Se c’è una cosa da sapere sul mondo moderno, è che in questo è nato e vive tutt’ora quel mostro tentacolare che tutti conosciamo come capitalismo. Molti sociologi lo definiscono un termine budino, proprio per la sua capacità di inglobare qualsiasi cosa al proprio interno ed è, seppur inevitabile, causa di enormi disuguaglianze sociali. Non c’è niente di peggio del capitalismo tranne l’anticapitalismo che diventa capitalistico: è una contraddizione in termine eppure avviene, eppure ne siamo schiavi.
Lo vediamo giornalmente quando le grandi battaglie politiche e sociali diventano slogan di massa nella sponsorizzazione di particolari brand, lo vediamo nel cinema quando si spolpano argomenti molto complessi lasciandone solo l’osso. Succede quando una piattaforma mainstream che di quella logica ne è vittima e carnefice decide di distribuire la duologia (ormai) de Il Buco.
Parlare de Il Buco 2, prequel di Il Buco (seppur spacciato per un sequel), entrambi disponibili su Netflix, è un carrozzone mal ridotto di ridicole intenzioni. Se bastassero solo le premesse a fare un capolavoro, adesso staremo parlando di un’altra storia. E invece Galder Gaztelu-Urrutia, regista e autore dei due buchi, decide di inoltrare la solita fanfara che, ampiamente semplificata, si riduce alla dogmatica scelta tra bene e male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Eppure il concept de Il Buco è molto interessante, costellato da una serie di riflessioni che, seppur post apocalittiche, ci aiutano a scoprire qualcosa in più su di noi in quanto specie umana.
Il Buco 2: la legge del numero immaginario
Senza fare spoiler che toglierebbero gusto e piacere a una trama già ferratissima, Il Buco 2 va a tappare le grandissime voragini che il primo film aveva lasciato in sospeso. Questo secondo capitolo allarga l’orizzonte del mondo tracciato da Gaztelu-Urrutia, facendoci capire di più rispetto ai suoi meccanismi e agli ingranaggi che lo muovono. La storia si concentra su Perempuan (Milena Smith) che sceglie, un dettaglio importantissimo quello della volontà, di partecipare a questa sorta di esperimento.
Perempuan si risveglia insieme al suo compagno di cella Zamiatin (Hovik Keuchkerian) all’interno della prigione: sembra essersi creato un sodalizio tra i relitti umani che popolano la torre verticale. In una sorta di voyeuristico tentativo di rappresentare la società dei consumi e il suo antidoto, Perempuan si troverà in difficoltà nella decisione di fare la cosa giusta, in nome di un bene comune.
Perempuan si trova nella torre, come tanti altri, per una sorta di punizione auto inflitta: il buco è l’inferno che deve attraversare per redimersi da uno sbaglio commesso. Ma a quale prezzo? Il buco si rivela una prigione dentro la prigione: un gruppo di persone ha preso pieno potere e, per permettere a tutti di ricevere il proprio cibo, si unisce sotto il nome di Pacificatori. Compare anche l’ignominioso nome del Messia, messo un po’ a casaccio come la curcuma, che non piace mai a nessuno ma che alla fine sta bene su tutto.
Inutile dire che i Pacificatori hanno poco e niente di pacifico e Perempuan si troverà a scontare una pena che riguarda il proprio potere decisionale. In un mondo votato al bene comune, non sempre ciò che è giusto può essere anche buono. E questo i prigionieri del buco lo pagano a suon di braccia mozzate.
Il Buco 2: quanto gore per nulla
Zamiatin è in assoluto il personaggio più interessante dell’intero film e in pochissimi minuti conquista lo spettatore. Il suo fisico e il suo caratteraccio reitera un certo modello da cui nella realtà staremmo alla larga, ma nel buco le differenze sono azzerate e l’unica cosa che rimane è il proprio sé, con tutto quello che comporta. Zamiatin sostiene di essere stato un professore di matematica all’università e di aver abbandonato le ricerche a causa di una formula irrisolvibile: la radice quadrata di meno uno. A quanto pare i matematici sono interessatissimi a questa formula perché, riducendo la spiegazione in termini di umana comprensione, permette l’accesso a quello che è definito asse immaginario, ovvero oltre i numeri reali.
Similmente a quanto accade ne Il Buco, primo capitolo, Gaztelu-Urrutia avvilisce la strada del complesso per renderlo facile, disponibile a tutti: una moda. Lo aveva fatto con il Don Chisciotte, rendendolo protagonista del suo primo film, e continua con una formula matematica e altri spunti di riflessione altisonanti che si concludono con un nulla di fatto. Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli ma anche il cinema può esserlo.
Lo diventa quando le tematiche si appiattiscono su se stesse e le storie si accartocciano in un tritatutto in cui vale tutto ma niente è capito, masticato, metabolizzato. Così il capitalismo mangia capitalismo, non c’è quindi niente di vero nel cinema di Gaztelu-Urrutia se non l’estrema – e ultima – consapevolezza che siamo pedine in un gioco in cui non si vince mai.