Il caso Goldman parte dal presupposto di voler raccontare una storia vera. Quella del secondo grande processo a cui fu soggetto Pierre Goldman, attivista di estrema sinistra, accusato di molteplici reati.
Goldman fu condannato in primo grado all’ergastolo per quattro rapine a mano armata, una delle quali causò la morte di due farmacisti. Goldman ammise tutti i capi d’accusa con fierezza, ad eccezion fatta per quelli di omicidio. In merito a quest’ultimi si proclamò innocente e, convinto di essere vittima di un complotto della polizia fascista e antisemita, si scagliò ardentemente contro il tribunale.
Questo atteggiamento provocatorio e gli accesi dibattiti che caratterizzarono il processo resero Goldman una vera e propria icona della sinistra rivoluzionaria.
Ma chi era davvero Goldman?
Pierre Goldman nacque a Lione nel 1944 da due ebrei polacchi che presero parte alla Resistenza francese. Fu militante in diversi gruppi di matrice comunista, si oppose alla guerra del Vietnam, conobbe Fidel Castro a Cuba e andò a combattere in Venezuela con Oswaldo Barreto.
Fu tra il 1969 e il 1970 che compì diverse rapine tra cui quella in cui morirono due farmacisti e per la quale venne condannato all’ergastolo.
Fu l’amico e scrittore Jean Genet a suggerirgli di scrivere un’autobiografia mentre si trovava in carcere, in seguito al primo processo. Ed è proprio attraverso questo libro che Goldman costruisce la propria difesa e soprattutto la propria accusa allo Stato e alla polizia francese, razzista e antisemita.
Goldman continua a dichiararsi “ontologicamente” innocente di quei due omicidi, mentre rivendica le altre accuse e accetta il carcere con orgoglio. Il processo ebbe inizio nel novembre del 1975 e alla fine Goldman venne scagionato dalle accuse di omicidio, ma fu misteriosamente ucciso davanti casa sua nel 1979.
Il caso Goldman: un processo che diventa un film
Il film vuole che lo spettatore venga proiettato nell’esatta situazione rappresentata su schermo. Il caso Goldman, innanzitutto, è interamente ambientato in tribunale, focalizzando tutta l’attenzione su ciò che ha reso iconico il personaggio di Pierre Goldman. Come dichiarato stesso da Cédric Kahn, lui e il suo team, hanno prestato grande attenzione a rimanere il più possibile fedeli alla realtà.
In diversi casi, persino alcune delle arringhe risultano essere quasi identiche alle originali. Come ha dichiarato il regista stesso “Abbiamo innanzitutto mescolato i due processi, attingendo dal suo libro e incorporando elementi che erano stati scoperti dopo l’udienza… Ci siamo presi parecchie libertà, ma allo stesso tempo siamo rimasti molto aderenti ai fatti”.
L’obiettivo di Kahn era quello far sì che lo spettatore si sentisse un giurato e che potesse formarsi una propria opinione. Il regista ha infatti rivelato che il set è stato gestito con riprese molto brevi, a metà tra una ripresa classica e una registrazione. Riprendendo le reazioni del pubblico in diretta.
“Ognuno seguiva il dibattimento e reagiva in base al gruppo di appartenenza. Potevo sentire ad orecchio per l’intensità delle reazioni, se gli attori erano bravi o meno. In tempo reale!” ha proseguito Cédric Kahn.
Il caso Goldman vuole anche sfruttare l’occasione per mettere in luce alcuni temi critici. Cédric Kahn presenta un film che unisce una densità di contenuti tangibili. Tutti con un’importanza e un peso specifico. Ammette che “Il film parla della giustizia e della sua complessità, dei bambini della Shoah, della condizione dei neri, ma anche dei “petits Blancs”, coloro che si sentono umiliati e disprezzati perché privi di voce. Anche loro hanno diritto alla loro verità, al rispetto per ciò che hanno vissuto.”
Il film è stato presentato in anteprima al 76° Festival di Cannes 2023 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs ed è stato candidato a cinque premi César.