza ha meno di 30 anni e i loro messaggi, i video che postano, sono molto creativi. Vedo un grande desiderio di creatività”.
Damien Ounouri
Damien Ounouri, 37 anni, è regista e fotografo. Assiste giornalmente alle assemblee coi sindacati per discutere come organizzare la transizione. Fa foto in bianco e nero che pubblica su Facebook. “Questo regime disprezza i giovani, che sono la maggioranza della popolazione”, dice. “Per avere un incarico qualsiasi devi essere anziano. Fino a quando non compi 60 anni sei troppo giovane, non importa per cosa. In questo momento ci stiamo riunendo per dare forma alle nostre rivendicazioni, la più importante delle quali è la trasparenza. Non si sa chi governi realmente il paese e questa incertezza si trasmette a tutta la società. Non sappiamo nemmeno chi diriga il Ministero della Cultura. Anche se ci sono quattro o cinque istituzioni dedicate al cinema, in realtà non sappiamo a chi rivolgerci”.
Adila Bendimerad
Adila Bendimerad è attrice e anche lei è parte attiva delle proteste. “Questo regime disprezza il suo popolo. E questo si nota anche nella cultura. Le strutture esistono, ma sono inutilizzate. Ci sono case della cultura dappertutto, ma io lavoro nel mondo del teatro e del cinema da quando avevo 23 anni, ora ne ho 34 e so bene che la gente più giovane, come noi, non riesce ad avere le strutture adatte per lavorare”. Nonostante tutti gli ostacoli, Bendimerad fa rilevare l’importanza di quello che ha fatto il cinema algerino negli ultimi due anni. “Siamo riusciti a esportarlo, ci sono molti film che hanno avuto successo all’estero”. Una delle chiavi di questo successo, spiega Bendimerad, è che gli algerini non hanno mai smesso di lottare negli ultimi venti anni. “Ogni corporazione ha fatto la sua parte: la stampa, gli studenti, i medici, gli attori. Gli algerini sono vent’anni che parlano. Il regime è molto duro, ma non è una dittatura che prende la gente, la tortura e la mette in carcere”.
Sofia Djama
Sofia Djama è una delle registe che ha avuto più successo all’estero, col suo film Les bienheureux (I fortunati, 2017). Questo è quello che dice: “Ci sentiamo umiliati. Io mi sono già sentita umiliata quando Buteflika cambiò la costituzione per presentarsi per il terzo mandato. L’Algeria è un paese che si è costruito sulla sua immagine rivoluzionaria, un’immagine di lotta, è un paese militante. Ma questo sistema ha creato un potere occulto, profondo, una mafia. Le manifestazioni ci hanno liberato”. Per Djama il problema non è la censura ma qualcosa di più sottile. “Il sistema è più perverso e cinico. Ha destrutturato la relazione con la cultura. I cinema sono stati lasciati in mano di amministrazioni comunali che li hanno trasformati in saloni per le feste”.
Yacine Bouaziz
Yacine Bouaziz è un regista di 37 anni che scatta foto nelle manifestazioni e le diffonde su Facebook. Ha girato un film intitolato Vote off, il cui obiettivo era mostrare perché i giovani non hanno votato nelle ultime presidenziali del 2014, che Buteflika vinse con l’81,53% dei voti e un’astensione di quasi il 50%. “I giovani non hanno votato perché non credono nei candidati che hanno proposto. Sanno che tutto è una farsa e lo sanno da tempo”. Il suo film fu censurato e Bouaziz non lo ha potuto proiettare nel suo paese. Bouaziz è indignato dal modo in cui molti mezzi d’informazione hanno trattato l’offerta di Buteflika di candidarsi per un quinto mandato e rinviare le elezioni di aprile. “Quello che sta succedendo in Algeria è un colpo di stato. È incredibile che ci sia addirittura chi lodi la decisione di Buteflika, come Emmanuel Macron. Buteflika ha bloccato il processo elettorale. Ci si può immaginare che una cosa del genere accada in altri paesi? No, in altri paesi sarebbe impossibile, ma in Algeria succede. La Costituzione è la Legge Fondamentale e Buteflika la ha calpestata”.
Malek Bensmaïl
Malek Bensmaïl è un regista di 52 anni che girò, durante le ultime presidenziali del 2014, un film intitolato Contre-Pouvoirs (Contro-Poteri), dove si narrano le difficoltà che trovò la redazione del giornale El Watan, il più critico verso il regime. Bensmaïl ha una lunga carriera e sostiene che l’esplosione della protesta si sentiva arrivare. “La decade nera degli anni novanta fu di una intensa violenza fisica e morale, un trauma, ma le due decadi successive sono state di violenza psicologica, per la mancanza di prospettive, di libertà, di ozio, di cultura, una corruzione generalizzata. È una violenza invisibile che ha toccato la dignità degli algerini. Nei miei film si vedeva che questo il popolo non poteva accettarlo indefinitamente e, come si sa, bisogna avere paura di un animale ferito”.