Sono trascorsi già nove anni dal giorno in cui nel firmamento Hollywoodiano una stella ha smesso di brillare. Il 2 febbraio 2014, riverso sul pavimento del bagno nel suo appartamento-ufficio di Manhattan, nel Greenwich Village, è stato ritrovato senza vita Philip Seymour Hoffman. Aveva solo 46 anni. Ad allertare le autorità, intorno alle 11.30, lo sceneggiatore ed amico David Katz. Era andato a casa dell’attore dopo che Mimi O’Donnell, la compagna di Hoffman, lo aveva chiamato perché non era andato a prendere i suoi tre figli all’ora concordata.
Fin dai primi momenti, le cause della morte sono apparse chiare ed incontrovertibili: overdose. Hoffman aveva ancora un ago infilato nel braccio ed il laccio emostatico che lo stringeva. Morte accidentale o suicidio? A questo proposito, possiamo soltanto avanzare ipotesi, come gli inquirenti newyorkesi che si sono occupati del caso. E’ certo che l’attore nelle ore precedenti la morte, avesse prelevato circa 1200 dollari in contanti e che si fosse recato in un appartamento di Manhattan noto per essere un centro di spaccio di stupefacenti.
Philip Seymour Hoffman: l’assordante assenza di un autentico artista
La polizia di New York, in seguito alle indagini condotte, ha arrestato tre persone legate ad Hoffman e con precedenti per spaccio e detenzione di droga: Robert Vineberg, musicista di 57 anni che aveva il numero dell’attore salvato sul cellulare, il DJ di 22 anni Max Rosenblum e la sua ragazza Juliana Luchkiw, studentessa. Nell’appartamento, al 302 di Mott Street, in cui la narcotici ha eseguito gli arresti sono stati trovati anche 350 sacchetti di eroina, ma i tre hanno sempre precisato di non avere nulla a che fare con la morte di Philip.
Brillante, versatile, intenso e sensibile, Philip Seymour Hoffman ha interpretato ruoli straordinari, dimostrando di avere talento da vendere, da Scent of a Woman – Profumo di donna a Boogie Nights – L’altra Hollywood, Il grande Lebowski, Happiness – Felicità, Magnolia, Il talento di Mr. Ripley, Quasi famosi, Ubriaco d’amore, Red Dragon, I love Radio Rock , Patch Adams , Ritorno a Cold Mountain e La 25ª ora. Attivo anche in ambito teatrale, si aggiudicò un Tony Award come miglior attore da palcoscenico nel 2000. Fu premiato nel 2006 con l’Oscar per la sua interpretazione in Truman Capote – A sangue freddo e con un tenero ed impacciato discorso, tra tutte le possibili frasi fatte, scelse invece di ringraziare sua madre per l’impegno profuso nel crescere lui ed i suoi fratelli e per averlo sempre supportato nelle sue passioni.
Al momento della morte, Philip Seymour Hoffman stava lavorando al terzo capitolo della saga di Hunger Games (com’è noto suddiviso in due film) e mancavano solo 7 giorni al termine delle riprese. L’attore, nello specifico, avrebbe dovuto girare le ultime due scene nei panni di Plutarch Heavensbee.
Mentre in un primo momento si era vociferato della possibilità di ricrearlo con la tecnica della CGI, il regista Francis Lawrence, si è assolutamente rifiutato di farlo ed ha dichiarato: ‘Philip Seymour Hoffman doveva girare ancora due scene con dialoghi: per queste sequenze, abbiamo deciso subito che non avremmo neanche provato a ricreare il suo Plutarch in digitale. Abbiamo preferito riscrivere la sceneggiatura e dare i suoi dialoghi ad altri personaggi. Philip era uno dei più grandi attori della sua generazione, forse addirittura uno dei più grandi attori di tutti i tempi: sarebbe stato disastroso ricostruire una sua finta performance. non Lo avrei mai fatto. Penso che come abbiamo agito fosse il modo più rispettoso e giusto per girare attorno a una cosa così tragica come la sua scomparsa‘.
Un suo affezionato fan, ha creato un video tributo di circa 20 minuti davvero ben fatto, che è diventato virale. Noi lo abbiamo trovato per voi e lo alleghiamo all’articolo:
Hoffman aveva più volte confessato di aver avuto problemi con la dipendenza dalle droghe e di aver intrapreso un percorso riabilitativo a 22 anni. Era rimasto “pulito” per ben 23 anni, ma era ricaduto nel tunnel della tossicodipendenza e, nell’anno precedente la morte, aveva nuovamente frequentato un centro per disintossicarsi. Nel suo appartamento sono state rinvenute massicce dosi di eroina, segno evidente che l’attore fosse tutt’altro che riabilitato e, da testimonianze raccolte, è emerso che fosse solito acquistare ormai droghe almeno due volte la settimana.
A nulla serve interrogarsi sulla sua soddisfazione personale, sullo status economico raggiunto grazie alla fama, al lavoro, ai successi. Philip conduceva una vita essenzialmente semplice, passeggiava per strada senza nascondersi, amava andare in bici e trascorrere tempo con i suoi bambini, ma anche un premio Oscar può avere un vuoto incolmabile che lo tormenta, una tremenda ferita che non smette di sanguinare, una dipendenza che lo rende schiavo dai peggiori veleni esistenti.
Tutto ciò ci insegna la complessità dell’animo umano, ci ricorda che dietro ad un attore c’è anzitutto un uomo. Un uomo con le sue fragilità, le sue insicurezze, le sue paranoie e le sue debolezze. E’ probabile che una parte consistente di cotanta sensibilità e capacità artistica, derivi proprio dalle sofferenze personali, dopotutto Hoffman ha sempre dato voce agli emarginati, ai diversi, agli ultimi, agli incompresi e forse attingeva dai meandri più profondi del proprio animo.
Ciò che fu valido per Heath Ledger (con le dovute differenze, s’intende) vale anche per Philip Seymour Hoffman, così come per Robin Williams. La felicità non si compra, non si dà per scontata e non si può simulare.