Tratto dall’omonimo racconto di Fernando Pessoa, un dialogo che è quasi un monologo in una scarna stanza blindata, l’ultimo film di Giulio Base, regista e interprete della pellicola.
Fernando Pessoa è, per il Portogallo, quello che Shakespeare è per il Regno Unito. Le sue opere sono tanto varie da dover scegliere numerosi eteronimi per poter esprimere le molte sfaccettature della sua personalità. Potrebbe essere la definizione di uno schizofrenico; se lo era, è stato lo schizofrenico più creativo del XX secolo.
Nel 1922 scrisse Il banchiere anarchico, un racconto sull’ideale dell’anarchia. Il narratore si rivolge a un potentissimo banchiere, chiedendogli come mai le sue scelte nella vita lo abbiano portato a rinnegare i suoi ideali anarchici, ma la risposta è nettissima: “Sono. Non ‘ero’ un anarchico”. L’anarchico è, dice il banchiere “un oppositore dell’ingiustizia di nascere socialmente diseguali. E da ciò risulta la rivolta contro le convenzioni sociali che rendono possibile quella disuguaglianza”. Nonostante ciò, si rende conto che all’interno degli stessi gruppi anarchici c’erano individui che, in perfetta buona fede e col sincero intento di creare una società libera e uguale, assumevano un ruolo dominante e convincevano gli altri a seguirli come fossero tiranni e ne impedivano, paradossalmente, la liberazione. A questo punto il giovane si chiede se valga la pena lottare per una società che, alla fine, non sarebbe che una somma di piccole tirannie. L’unica soluzione che trova è quella di isolarsi per evitare l’ineluttabilità delle convenzioni sociali. Finita questa fase di isolamento, una volta realizzata l’anarchia individuale, si sarebbe potuti tornare a unirsi per sovvertire la società. Una volta giunto a questa risoluzione, il giovane anarchico propone la sua tesi ai compagni, ma viene pesantemente contestato. Deciso a conseguire, comunque, la sua libertà individuale pensa a quale sia la maggiore tirannia per l’uomo. Sicuramente quella finanziaria, per cui comincia a usare qualsiasi mezzo, lecito e illecito, per guadagnare tanto da permettersi la libertà, non quella vera, ma quella che è possibile raggiungere in una società imperfetta.
https://www.youtube.com/watch?v=pMI1aDsl3Rg
Questo il racconto di Pessoa. Il film segue fedelmente il testo del bardo portoghese. Giulio Base e Paolo Fosso sono gli unici interpreti del film. Una scelta coraggiosa, in un mondo cinematografico di effetti speciali e trame televisive. Il regista e attore descrive così il suo lavoro: “Pur con 35 anni di lavori alle spalle (alcuni dignitosi, altri meno) vivo Il banchiere anarchico come un’opera prima. È il film che avrei sempre desiderato fare e finalmente ne ho trovato il coraggio. Ho vagheggiato a lungo la messinscena spoglia e la ragion pura di questo pamphlet fulminante: la parola in palmo di mano al servizio di concetti sferzanti, primi piani alla logica e non agli attori, sgombrando il campo da orpelli che potessero frenare l’altezza dei temi. L’arte cinematografica regala ancora la primitiva meravigliosa possibilità di esporre le inquadrature con dietro un’etica, se lo si vuole, ripulendole dalle scorie, se lo si ritiene. Amo gli attori così, le loro opere più delle mie. In questa nuova, ottica di rigore desideravo restituire allo spettatore l’impegno di questo ossimorico titolo”.
Detto questo, che aggiungere?